Come tradurre un romanzo per la scena, uno dell’800, per giunta, tempo in cui il genere maturava pienamente e si elevava a un autoriconoscimento tale da farne voce del suo tempo e codifica quasi dell’esistenza tout-court, oltre che inesauribile paradigma per il nostro, a onta degli innumerevoli tentativi di riedificazione?
Una strada è quella di mantenere gli elementi spazio-temporali e provare a rimaneggiare il materiale in un’ottica rappresentativa. Si tratta di spostare il punto di vista, il tempo del racconto, la prospettiva, di ancorare a uno spazio scenico trama e azione, lavoro che può essere tutt’altro che lieve. Così ha tentato di fare, affrontando non poche difficoltà ma con grande determinazione Martina Badiluzzi con il suo recente Cime tempestose.
Oppure si può provare a costruire un’opera del tutto originale, trasportando sul terreno di coltura della contemporaneità i temi e le categorie che il libro distilla o solleva, stravolgendo quell’architettura esemplare insieme ai dati oggettivi in cui il racconto si situa, rimanendo fedeli all’obiettivo di accendere una reazione. Tra le due strade, che condividono la tendenza a divenire opere paratestuali, che presuppongono comunque la presenza del libro, esistono infinite possibilità di mediazione

Una la troviamo nel tentativo di Stefano Cordella, presentato in anteprima all’interno di Kilowatt Festival quest’estate, in una programmazione estremamente variegata, che dà conto della curiosità e della qualità dell’indagine dei direttori artistici Luca Ricci e Lucia Franchi. La coppia Emma-Charles Bovary è messa in scena da Cordella (che non a caso intitola il lavoro semplicemente Bovary) in forma di dialoghi e monologhi, in un appartamento dei nostri giorni.
Si tratta di una coppia middle class: lui stravede per cose tipo le pizzate con gli amici; lei aspira alla letteratura, la raggiunge persino come scrittrice di romanzi. Ama con una sua dolcezza Charles, è priva di quel disprezzo che caratterizza a ondate simili a conati il personaggio di Flaubert, ma sembra riconoscervi come in un catalogo il riflesso della propria insoddisfazione. È questo un dato che emerge, scena per scena, fin dal principio, segnando stazioni senza catastrofi di una crisi inguaribile. Non la crisi di coppia tra due individui, ma con ancor maggiore evidenza del romanzo, quella tra una donna e la vita, mentre una tenera inguaribile consapevolezza di non esser fatti della stessa pasta, senza colpa ma senza illusioni, l’accompagna.
È qui, in questa prima parte, che si potrebbe avere l’impressione che il lavoro, in anteprima, stia ancora cercando il grip giusto. Qual è il problema di Emma? Perché resta con Charles? Ma è facile anche leggere questo girovagare apparentemente a vuoto la traduzione di uno stato psicologico scivoloso a sua volta; riconoscere come, al contrario del libro, nel quale l’insoddisfazione della protagonista si faceva presto lampante, pronta a convogliarsi nella ricerca di un amore bruciante, l’Emma di Cordella sia meno ingenuamente autoillusa, più destinata a vagare come una rabdomante nella vita, alla ricerca un po’ proustiana del senso del restarci: «non senti come si sta bene all’inizio delle cose?», domanda a Charles, già presaga della caduta nell’insoddisfazione, nella gratuità di ogni cosa.

L’operazione tentata da Cordella, insomma, ha una sua direzione chiara che funziona (nonostante il patetismo delle ultime battute: «Stavo pensando: lo sai quale sarebbe un mondo bellissimo? […] Quello senza di me».), anche grazie alle prove degli attori. Questi, che potranno senz’altro legarsi meglio, nel corso del tempo, con l’individuazione di un tono maggiormente condiviso, di un dialogo che, pur provenendo da diverse individualità di personaggi, diviene come in ogni coppia, anno dopo anno, un po’ più comune, spingono Bovary là dove l’intero lavoro si getta, nell’evento drammaturgico attorno alla cui rivelazione pare orbitare, nucleo della transcodificazione da romanzo a pièce: il grande monologo di Emma.
Si tratta di un pezzo di letteratura drammatica costruito per aggregazione e reso da un inesorabile climax di intensità attoriale, capace di emozionare profondamente, in cui Emma, smessi gli abiti contemporanei e indossati quelli funerei che certamente reputeremmo più adatti all’eroina flaubertiana, passa in rassegna gli scomposti tentativi di uscire da quel vuoto di senso che le dilaga nell’anima. Un amante, due, un corso di fotografia, pilates, gruppi di ascolto, psicologi: ecco i tentativi per mettere a tacere quella che, come si chiama una vecchia compagna, potremmo arrenderci a nominare, senza indulgere in nomignoli, depressione.
Bovary
da Madame Bovary di Gustave Flaubert
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia Elena C. Patacchini
con Anahì Traversi e Pietro De Pascalis
scene Marco Muzzolon
costumi Giulia Giovanelli
disegno luci Fulvio Melli
suono Gianluca Agostini
assistente alla regia Marica Pace
delegata di produzione Susanna Russo
produzione Manifatture Teatrali Milanesi.
Anteprima nazionale, Kilowatt Festival, Sansepolcro (AR), 16 luglio 2025.
Prossime date:
Teatro Diego Fabbri, Forlì (FC), 24 settembre 2025.
Teatro Litta, Milano, dal 18 al 30 novembre 2025.
Sala Bergamas, Gradisca d’Isonzo (GO), dal 10 al 12 dicembre 2025.
Teatro Foce, LAC Lugano, Lugano (CH), 17 e 18 dicembre 2025.
