Quando il teatro è “Casa”: festival A veglia Teatro del Baratto XVII edizione Intervista alla direttrice artistica Elena Guerrini di Letizia Bernazza

Foto di Colomba d’Apolito

Il 1° agosto 2023 è stata inaugurata la XVII edizione del festival A veglia Teatro del Baratto che proseguirà fino al 10 agosto.
La nostra conversazione con Elena Guerrini.

“Cos’è Casa?” è il tema che ha ispirato questa edizione. Cosa ha mosso questa scelta?

Quando penso alla parola casa non penso più soltanto all’edificio o al caro affitti delle città, ma a un mondo esteso a cui sento di appartenere che parte dal mio corpo: esso stesso è la mia prima casa che abito da quando sono nata.
Per me è casa dove ti senti accolta, dove stai bene. La parola abitare ha la stessa radice etimologica di habitus e habitat che rimandano come assonanza a concetti come quello di abitudine, aspetto e stare, o anche creare, fondamentale nella costruzione dell’identità di una persona e di un gruppo sociale. Una maestra di teatro e di scrittura mi diceva che per fare una rivoluzione servono un’idea, una casa e una ferita. Ecco le ho tutte, realmente e metaforicamente.  Si possono cambiare tante case, ma la casa non cambia.
Casa può essere sia chiusura sia apertura. Dal 2007, gli abitanti di Manciano (GR) e dintorni aprono le loro case per ospitare il Teatro del Baratto. Tale abitudine dopo due anni in cui siamo stati chiusi in casa ha un significato ancora più grande: essere aperti in casa, case aperte al teatro, all’inclusione, alla socialità, alla creatività e all’arte.
Casa, dunque, non solo come luogo fisico ma come luogo emotivo che da sfera privata diventa pubblica, diventa quartiere, coro collettivo, comunità che condivide un benessere teatrale.  Per i dieci giorni del festival A Veglia Teatro del Baratto saremo tutti vicini di casa legati da un chilometro di filo rosso che unisce tutti i luoghi e le case dove cresce la cultura a Manciano. «La casa non è dove vivi, ma dove ti capiscono» ha scritto il poeta Christian Morgenstern.
Per anni, sono stati la mia casa i camerini dei teatri, il palco dei teatri dove ero in tournée con la compagnia di Pippo Delbono, le aule dell’università, il DAMS di Bologna.
Dal 2007, casa è per me questo festival che ho ideato e costruito nel luogo dove sono le mie radici, Manciano che accoglie con generosità e orizzonti non soltanto me, ma tutti gli artisti presenti.

Quale il rapporto istaurato negli anni con il territorio e con la comunità del luogo?

Il festival A Veglia Teatro del Baratto è nato dalla popolazione del paese, da una vera e propria urgenza sentita dagli abitanti di cibarsi di teatro e di parole: nella primavera e nell’estate del 2007 giravo con la mia narrazione su sostenibilità e civiltà contadina Orti insorti nelle campagne del territorio del comune di Manciano, in cambio di olio, formaggio, prodotti del territorio, ortaggi, uova, marmellate…  Con il mio motto in mente Carmina non dant panem vivevo e mi nutrivo della mia arte di attrice-autrice senza spendere denaro per mangiare e bere.

L’autunno successivo, molte persone mi hanno offerto spontaneamente le loro case, i giardini e i poderi per ripetere l’esperienza e ho deciso di chiamare altri artisti che conoscevo e che si erano incuriositi del mio racconto sul teatro del baratto in Maremma. Una volta che avevamo gli spazi e gli artisti, abbiamo creato il pubblico. Qui non c’è una stagione teatrale né una libreria. Noi andavamo allora nelle case a portare cultura in cambio di cibo. Le persone che abitano il nostro territorio hanno visto spettacoli di narrazione, danza e nuova drammaturgia grazie al festival A Veglia Teatro del Baratto. Una vecchietta di quasi novant’anni che non era mai stata a teatro ha seguito per anni tutte le serate del festival, uscendo di casa con la sua sedia e un barattolo di marmellata fatto da lei.
Ho cercato, piano piano, di avvicinare gli abitanti del luogo al teatro: prima con la cosa più semplice, più giocosa o comica, e poi con lavori più “complessi”. È questa la vera direzione artistica per me: portare gradualmente il teatro alle persone e le persone al teatro. Sera dopo sera, l’onda del pubblico aumenta e si autoalimenta, con la consuetudine di andare nelle case di persone conosciute, con il passa parola, con la curiosità.

Foto di Andrea Bastogi

Chi arriva con la sedia non viene per vedere il divo del momento, lo spettacolo mainstream o la grande produzione, ma un altro tipo di teatro, intimo e indipendente. Negli anni, il nostro pubblico ha visto il meglio della drammaturgia contemporanea, e non solo, senza muoversi da casa, da Daniele Timpano ed Elvira Frosini a Alessandro Benvenuti, da Andrea Cosentino a Ginevra Di Marco, da I Têtes de Bois a Moni Ovadia, Marco Paolini (soltanto per nominarne alcuni). Gli abitanti del luogo hanno poi avuto anche la grande opportunità di scoprire le opere del maestro Giuliano Scabia.
Le persone di Manciano mi dimostrano una sincera gratitudine ogni anno: già in primavera mi chiedono se ci sarà il festival. Sono loro a farmi r-esistere.
In ogni casa c’è lo spettacolo che ha una attinenza con gli abitanti e con il tema scelto. È come mettere il seme del teatro e poi innaffiare e curare la piantina fino a quando cresce.

La prassi del teatro a baratto per il festival è diventata ormai da anni una pratica vera e propria. Ci si porta la sedia e gli spettatori non pagano un biglietto, ma offrono vino, olio, marmellate o quello che possono e vogliono agli artisti e alle artiste che donano il loro lavoro. Resta questo credo uno dei maggiori tratti distintivi del festival anche quest’anno?

«Eliminati carta e metallo non sarà più possibile la moneta, e con essa l’economia di mercato, per fare posto a un’economia di tipo nuovo, non del baratto ma del donativo. Ciascuno sarà ben lieto di donare al suo prossimo tutto quello che ha e cioè – considerando le cose dal punto di vista degli economisti di oggi – quasi niente. Ma ricchissimo sarà il dono quotidiano di tutti a tutti (…)». Questa è una citazione di Luciano Bianciardi da La vita agra del 1962, la dico a tutti, artisti e abitanti del luogo, negozianti e giornalisti. È proprio così. Ci sarà una civiltà del donativo. Qui a Manciano ci siamo già arrivati. Quando ero piccola e venivo al paese a trovare mio nonno, Pompilio, lo vedevo spesso che usciva di sera con una seggiolina in una mano e una bottiglia di olio o di vino nell’altra, e mi diceva che andava a veglia a casa di …
Adesso, la sera, nei giorni del festival, si vedono le persone con la sedia in mano e un prodotto del territorio andare verso il “teatro casalingo” nel centro storico e si capisce che lì davanti a quella porta si celebra il rito, la nascita della relazione e della condivisione, lo scambio dei doni. A Manciano ormai si dice che se vai A Veglia Teatro del Baratto devi bussare agli usci delle abitazioni con i piedi perché le mani sono piene di prodotti da offrire (in più c’è la sedia!). Quando inventai il festival questo era l’unico modo per sostenerlo.  Adesso che il Comune di Manciano ci dà un piccolo finanziamento monetario, che spero aumenterà negli anni visto il successo di pubblico, riusciamo a riconoscere agli artisti, oltre al baratto, anche una parte del compenso in denaro per ripagare il viaggio e la giornata lavorativa.

Foto di Andrea Bastogi

Gli artisti sono felici di partecipare al festival non solo per la vicinanza con il pubblico, ma anche per l’ospitalità degli agriturismi locali. Quest’anno saranno tutti accolti presso il Podere Sèmia (Poderi di Montemerano), un luogo particolarmente attento alla sostenibilità e al biologico.
Dove il teatro nutre il territorio e il territorio nutre l’arte, anche i ristoranti ci donano cibo come a casa; i bar ci offrono colazioni; le due pizzerie del paese buoni pasto. Abbiamo abolito l’ingresso monetario a teatro perché il contadino che produce il suo olio o il suo vino prende parte agli spettacoli con un dono della sua terra, mentre il turista che non ha nulla con sé conosce i prodotti del territorio e li compra per farne biglietto di ingresso.  Così il paese vive grazie al teatro del baratto. Una rivoluzione culturale, teatrale ed economica.

Dal programma si evince la predilezione per produzioni indipendenti. Ci puoi spiegare le motivazioni che ti hanno spinto a fare questa selezione?

Ogni anno il festival è come un parto per me. Concepisco la “creatura artistica”. La curo per nove mesi dopo aver scelto il tema portante con il pubblico e i miei collaboratori e collaboratrici. Vado personalmente a teatro e nei festival in Italia e in Europa: parlo con gli artisti, mi confronto con loro, li invito.
Da noi c’è una regola che vige da sempre: gli spettacoli proposti sono come il teatro delle origini. Ci sono gli attori e il pubblico. Non ci sono fari teatrali. Usiamo le luci dei lampioni o le lampade delle case. Non ci sono quinte né palchi, sostituiti dalle piazzette panoramiche e dai vicoli di Manciano. Con queste premesse, i migliori alleati del festival non possono che essere gli artisti e le produzioni indipendenti, che non trovano spazio nei circuiti tradizionali e istituzionali in cartelloni di stagioni con i soliti nomi noti.
Nella programmazione di quest’anno – oltre alla presenza di Claudio Morici che ha inaugurato il 1° agosto il festival e a molti laboratori – ospiteremo realtà emergenti, giovani impegnati nel campo dell’arte (Mauro Papa), nella musica (UNA), nel fumetto (David Marchetti), nel teatro danza (Bruno Petrosino), nella nuova drammaturgia (Antonio Mocciola), nel teatro ragazzi (Zaches Teatro), nella musica folk (Zenìa).

Il festival A Veglia Teatro del Baratto, come mi disse il maestro Giuliano Scabia quando fu invitato, «è un atto d’amore puro tra gli artisti e il pubblico, complici fiducia e collaborazione nel qui e ora».

 Per tutte le informazioni: www.avegliateatrodelbaratto.it