Il tempo ritrovato. Al Teatro India di Roma un bel “Fuori programma” di Letizia Bernazza

Foto di Andrea Caramelli

«Provavo un senso di stanchezza e di spavento a sentire che tutto quel tempo così lungo non solo era stato, senza una sola interruzione, vissuto, pensato, secreto da me, non solo era la mia vita, non solo era me stesso, ma anche che dovevo tenerlo ogni minuto attaccato a me, che mi faceva da sostegno, a me che, appollaiato sulla sua sommità vertiginosa, non potevo muovermi senza spostarlo come potevo invece fare con lui».

                                                                                                                 Marcel Proust, Il tempo ritrovato

 

Il tempo. Quel tempo che in questi mesi non abbiamo vissuto, ma soltanto pensato. Attaccato come lembi sghembi alle nostre vite e che, tuttavia, come dice Proust ci hanno fatto da sostegno. Per me è stato il teatro, la sua forza rigeneratrice e la sua necessità a reggermi, come fa una madre che insegna al suo piccolo a camminare.
Tornare a teatro, dopo tanti mesi, ha significato “esserci di nuovo”, “essere lì, presente, nell’atto sacro della condivisione”.
Il 30 luglio sera al Teatro India di Roma, mi è sembrato di non aver mai interrotto la relazione spazio-temporale con il teatro. È accaduto molto, certo. Nessuno lo mette in dubbio. Vogliamo mettere in discussione le conseguenze del Covid? No. Sarebbe banale farlo. Per tutti noi, l’emergenza Covid ha rappresentato un cambiamento sostanziale delle nostre vite, delle nostre economie, del nostro essere e delle nostre relazioni. Il Teatro, poi, già in difficoltà endemica, ha come scoperto quelle piaghe che c’erano già. Un malato, non sicuramente immaginario, il quale ha rivelato problematiche economiche risapute e diritti da difendere conosciuti da chi il Teatro lo fa e lo pratica.

Foto di Andrea Caramelli

Ora, però, ricominciamo dal 30 luglio. Per chi scrive, cosa ha rappresentato essere al Teatro India per partecipare alla serata conclusiva di Fuori programma. Festival Internazionale di Danza, con la direzione di Valentina Marini, che ha animato per tre serate (28, 29 e 30 luglio 2020) lo spazio esterno che si affaccia magnificamente sul gazometro nel quartiere Ostiense di Roma e che proseguirà a settembre nei cortili e nei giardini del quartiere Quarticciolo della capitale? Una bella sorpresa. Complice un programma, il cui calendario risponde «alla partecipazione e alla relazione tra luoghi, persone e geografie disegnando una diversa traiettoria attraverso i quartieri e i Municipi coinvolti per ribadire il rapporto tra centro e periferie». Una relazione sentita e espressa da quanti erano lì presenti. Tante persone – guidate dal rispetto delle regole, dal distanziamento, eppure desiderose di esserci, di condividere un percorso creativo che, nella dimensione “circolare” dell’Arena del Teatro India illuminata dalla suggestiva luce naturale – hanno saputo apprezzare e applaudire con forza gli interpreti di Last Space, opera presentata in prima nazionale. Il progetto di Marco Di Nardo e della Frantics Dance Company (nata a Berlino nel 2013), “accompagnato” dal live set a cura di Molotoy-Andrea Buttafuoco, è un lavoro serio e rigoroso dove l’energia degli attori-performer, che hanno la capacità di fondere B-boying, Hip-hop, tecniche di improvvisazione e tecniche contemporanee, si nutre “delle storie più profonde degli attori” e di quel gioco autentico costruito su «sensazioni che sono reali perché le abbiamo vissute e cerchiamo di costruirle in forma di danza», come dichiara lo stesso Di Nardo a Maria Genovese su Radioframmenti.

Foto di Andrea Caramelli

E, infatti, è uno straordinario “moto dinamico” che dalla «mente inconscia» degli attori si trasferisce, attraverso la loro memoria e i loro percorsi individuali, ma soprattutto attraverso i loro corpi, agli spettatori. I tre interpreti (Carlos Aller, Marco Di Nardo e Juan Tirado) hanno la forza di rivelare, con le loro coreografie, quella che Adolphe Appia definiva «un’opera d’arte vivente», riuscendo a comunicare quel «flusso costante di eventi, storie e ricordi» che diventa esperienza di vita. I protagonisti lasciano affiorare il mondo complesso dell’inconscio e lo rendono manifesto perché hanno saputo unire armonicamente la partitura drammaturgica e la partitura gestuale, rispettando i tempi e i ritmi di un “apparire” che nella sua stessa genesi ha l’urgenza di farsi percorrere, penetrare e persino superare.

Foto di Piero Tauro

È per questo che c’è emozione in Last Space. È per questo che l’opera riesce ad andare “verso” gli spettatori, unendoli empaticamente agli artisti secondo le stesse finalità del Festival Fuori Programma.

Foto di Piero Tauro

Last Space

concept e coreografia Frantics Dance Company
interpreti Carlos Aller, Marco Di Nardo, JuanTirado
musica dal vivo Andrea Buttafuoco/Molotoy.
Con il supporto di Dance Days Chania, Embassy of Germany, Sophiensaele Berlin.
Arena Teatro India, Roma, Fuori programma. Festival Internazionale di Danza, 30 luglio 2020.