Una performance d’attore. Le lettere di Van Gogh al fratello Theo di Sergio Roca

Recensire un monologo basato sulla lettura e l’adattamento di un epistolario non è impresa facile come, alla stessa maniera, non può essere semplice realizzare, con successo, una operazione artistica di questo genere.
Per Vincent Van Gogh, le lettere a Theo, sulla scena c’è solo l’attore/autore/regista/performer Blas Roca Rey, affiancato dal flautista Luciano Tristaino che aiuta l’interprete a scandire i tempi della narrazione consentendogli, anche, qualche pausa di “recupero”. Il palcoscenico è praticamente sgombro ma è un vuoto artisticamente “carico” di quella miseria esistenziale in cui visse – tra follia e lucidità, piacere e sofferenza – il maestro olandese. In scena ci sono, infatti, unicamente una sedia e due leggii (uno per l’attore, uno per il musicista) mentre, sullo sfondo, anch’esso spoglio, appaiono delle delicate proiezioni delle tele del pittore ottocentesco; non c’è nulla di meglio della “povertà” scenica per ricostruire quella reale di Van Gogh oscillante tra l’isolamento emotivo e la foga artistica.
I testi da cui prende spunto Roca Rey è la raccolta delle lettere che Vincent scrisse, prevalentemente al fratello Theo, negli ultimi quindici anni di vita, ovvero tra il 17 settembre 1875 e il 27 luglio del 1890 a soli due giorni prima della morte (sopraggiunta il 29 luglio) a causa di una ferita, da arma da fuoco, auto-inferta, all’inguine.
Di fatto la raccolta degli scritti di Van Gogh è un’opera estremamente corposa essendo formata da 821 lettere: 668 indirizzate a Theo (più di 400 in olandese, circa 200 in francese e 2 in inglese) mentre altre 153 risultano spedite ad altri soggetti tra cui artisti amici come Anthon Van Rappard, Émile Bernard o a Gauguin, a parenti come la sorella Willemien o alla madre e alla famiglia Van Stockum-Haanebeek (con cui era imparentato, essendo il fratello Theo sposato con Jannetje (Annet) Haanebeek; in realtà Vincent era stato innamorato di Carolina Haanebeek, sorella di Jannetje, che non ricambiò mai i suoi sentimenti divenendo moglie di Willem Jacob van Stockum). Altre missive (poche) risultano scritte all’attenzione di altri parenti ed amici (per gli interessati la raccolta dell’epistolario è pubblicato da Einaudi in un volume dal titolo Lettere di Vincent Van Gogh mentre delle “selezioni” di lettere sono reperibili in volumi di altri editori).

I brani proposti da Blas Roca Rey nella sua interpretazione scenica permettono di ricostruire la vita del pittore che viene “narrata” in prima persona, usando le parole estrapolate dai suoi scritti.
L’attore si è imposto di riprodurre il carattere e l’emotività dell’artista usando dei balbettii e rendendo il suo respiro pesante e faticoso o al contrario, nei casi di eccitazione, giungendo all’iperventilazione. Il risultato è sorprendente perché si rendono, in modo naturale, sia le sensazioni di oppressione del soggetto (schiavo delle ansie della vita quotidiana, causa la mancanza di danaro e di cibo) sia le esaltazioni maniacali, religiose, sessuali o artistiche legate alle intuizione creative (lo sforzo profuso nel tentativo di comprendere la psicologia dei soggetti ritratti – come quelli de I mangiatori di patate – o per l’uso di tecniche pittoriche innovative come quelle visibili nella serie dei quadri I girasoli oppure nella Notte stellata) che hanno reso immortali i lavori di Van Gogh.
La narrazione è coinvolgente e piena di pathos. Roca Rey non si risparmia nello sforzo di entrare in empatia con l’uomo che interpreta e col pubblico. L’auditorio si mostra attento e in completa sintonia con l’istrione in scena, il quale è illuminato dalla luce di un proiettore che varia tonalità cromatica assieme agli umori di Van Gogh.
Gli unici momenti in cui il focus non è sull’interprete è quando la “parola” passa all’armonia musicale dei flauti del Maestro Luciano Tristaino che vengono usati per sottolineare i testi ma anche per concedere qualche attimo di respiro all’attore.

Per concludere, criticamente, debbo segnalare che, a mio giudizio, sarebbe stata ancora più coinvolgente una partenza recitativa “piana” per costruire un “crescendo” fino al raggiungimento di un parossismo finale (legato alla malattia mentale del pittore); tuttavia debbo convenire (e filologicamente supporre) che la scelta del regista/attore, di non eccedere nella manifestazione della follia, trovi una coerente motivazione nell’uso dei testi, in prima persona, della corrispondenza stessa in quanto le lettere vennero scritte da Van Gogh nei suoi periodi di lucidità; posso asserire, quindi, che il lavoro è molto ben curato perché l’estro creativo dell’attore, che si immedesima in Van Gogh, è asservito al racconto permettendo agli spettatori di prendere contatto con la vita del grande genio olandese.

Vincent Van Gogh, le lettere a Theo 

libero adattamento e regia Blas Roca Rey
con Blas Roca Rey
ai flauti Luciano Tristaino
produzione Nutrimenti Terrestri.

Teatro Brancaccino, Roma, fino al 23 febbraio 2020.