Rugantino, storia di un pavido eroe per amore di Sergio Roca

Quando, il 15 dicembre del 1962, andò in scena, per la prima volta, Rugantino e Aldo Fabrizi, nella parte del boia Mastro Titta, disse la battuta conclusiva: «A Ruganti’… ‘na botta e via!» si stava assistendo ad una doppia “cesura” culturale nella storia del teatro leggero nazionale. In quell’attimo se Rugantino perdeva la testa, sotto la lama della mannaia, la commedia musicale, diretta erede del varietà e della rivista, smarriva il lieto fine e si trasformava in tragedia.
Gli autori (Garinei e Giovannini, coadiuvati da Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa con la collaborazione di Luigi Magni) discussero a lungo sull’opportunità di terminare lo spettacolo in quel modo (caldeggiato da Giovannini) dubbiosi sulle possibili reazioni del pubblico.
Nei lavori di G&G qualche morto in scena c’era già stato (nello stesso Rugantino si vedono altre due uccisioni: quella del serenante e quella di Gnecco), ma la Nera mietitrice non aveva mai osato toccare il protagonista. Con la chiusura del sipario, le preoccupazioni degli autori si trasformarono in gioia e fu un trionfo di lacrime, applausi e risate. Era nata la Broadway sul Tevere con la realizzazione del “musical” più spettacolare mai creato fino ad allora in Italia (superato solo da Aggiungi un posto a tavola molti anni dopo) e non era solo merito di G&G ma di un gruppo eccezionale di creativi.
Giulio Coltellacci, prendendo spunto dai disegni ottocenteschi di Bartolomeo Pinelli, oltre ai costumi, si era inventato delle scenografie rotanti che consentivano uno sviluppo narrativo continuo (simile a quello cinematografico), mentre le complesse coreografie avevano una mamma americana: la giovane Dania Krupska. Dal 1978, quei movimenti scenici hanno lasciato il posto a quelli, più attuali, ideati da Gino Landi.
Musicare il tutto toccò ad Armando Trovajoli, già noto per aver diretto una delle orchestre di musica leggera della Rai e per aver composto la colonna sonora del film La Ciociara. Proprio le canzoni di Rugantino: Roma nun fa’ la stupida stasera, Ciumachella de Trestevere, È l’omo mio, Tirollallero, grazie ad un non facile studio alla ricerca di una sonorità “popolare” romanesca (di fatto mai esistita causa la repressione clericale su questo tipo d’arte, nel periodo del papato), sono divenute ambasciatrici canore di Roma nel mondo.

 

La storia è particolarmente articolata e piena di colpi di scena.
Rugantino, sotto il papato di Pio VIII è un millantatore, pavido, scroccone che vive a ricasco di Eusebia, fingendosene il fratello, a sua volta mantenuta dall’anziano marchese Facconi. Scoperto l’inganno, però, vengono cacciati. Nel tentativo di trovare una nuova fonte di “sostentamento”, Rugantino presenta la donna al solo, e non più giovane oste, Mastro Titta che arrotonda le entrate facendo il boia per lo Stato Pontificio, riuscendo a farli innamorare.
Rugantino, a seguito di una scommessa, comincia a corteggiare la bella Rosetta moglie di Gnecco, soggetto violento e irascibile. Gnecco, per gelosia nei confronti della donna, accoltella a morte uno spasimante trovato a farle una serenata. Per evitare la forca viene costretto a fuggire via da Roma.
Sfruttando la lontananza del marito, Rugantino convince Rosetta a festeggiare gli ultimi giorni di Carnevale con una passeggiata e la seduce confessandole della scommessa fatta. Per ottenere i favori della ragazza offre, come pegno d’amore, il suo silenzio tant’è che, al sopraggiungere degli amici, finge di aver fallito l’impresa. Quando, però, giorni dopo, sarà il momento di pagare pegno, il giovane, ridicolizzato dal gruppo, non riuscirà a mantenere fede alla parola data ferendo i sentimenti della donna.
Gnecco, rientrato di nascosto in città, resta ucciso per mano di un amico del serenante ma è Rugantino ad essere accusato del fatto perché trovato accanto al cadavere.
L’episodio gli permette di riconquistare l’amore di Rosetta e, finalmente, di sentirsi uomo: un eroe agli occhi della donna che ama. Piuttosto che raccontare la verità e perdere la dignità acquisita, sceglierà di morire sotto la lama della ghigliottina, manovrata a malincuore da Mastro Titta, pur di riscattare la sua pavida vita e deludere nuovamente Rosetta.
L’edizione del 2018 vede il ritorno in scena, nella parte di Rugantino, di Enrico Montesano: ruolo da lui già rivestito nel 1978 sotto la direzione di Pietro Garinei (Giovannini era morto da pochi mesi). È possibile che un settantenne reciti con successo la parte di un giovanotto? Ci vuole mestiere e coraggio ma qui non ci sono dubbi, Montesano è Rugantino: nelle smorfie, nella strafottenza e nella malinconica allegria. Artisticamente, almeno in questo caso, l’estetica e l’età anagrafica non contano. Conforta, in questa affermazione, uno scritto di uno dei padri della regia moderna: Kostantin Stanislavskij che, nel volume La mia vita nell’arte (del 1924), narra di aver visto recitare il grande attore italiano Ernesto Rossi (1827-1896). Il Rossi, secondo lo studioso, pur essendo anziano e fisicamente poco adatto al personaggio, rendeva credibile la sua interpretazione di Romeo, nel capolavoro shakespeariano, grazie alla creazione di una “immagine interiore” che, empaticamente, “contagiava” gli spettatori.

Quando Montesano interpretò per la prima volta Rugantino ebbe a dichiarare, con estrema modestia (benché non fosse alle prime armi, avendo già fatto cinema con registi come Corbucci e Steno): «io in un teatro con il foyer non ho mai recitato perché vengo dalle cantine con la platea in miniatura. Qui al Sistina sono quindi arrivato portandomi appresso un paio di bauli pieni di paura e per fortuna non ho visto il primo Rugantino evitando così di restare condizionato da Manfredi che considero uno dei miei maestri» (da Quarant’anni di teatro musicale all’italiana di Lello Garinei e Marco Giovannini, Rizzoli 1985). Ora con la stessa umiltà (e lo stesso entusiasmo), si ripresenta al pubblico del Sistina ottenendo un meritatissimo tributo alla professionalità che lo consacra un attore “senza età”.
Nella parte di Rosetta c’è Serena Autieri. Donna giovane, bella, spigliata, volitiva (esattamente come il personaggio impone) e con delle qualità canore eccezionali (l’attrice arriva a Roma dopo le repliche napoletane de La sciantosa, spettacolo principalmente cantato e dedicato ad Elvira Donnarumma, una delle regine del café chantant). L’Autieri offre un’interpretazione di grande e autonoma personalità obbligata com’è a doversi confrontare con le tante artiste che l’hanno preceduta: Lea Massari, Ornella Vanoni, Alida Chelli e Sabrina Ferilli, solo per citare le soubrette della prima edizione e di quelle di cui sono disponibili le versioni televisive.
Antonello Fassari ed Edy Angelillo, che ricoprono le parti di Mastro Titta ed Eusebia e che costituiscono il tipico duetto comico, quasi sempre presente nei lavori di G&G, ben ricoprono i ruoli assegnati loro.

 

Fassari, dalla naturale aria stralunata e vagamente fanciullesca, impersona un Mastro Titta romantico e, benché non dotato di una voce particolarmente “importante” (comunque non necessaria per il ruolo), nell’interpretazione di È bello avè ‘na donna dentro casa, riesce a ricostruire egregiamente la psicologia del personaggio. Edy Angelillo che torna ad essere Eusebia, ruolo già sostenuto nell’edizione del 2004, dona alla scaltra “burinotta” un fantasioso accento umbro-romanesco, intonando Sempre boia è in maniera impeccabile.
Nelle parti secondarie impossibile non citare Giulio Farnese, un Don Niccolò Paritelli efficacemente caratterizzato come un nobile dalla sagoma e dalla lingua tagliente assieme a Brunella Platania, irresistibile non solo per la bellezza ma anche per la contagiosa risata di Donna Marta Paritelli. Per terminare è doveroso citare Marco Rea, il prestante e violento Gnecco e Roberto Attias che è il delirante scultore Thorwaldsen.
L’ottava ripresa teatrale di Rugantino, voluta e curata da Massimo Romeo Piparo per il Teatro Sistina, è realizzata basandosi sulla regia curata dal solo Garinei dopo la scomparsa di Giovannini. La storia, infatti, per rendere più breve lo spettacolo (originariamente di oltre tre ore), vede l’accorciamento di alcune parti coreografiche e musicali ed ha inizio con la scena della berlina di Rugantino (la terza nel testo del 1962). Alcune altre, piccole, sforbiciate al copione originale non hanno intaccato la compattezza dell’opera ma, come scritto già in altre occasioni, possono aver privato, coloro che attendevano delle specifiche gags, di qualche emozione in più. Si è anche notata una maggiore libertà testuale concessa agli attori. Questa autonomia attoriale, se mette in evidenza le qualità personali dei singoli interpreti e può arricchire qualche momento meno frizzante della sceneggiatura, era però poco gradita al duo G&G molto gelosi dell’aderenza ai testi da loro creati. Ovviamente si tratta di sfumature, piccolezze, invisibili allo sguardo di chi assiste per la prima volta ad una commedia così spettacolare ma, come direbbe Rugantino a Mastro Titta, fingendo di essere Don Fulgenzio: «all’occhio materno de la chiesa nun je scappa gnente» e i “melomani” della commedia musicale queste cose le notano.
A parte queste minuzie, Rugantino è uno spettacolo fantastico che merita di essere visto oggi, domani e sempre. I punti di forza attuali, a parte il cast eccezionale di cui ho parlato precedentemente, sono gli storici costumi e le scenografie assieme alle coloratissime e movimentate coreografie nonché le indimenticabili canzoni.
Uscendo dal Sistina, in una stellata sera di inverno, il sentir canticchiare le strofe di Roma nun fa la stupida sta sera, da parte del pubblico che si avvia verso casa, è il più bel complimento che si può fare a tutti coloro che hanno lavorato per permettere ad una nuova generazione di spettatori di assistere a questa commedia senza tempo e consentire, ai vecchi amanti del genere, di rinnovare le loro emozioni.

Rugantino
commedia musicale di Garinei e Giovannini
scritta con Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa
collaborazione artistica di Luigi Magni
regia originale di Pietro Garinei
musiche del Maestro Armando Trovajoli
scene e costumi originali di Giulio Coltellacci
con Enrico Montesano, Serena Autieri, Antonello Fassari, Edy Angelillo, Giulio Farnese, Brunella Platania, Marco Rea, Matteo Montalto, Marco Valerio Montesano, Alessandro Lanzillotti, Roberto Attias, Gerry Gherardi, Tonino Tosto, Monica Guazzini
e con Valentina Bagnetti, Sandro Bilotta, Claudia Calesini, Alfonso Capalbo, Giuseppe Carvutto, Raffaele Cava, Marta Ciangola, Laura Contardi, Mattia Di Napoli, Anna Gargiulo, Sebastiano Lo Casto, Francesco Maniaci, Kevin Peci, Silvia Pedicino, Gloria Rossi, Raffaella Spina, Rocco Stifani, Rossana Vassallo.

Teatro Sistina, Roma, fino al 27 gennaio 2019.