Quanto è attuale Bertolt Brecht. Signor Puntila, qui siamo tutti Matti di Alessandra Bernocco

Foto di Salvatore Pastore

Oggi si direbbe bipolare. Ciclotimico. Uno che cambia di umore di stagione in stagione, o di giorno in giorno, o di ora in ora. Bianco o nero, depresso o euforico, buono o cattivo, a seconda di quanto sia rapida la ciclicità del disturbo. Ecco, nel caso di Puntila, il ricco proprietario terriero immortalato da Bertolt Brecht ne Il signor Puntila e il suo servo Matti, è rapidissima. Basta darsi una mano alzando un po’ il gomito ed è fatta.
Da perfido sfruttatore di manodopera, da arrogante padrone arricchito, Puntila diventa un generoso benefattore, bonaccione e simpatico, con un latente complesso da privilegiato che lo porta a guidare egli stesso il trattore e a brindare insieme ai suoi operai. Fino a meditare di dare in sposa la figlia, promessa per convenienza a un ricco diplomatico, al suo autista. Matti, il servo, la cui funzione drammaturgica è dare vita a una riproposta dialettica servo signore, garantita dall’interdipendenza l’uno dall’altro. L’uno non è senza l’altro e viceversa. Dialettica in cui il servo, ora sfruttato e maltrattato, ora blandito e benvoluto, si libera dalla sua condizione soltanto acquistando coscienza di sé. Soltanto mandando all’aria il rapporto che li lega e che permette loro di sussistere nei rispettivi ruoli.
Perché, dirà più o meno il servo, “chi è in basso è costretto a restare in basso perché chi è in alto possa restare al suo posto”. Allora tocca ribellarsi, tocca rinunciare al proprio ruolo per scardinare quello dell’altro. Anche se il tuo ruolo ti garantisce la sopravvivenza. Ma se Matti si congeda e volta la schiena al signore, il signore resta solo, dall’alto del suo belvedere allestito dal servo: solo a contemplare le sue tenute, i suoi boschi, le sue proprietà, sorta di Mazzarò di ogni latitudine, più servo dei servi, consegnato alla roba. (Viva Verga nelle scuole).
Ora, immaginiamo, oggi, nel 2023, tanti Matti piegati in due a raccogliere pomodori, nelle cucine di ristoranti a lavare piatti e pelare patate, sui motorini a tutte le ore a consegnare le pizze o gli acquisti su Amazon. Immaginiamoli lì e poi immaginiamo tanti Puntila che li guardano congedarsi con il dito medio levato.  Loro in basso, liberi, salvi, riscattati, gli altri in alto, increduli di fronte alle loro terre incolte o alle fabbriche vuote. Non sarebbe una bellissima scena?
Insomma, oggi, nel 2023, ci tocca constatare quanto è attuale Bertolt Brecht.
Talmente attuale che ha fatto benissimo Massimo Venturiello a riproporre questo testo composto in Finlandia a partire dai racconti della scrittrice estone-finlandese Hella Wuolijoki e rappresentato per la prima volta a Zurigo nel 1948, epurato dai riferimenti alla Finlandia, optando invece per un impianto astratto e una parlata ascrivibile a un sud Italia indefinito, con qualche concessione lessicale alla nostra terra, dal cibo al vino.
Lo spettacolo, che ha debuttato il 17 giugno a Villa Floridiana di Napoli per il Campania Teatro Festival, ha schierato una compagnia molto ben integrata di attori cantanti e vede lo stesso Venturiello nel ruolo di Puntila e Biagio Musella in quello di Matti.

Foto di Salvatore Pastore

Due volti che paiono di per sé maschere napoletane, piene di senso e di peso, che riescono a comunicare anche quando tacciono e agiscono in controscena.
La recitazione è ligia a Brecht, con naturalezza: come dire che è sì straniata, espressionistica, qua e là anche iperbolica, ma pare gestita naturalmente, senza troppo preoccuparsi di essere brechtiani, senza l’ossessione di non lasciarsi travolgere, di stare in campana, osservando e osservandosi dire e agire. D’altra parte, le umane emozioni, sia pur raccontate, sono lì a testimoniare che non siamo molto cambiati. Prima tra tutte l’orgoglio del povero, ferito o rivendicato, declinato più volte. Allora un cedimento può capitare, una battuta ti può sorprendere, un segmento di storia può generare uno stato d’animo e una crepa emotiva che dalla platea fa piacere raccogliere.
Penso anche allo sguardo di Matti quando sta per deporre il ruolo e lasciare la scena, uno sguardo durissimo fattosi serio improvvisamente, egli stesso sorpreso dell’acquisizione avvenuta, immobile per un attimo nella ferma intenzione di abbandonare il signore. C’è, in quello sguardo, in quella immobilità assorta e sinistra, il peso della coscienza di classe che si è fatta autocoscienza e in quanto tale si libera e libera. Ma c’è anche il disprezzo per l’altro da sé che si vuol superare: non solo il signore ma il servo stesso che permette al signore di essere tale.
Dal canto suo Puntila, in cima a quella montagna cresciuta e cresciuta grazie al lavoro del servo, fa una certa tenerezza e Venturiello lo sa, lo asseconda, gli dà retta. E finisce per commuovere.
Anche grazie alla scelta di non affrontare il ruolo in modo schizofrenico, il buono e il cattivo, entrambi a tutto tondo, senza residui: scelta che forse gli avrebbe persino permesso di divertirsi di più, cedendo al virtuosismo facile, da commedia classica. Invece il suo è un Puntila che quando è ubriaco porta con sé una vaga memoria di sobrietà, che non è solo testo, copione, ma è fatta di gesti, di toni, di brevi bagliori di lucidità che preannunciano il ripensamento.  Un istinto di sopravvivenza che sconfina nella difesa di classe, una specie di allerta che lo mantiene sul trono, rimettendo al servo l’onore dell’onere.

Foto di Salvatore Pastore

La scena di Alessandro Chiti è agile, geometrica, costituita da cubi e colonne spostate a vista dagli stessi attori, e permette di creare e ricreare spazi e situazioni, stabilendo convenzioni facili da accogliere e decifrare. Scena brechtiana, ça va sans dire, in cui i diversi passaggi sono siparietti legati da musiche e canzoni originali di Paul Dessau, ora inserite come maglie della drammaturgia ora come trait d’union e intermezzi corali che anticipano, spiegano, avvertono.

Il Signor Puntila e il suo servo Matti

 di Bertolt Brecht
regia Massimo Venturiello
con Massimo Venturiello, Biagio Musella, Marianita Carfora, Alessandra De Concilio, Fabrizia Sorrentino, Stefano De Santis, Franco Silvestri, Filippo Gessi
aiuto regia Claudia Muzi
scene Alessandro Chiti
costumi Silvia Polidori
luci Giuseppe Filipponio
musiche Paul Dessau
elaborazioni musicali Mariano Bellopede
organizzazione Rosi Tranfaglia
produzione Officina Teatrale, Scena Nuda.

Campania Teatro Festival, Napoli, Villa Floridiana, 17 giugno 2023.