PROFESSIONI DEL TEATRO > Intervista a Alessandro Longobardi – Produttore di Sergio Roca

Alessandro Longobardi. Foto di Massimiliano Fusco.

Professioni del Teatro presenta  una figura professionale, quella del produttore, non certo facile in quanto richiede per essere raggiunta, oltre ad un’ottima preparazione culturale, anche una predisposizione all’attività imprenditoriale che non sempre è presente in soggetti dotati di forte personalità artistica.
Ho voluto incontrare, a tal fine, Alessandro Longobardi, in qualità di manager della Viola produzioni e fondatore del consorzio O.T.I. (Officine del Teatro Italiano) ma sicuramente più noto come direttore artistico sia del Teatro Brancaccio che del Teatro Brancaccino e della Sala Umberto di Roma e di aree di “supporto” come lo Spazio Diamante e lo Spazio Impero ma anche come promotore di attività di insegnamento, ricerca e studio sulle attività teatrali dedicate come l’accademia Stap Brancaccio e la Brancaccio Musical Academy.

Ciao Alessandro, per chi è del ramo, il tuo nome non richiederebbe alcuna presentazione; sei nel campo teatrale da oltre trenta anni e fai parte di una delle più importanti famiglie “storiche”, romane, di imprenditori dello spettacolo essendo figlio di Luigi e nipote di Achille Longobardi che, negli anni Trenta dello scorso secolo, prese in carico la gestione del Teatro Brancaccio. Non tutti i nostri lettori, però, sono a conoscenza delle tue molteplici attività ed esperienze. Prima di addentrarci in domande più specifiche, quindi, potresti farci un “riassunto” delle tue esperienze professionali?

Con questa introduzione mi fai sentire vecchio. Si, è passato molto tempo ma come noto a chi mi conosce ho sempre avuto un problema con la percezione del tempo. Sono sempre gli altri che ahimè mi ricordano il veloce scorrere della nostra vita. Non amo ricordare le scadenze, come ad esempio i compleanni, generatrici di pregiudizio. Però so che ogni cinque anni si cambia e i nostri progetti o sono compiuti o vanno cambiati. Venendo al punto sono cresciuto in una famiglia che aveva nel cinema e nel teatro una posizione di peso con 24 locali in gestione ma ho condotto una mia vita autonoma. Mi sono laureato in Economia e ho avuto varie esperienze in settori molto diversi tra loro; sono dirigente presso una società impegnata in progetti di rigenerazione urbana e servizi di accoglienza alberghiera. Sono approdato al mondo del teatro professionale quasi per caso. Con un paio di persone pensammo di dar vita ad un “Cotton club” (ci piaceva il jazz) all’interno della sala Umberto, ma non andò; così continuai da solo riaprendola a teatro dopo 10 anni di cinema.
Fu un salto nel buio, trainato da tanta passione ed insieme alla mia dolce metà, che ancora mi sopporta e dirige il teatro per le scuole e tutta la comunicazione, in pochi anni trasformai un nobile bel teatro, un po’ impolverato, in uno degli spazi culturali più attivi della capitale con migliaia di abbonati e spettatori. Il tutto in solitudine; avevo un po’ tutti contro: la famiglia per i rischi impliciti, i colleghi perché ero un perfetto sconosciuto (scambiato spesso per un figlio di papà), l’ambiente del mio altro lavoro perché non la consideravano una attività seria. I fatti hanno dato le giuste risposte a tutti. La città di Roma sembra essere stata grata del grande sacrificio fatto in tanti anni. Sottolineo che non ho mai preso un euro da quest’attività perché le risorse non sono sufficienti per mandare avanti il tutto. È una missione. Ho sempre pensato di dare un contributo alla comunità e questo è il risultato. Non ultimo il mondo del teatro è meraviglioso.

Alessandro Longobardi alla presentazione del musical “Rapunzel”. Foto di Gabriele Gelsi.

Vorrei chiederti mille cose ma, questa volta, come da premesse vorrei soffermarmi sulle tue attività di produttore. A parte la riedizione di alcuni grandiosi spettacoli come Aggiungi un posto a tavola, sei stato uno dei soggetti a credere nella possibile, completa, realizzazione di musical “italiani”. Mi risulta che il primo esperimento (ottimamente riuscito tra l’altro) sia stato Rapunzel nel 2014 fino ad arrivare, più recentemente, ad Aladin il musical geniale, che è terminato pochi giorni prima della pandemia. Ci racconti qual è stata la “vision” che ti ha invogliato a fare questa scelta e le difficoltà che hai incontrato per inserirti in questo settore produttivo che, dopo la fine dell’esperienza della commedia musicale di G&G, sembrava difficilmente realizzabile nel nostro paese per scarsa cultura d’area?

Dopo dieci anni di Sala Umberto, nel pieno della crisi economica post effetti Lehman Brothers e patto di stabilità del buon Tremonti culminata simbolicamente nella nomina di Monti nel novembre 2011, stavo meditando di passare la mano; avevo raggiunto tutti gli obiettivi ed ero molto oberato in entrambi i lavori. Poi arriva, in aprile 2012, la notizia che il gruppo Stage Entertainment, colto dalla crisi in tutta Europa, avrebbe lasciato la gestione del Brancaccio. Fu una vera tegola in quel momento. Andava tutto male. In questo contesto con la mia squadra di fervidi collaboratori ci guardammo negli occhi e feci un altro salto nel buio: iniziò così l’avventura Brancaccio. Era il settembre 2012. Due anni dopo capimmo che raggiungere un pareggio senza produrre era impossibile. Decidemmo di entrare nella produzione del genere Musical. È nato così, in questo contesto, Rapunzel il musical. Tutto italiano. Ho pensato che il teatro, in assenza di sostegno pubblico, non poteva sopravvivere e che pertanto andava creata una massa e un flusso di entrate rilevante per auto alimentarsi. Abbiamo investito e creato un gruppo di lavoro di qualità, migliorando piano piano ad ogni nuova produzione. Abbiamo realizzato dieci musical in cinque stagioni. Un lavoro immenso per la nostra dimensione. Abbiamo scritturato in media 240 attori e tecnici a stagione oltre agli 80 dipendenti impiegati nei quattro teatri e nelle scuole, più tutti i servizi: una macchina che ha dato tanto lavoro a tutti con successo. Ho aperto uno spazio (Impero) con sette sale prova e una scuola professionale di teatro; contemporaneamente nel 2012 ho avviato il progetto Spazio Diamante, con tre sale che ha il riconoscimento regionale come centro di formazione, mostrando che attività in centro città (Brancaccio, Sala Umberto) e in periferia (Impero, Diamante) potessero coesistere in sinergia. In fondo quello che ho provato a fare è dare vita ad un distretto culturale che potesse creare occupazione e contenuti, oltre alla formazione, al teatro per le scuole, alle tre scuole di danza, musical, prosa e non ultimo il supporto alla scuola di arti circensi, più la distribuzione e produzione di prosa. Un impianto unico in un panorama decadente incastonato a Roma. Questa città avrebbe nell’economia culturale una delle sue migliori opportunità insieme al turismo e al settore audio video. Chissà, forse un giorno succederà. 

Durante questo periodo di pandemia quasi tutti gli spettacoli in “cantiere” (molti già in cartellone sia per la stagione 19/20 che quella attuale) sono rimasti bloccati. Quali e quanti sono le difficoltà che incontra un produttore in questo momento così pesante per lo spettacolo dal vivo? Lo stato ha compreso la necessità di stare vicino a realtà come O.T.I. o alla Viola produzioni? Cosa pensi della situazione dei ristori offerti al vostro settore?

I produttori che hanno investito su nuovi allestimenti sono in ginocchio. Soprattutto quelli che non hanno il supporto dei fondi pubblici. Purtroppo lo spettacolo dal vivo è come il latte fresco, se non lo consumi subito non riesci più di tanto a mantenerlo. Quindi uno stop di pochi mesi è drammatico ma uno di un’intera stagione è insostenibile. Di conseguenza i produttori rischiano di fallire e gli attori e i tecnici sono i più colpiti perché non hanno neanche quel poco di cassa integrazione che è stata riconosciuta ai dipendenti dei teatri. È davvero un momento cupo. Lo Stato non ha pensato ai produttori che sono fuori dal FUS (Fondo Unico dello Spettacolo), mentre ha dato agli esercizi più rilevanti un indennizzo a forfait utile a coprire parte del danno, anche se non tutti lo hanno potuto ricevere. Sarebbe necessaria una mappatura più completa del settore per valutare una distribuzione delle risorse pubbliche ben ponderata rispetto alle esigenze oggettive. Il FUS deve essere almeno raddoppiato e va introdotto il Tax credit per lo spettacolo dal vivo. Va ripensato il modello che regola il settore. I ristori sono ossigeno puro quando non puoi lavorare ma sono davvero esigui se hai una media dimensione. I costi fissi non li puoi fermare. Abbiamo avuto varie minacce di sfratto da parte dei proprietari degli stabili. Nessuno si cura del dramma in cui stiamo. Devo fare un plauso alla Regione Lazio che per la prima volta ha davvero dato un vero supporto agli esercenti teatrali.

Presentazione di “Aggiungi un posto a tavola”. Foto di Massimiliano Fusco.

Nel breve lasso di tempo trascorso dalla fine dell’estate e l’inizio dell’autunno sei riuscito a portare in scena il duo Guidi-Ingrassia con Maurizio IV al Teatro Sala Umberto. Come ha reagito il pubblico a questo, diciamo così, esperimento in un momento in cui la paura della malattia ha indotto molte persone a restare a casa? 

È stato molto bello, direi una inaugurazione commovente. Il pubblico felice e pieno di gratitudine. Segnali di ritorno ad una quasi normalità. Potersi rivedere e ripartire. Nel pieno rispetto delle regole, con distanziamento e mascherine ed entrata contingentata, massimo 200 spettatori. Ho debuttato con la nostra produzione Maurizio IV che si era fermata dopo la piazza di Napoli a fine febbraio. Abbiamo sognato per 10 recite poi il nuovo stop. Economicamente un vero salasso la cosiddetta falsa partenza ma siamo stati felici di averla fatta. 

Ti propongo una domanda che ho fatto anche in altre occasioni. Si sta diffondendo, nel tentativo di non tenere gli attori e i registi fermi e nel contempo salvaguardare qualche posto di lavoro nelle maestranze, il teatro in streaming. Cosa pensi di questa forma di spettacolo e della proposta possibile creazione di una “Netflix del teatro” di cui si è recentemente parlato? 

Credo di essere stato uno dei primi a proporre l’istituzione di RAI TEATRO sulla scia di RAI CINEMA. Ben consapevole che non si tratta di una alternativa ma di una integrazione alla mancanza di lavoro per gli attori e i tecnici. Oggi è stata partorita ITsART (n.d.r. vedere https://www.itsart.tv/),  piattaforma di distribuzione di contenuti che premia chi raccoglie più contatti (Revenue Sharing) e punta a vendere Italia in Europa. È in itinere la strategia aziendale. Ad oggi è un progetto rivolto a soggetti come Enti Lirici e Sinfonici, i sette Teatri Nazionali e qualche Tric (n.d.r. Teatri di rilevante interesse culturale) più attivo. Per i soggetti privati, peraltro senza tax credit, investire in produzione audio video secondo i canoni televisivi – cinematografici ha un costo che non invita al rischio. C’è anche un problema di SIAE per l’utilizzo di vecchie registrazioni che non hanno la liberatoria degli artisti e degli autori. Quindi una opportunità da migliorare ma comunque in un contesto di cambiamento da percorrere. 

Gli imprenditori, per la stessa natura della loro professionalità, debbono essere sempre sul “pezzo” e debbono saper guardare avanti, oltre gli ostacoli. Proprio per questo, immagino, tu stia già lavorando a dei progetti, per le varie realtà produttive che curi, sia per il finale di stagione 2020/2021, sia, purtroppo, più probabilmente per quella 2021/2022.
Vorrei chiudere questa intervista, quasi per scaramanzia, con un attimo di ottimismo e speranza. Ci offri qualche anticipazione su cosa ci offrirà prossimamente, sui palcoscenici italiani, la Viola produzioni? 

Non rientro nella categoria “imprenditori” semplicemente perché l’attività teatrale, per come viene svolta, non rientra nel “business”.  Certamente rientra in una attività che ha i rischi dell’impresa ma non ha come obiettivo l’utile che rimane una chimera salvo ottenere i giusti contributi; siamo fortunati quando raggiungiamo il pareggio di gruppo, il teatro è un’attività che cura l’animo della gente. Ironicamente potrei definirmi un attivista culturale resistente e certamente sto sempre sul “pezzo” per la sopravvivenza del gruppo. Le stagioni del 2020/2021 sono state fatte e non attivate pertanto riproporrò questi progetti. L’incognita tournée tuttavia non è ora prevedibile: ci saranno le capienze contingentate? Le compagnie verranno fermate se uno dei componenti avesse contatti con chi ha il COVID o contraesse il virus? Ovvero saremo tutelati come i calciatori? I teatri pagheranno gli stessi cachet pur avendo i posti ridotti? Verranno richieste più recite a parità di cachet per compensare la domanda rispetto ai posti ridotti con il relativo aggravio dei costi di produzione? Avremo una data di riapertura ufficiale con largo anticipo? Molte e gravi sono le incognite per le produzioni teatrali. Ancora una volta coloro che saranno fuori dal FUS rischieranno molto. Non è pessimismo ma semplice realismo. Mettere in prevendita, ora, la prossima stagione sarà il primo indicatore di sostenibilità del teatro. Attendiamo un gesto di saggezza del Governo e quindi del MiBACT. 

Alessandro Longobardi con Stefania Sandrelli. Foto di Igino Ceremigna.