LIBERTEATRI > “Raccontare Il Mulino di Amleto”: dalla scena al libro di Letizia Bernazza

“Platonov”. Foto di Manuela Giusto

Pubblicato a dicembre 2024 dalla casa editrice Cue Press, il volume Raccontare Il Mulino di Amleto. Per un teatro in ascolto scritto da Ilena Ambrosio e Laura Novelli è un’opera complessa e rigorosa.
Complessa perché le autrici riescono a tracciare l’intero percorso artistico della compagnia, fondata ufficialmente nel 2009 da Marco Lorenzi, Barbara Mazzi e Maddalena Monti nel capoluogo piemontese; rigorosa perché poggia le basi su di una ricerca che analizza e ricostruisce minuziosamente la poetica e il processo creativo del gruppo.
Ambrosio e Novelli hanno saputo “mettersi in ascolto”, intercettare il “sentire” della compagnia, proprio al pari di quanto è nella natura e nello spirito del Mulino di Amleto, il cui tratto distintivo risiede – come dichiarato nella Premessa del libro – in «(…) una capacità di ascolto: della realtà, dell’essere umano, che sia esso autore, personaggio, attore, regista o spettatore» (p. 9). Dunque, “un ascolto nell’ascolto” che, tappa dopo tappa, capitolo dopo capitolo, conduce il lettore/la lettrice ad enucleare i differenti centri propulsori del fare teatro. «L’incontro con il testo e l’analisi, il training con gli attori, la costruzione della scena e, infine, l’incontro con il pubblico: fasi di studio e lavoro che raccontano di una pratica vitale, affatto rigida o sterile, bensì aperta e sempre in ascolto» (Ibidem).

Quello per il testo è, prima di tutto, un innamoramento. Una folgorante fascinazione impossibile da lasciar andare e alla quale si rimane aggrappati a causa di una sorta di straordinaria bellezza che incanta e che richiede con urgenza di essere messa in scena.
A tale proposito, colpisce il racconto dell’incontro con Tous des Oiseaux dello scrittore e regista libanese, direttore artistico del Théâtre National de la Colline di Parigi, Wajdi Mouawad. Tra le righe è palpabile l’emozione di Marco Lorenzi e Barbara Mazzi di fronte alla prima scena dell’opera: l’incontro tra Eitan e Wahida in una biblioteca di New York, dove la ragazza è impegnata nella stesura della sua tesi. Rappresentata in prima nazionale nel 2023 al Teatro Astra di Torino, l’opera (che è valso al Mulino il Premio Ubu 2024 per Nuovo testo straniero messo in scena da una compagnia italiana) suggella e riconferma la necessità del Mulino di dialogare costantemente con il presente. La storia d’amore tra il giovane ebreo e la giovane araba-statunitense non può non riportarci a un oggi corroso da un odio atavico e ingiustizie mai risolte che stanno portando al massacro di massa del popolo palestinese.

“Come gli uccelli”. Foto di Giuseppe Distefano

Passando per i classici, da Shakespeare a Goldoni, da Molière a Hugo, da Brecht a Feydeau, da Čechov a Ovidio, fino a Pasolini e al cinema di Vinterberg si arriva a Tous des Oiseaux (Come gli uccelli). È in tali continui “attraversamenti” di generi e di linguaggi differenti che le due autrici definiscono “poligama” la “sensibilità drammaturgica” della compagnia, per la quale «la distanza temporale», sottolineano, non è «un limite bensì un fecondo punto di osservazione drammaturgica (…) per garantire un affondo consapevole nella sensibilità odierna» (p.15).

Il punto di forza del volume consiste, a nostro avviso, in un’indagine critico-analitica che procede per macro-temi. Dopo aver affrontato con puntualità “La scelta del testo”, la ricerca nei successivi capitoli si focalizza su: “Il lavoro sul testo”, “L’attore”, “Il dispositivo scenico” e “Il pubblico”. Macro-temi che, tuttavia, si fondono tra loro, fino a costituire una sorta di “mappa concettuale” che permette a chi legge di mettere in relazione le differenti “diramazioni” teorizzate, consentendogli di elaborare una propria “mappa” diacronica.

Così la “sensibilità drammaturgica”, sottesa alla scelta del testo, si fa lettura scrupolosa dello stesso, approfondimento della poetica dell’autore contaminata da “sguardi altri” attinti dal cinema alla musica, dalla letteratura alle arti figurative, dalla cultura classica alla cultura pop. Uno “sguardo allargato”, dunque, vivificato dalle sollecitazioni e dalle suggestioni dei tanti materiali esplorati in quel lavorio che accompagna la fase di creazione drammaturgico-registica e attoriale. Si tratta di un processo collettivo, pur nel rispetto dell’ambito artistico di ciascun componente della compagnia, che dallo scambio reciproco approda progressivamente alla composizione della messa in scena, la quale – come fanno notare le due autrici – porterà con sé inevitabilmente l’incanto di un’immagine, un oggetto, un’azione, anche se poi tali materiali non saranno necessariamente “dentro” lo spettacolo (per approfondire il lavoro condotto dal Mulino su Come gli uccelli, Platonov. Un modo come un altro per dire che la felicità è altrove e Festen. Il gioco della verità rimandiamo alle pagine 26-36 del volume).

“Festen”. Foto di Giuseppe Distefano

Se è la “sensibilità drammaturgica” a guidare la scelta del testo, è l’“umanità” il centro distintivo dell’attore. Un’umanità che è per l’interprete la «(…) possibilità di “essere”, nel presente della rappresentazione, ciò che dice e ciò che fa poiché di ciò che dice e di ciò che fa ha compreso e assunto tutte le sfaccettature e le possibili implicazioni» (p. 51). L’attore esprime sulla scena ciò che è: prima di tutto un essere umano che si fa tramite – con il suo pensiero, i suoi sentimenti, il suo corpo – del presente. Il presente della messinscena, per mezzo di un training quotidiano complesso (esercizi a corpo libero, giochi, improvvisazioni) il cui obiettivo, per citare rispettivamente due maestri fondatori del Teatro del Novecento (Peter Brook e Eugenio Barba), è quello di “rendere visibile l’invisibile” con un costante processo di sottrazione e con un allenamento che permetta di sperimentare una dimensione “extra-ordinaria”.
La memoria fisica conduce alla vita spirituale e il delicato compito del “direttore di attori” (così si fa chiamare Marco Lorenzi, piuttosto che “regista di spettacoli”) è di disegnare, in maniera collettiva con l’intero ensemble, traiettorie che toccano le intime verità del testo, dei personaggi, degli attori e dell’impianto scenico.

Anche lo spazio teatrale nelle opere del Mulino riflette la natura più profonda del lavoro collettivo: si tratta di una creazione fatta “tutti insieme” senza alcuna “sudditanza”, afferma Eleonora Diana, scenografa e videoartista che ha curato il visual concept di diverse produzioni del Mulino (p. 55).
Lo spazio (è ancora Peter Brook una delle principali fonti d’ispirazione) assume la valenza di spazio “vuoto” e di spazio come “strumento” ovvero di un luogo vitale dove sprigionare le potenzialità dell’energia espressiva e dove sperimentare, proprio a partire dallo spazio, le linee estetiche e poetiche delle opere rappresentate.
Ilena Ambrosio e Laura Novelli ci guidano, con un’analisi minuziosa, ad entrare nelle differenti modalità di utilizzo del dispositivo scenico: nelle prove di “spazio vuoto”, in quelle di “spazio pieno” (si veda a tale proposito la parte dedicata a Kollaps/Collasso del drammaturgo contemporaneo tedesco Philipp Löhle, pp. 60-61) fino ai “nuovi approdi”: Come devi immaginarmi dedicato a Pier Paolo Pasolini e Come gli uccelli (pp. 61-64).

L’ultimo capitolo è dedicato al pubblico.
Il Teatro è incontro.
Il Mulino concepisce «(…) una visione dello spettatore fluida, non rigida né precostituita o precostituibile,» – scrivono le autrici – «che non lo ingabbia in una mera passività fruitiva; anche quando non direttamente chiamato in causa, egli costituisce comunque una delle componenti fondamentali del meccanismo drammaturgico e scenico» (p. 72).
Il Teatro, aggiungiamo, è l’incontro con l’altro. È relazione. È uno scambio vivo. E il Mulino ha scelto di tendere la mano all’umano con una ricerca votata a coinvolgere le identità, le differenze, a sentirsi ciascuno parte di un tutto. Un po’ come l’Uccello anfibio protagonista dell’opera di Wajdi Mouawad che, quando sembra non avere più speranze di vita, esclama: «Sono io! Sono uno di voi!».

Un messaggio civile e politico mai più attuale di oggi. Mentre terminiamo queste righe, il Mondo rischia di sprofondare nel caos. Basterebbe ripetersi «Sono io! Sono uno di voi!» per mettere fine a ogni guerra.

Il volume è completato da un ricco apparato iconografico; dagli scritti delle due anime fondatrici del Mulino, Marco Lorenzi e Barbara Mazzi; dalle voci della compagnia; dalle testimonianze di alcuni critici; da una dettagliata Teatrografia e una minuziosa Bibliografia.

Ilena Ambrosio, Laura Novelli, Raccontare Il Mulino di Amleto. Per un teatro in ascolto, Cue Press, Imola (BO), 2024, pp. 167, euro 24,99.

“Platonov”. Foto di copertina di Marco Caselli Nirmal
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