Il Teatro delle Albe: un Va pensiero sulle ali dorate della corruzione di Letizia Bernazza

La frase di Corrado Alvaro, tra le citazioni e i ringraziamenti di Va pensiero – l’ultima opera del Teatro delle Albe coprodotta da Ravenna Teatro con Emilia Romagna Teatro Fondazione – è rappresentativa per comprendere a fondo il significato del lavoro di Marco Martinelli e di Ermanna Montanari: avviare una riflessione sul nostro stare al Mondo. È questo il punto di forza della messinscena. Gli spettatori, infatti, vengono accompagnati lungo un percorso, intriso di umana sensibilità, che li conduce progressivamente a prendere una posizione nei confronti di un tema tanto urgente quanto improcrastinabile come quello dell’integrità morale. Un tema che coincide con un’idea, ovvia, ma non così scontata, di adottare pensieri e comportamenti etici “giusti”, rispettosi della convivenza civile.

L’opera risorgimentale di Verdi che relazione ha con le vicende della ‘ndrangheta e della mafia in Emilia Romagna? Quale il rapporto che Marco Martinelli e Ermanna Montanari istituiscono tra l’opera verdiana – espressione di un canto accorato di popoli esuli, schiavi e perdenti – e la nostra Italia? Va pensiero << È un romanzo teatrale sull’Italia di oggi,>> – si legge nelle note di regia – << su un popolo in prigionia come lo era quello ebreo nella cattività babilonese: il Va pensiero suona per tutti noi, il Va pensiero senza apostrofo, come nel libretto originale del 1842>>.

Lo spettacolo ha a cuore le vicissitudini di Donato Ungaro (persona reale, vigile urbano di Brescello con la passione della scrittura) che si intrecciano al malcostume e al malaffare ormai dilaganti in un Paese dove si è infranta la relazione armonica tra polis e individui: non siamo cittadini liberi con le stesse norme di diritto (l’isonomia greca) né troviamo la nostra realizzazione nella partecipazione alla vita collettiva e nella costruzione del bene comune. Il vigile (in Va pensiero è il personaggio Vincenzo Benedetti) ci prova. In servizio a Milano, decide di tornare nei luoghi dell’infanzia per vivere con la sua famiglia in un contesto meno “infettato” dalla corruzione. Un’illusione, perché l’uomo si troverà fagocitato da interessi economici e politici più grandi di lui che non gli lasceranno scampo. Ungaro-Benedetti ha la schiena dritta, è una persona perbene con profondi valori morali, ai quali non vuole rinunciare sia per preservare la sua stessa lealtà sia per difendere la comunità di appartenenza. È per questo che denuncia con coraggio infiltrazioni mafiose, collusioni politiche e abusi edilizi.

Il Teatro delle Albe non è certo estraneo a suggerire considerazioni complesse sul nostro Presente. Basterebbe citare Pantani o Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi. Eppure credo che in Va pensiero, l’operazione – drammaturgica e registica – abbia una singolare originalità: Marco Martinelli e Ermanna Montanari riescono a far dialogare tra loro il particolare e l’Universale, le storie e la Storia. Ogni personaggio è un tassello di un grande mosaico che si compone davanti ai nostri occhi. Ciascuno si racconta e ci racconta: ne deriva un ritratto complesso, una sorta di “macchina infernale”, che condiziona, travolge e schiaccia, con implacabile cinismo, quanti provano a fermarla.

Tutti i protagonisti della vicenda sono in primo piano. Dietro di loro un Coro (di volta in volta differente a seconda delle città dove l’opera viene rappresentata. Nel caso di Roma, la Corale Polifonica Città di Anzio), sistemato al di là di un sipario velato. Il Coro, epicamente, interviene; tenta di far sentire la propria voce; si contrappone, nella sua unitarietà, alla masnada di esseri sghembi, ipocriti e faccendieri, sostenuti da poteri politici fraudolenti e dal sensazionalismo massmediologico. C’è allora la Sindaca-Zarina (una bravissima Ermanna Montanari) che con il proprio corpo, irrigidito dalla sua stessa “impurità”, attraversa barcollante il palcoscenico all’inizio dello spettacolo. Se lei – figlia di “uno stalinista di ferro”, di <<un uomo che ha governato per anni la città con un polso, con una disciplina… con due palle così>> – vacilla, figuriamoci gli altri. La Zarina (che preferisce essere nominata Sindaco e non Sindaca!) non ha memoria del suo passato e, spietata, cede alla volontà di un gruppetto di loschi faccendieri, i quali le chiedono di appoggiare il progetto di costruzione di una centrale elettrica sul Po. Intorno a lei, ruotano la sua segretaria (abile a nascondere di non essere al corrente sulle questioni “ambigue” che coinvolgono il Comune); i due imprenditori (affiliati alla criminalità organizzata e “rassegnati” a farlo per non ammettere il loro coinvolgimento in business “equivoci”); l’addetto stampa (incline a favorire i traffici illeciti delle imprese); la consulente (votata alla corruzione e per questo spedita in galera); il cacciatore di nutrie, bestie “non autoctone” da abbattere soltanto perché estranee al nostro “habitat naturale”: una questione, metaforicamente, in linea con le battaglie di natura “etnica” inseguite da alcuni nostri attuali governanti.

Chi combatte, allora, questo bieco sistema? Chi cerca di non vomitare come la Zarina, che ha continui conati di vomito, espressione di quel ribrezzo recondito che la donna prova per le sue stesse azioni malvagie? Chi tenta di sottrarsi al lerciume degli oltraggi continui e sommessamente subiti? La segretaria, ad esempio, la quale sperpera i denari sicuri dello stipendio per corsi di Yoga e di Zumba pur di evadere? No, non sono loro né il manipolo di grossolani maneggioni (compreso il giovane politico rampante che non guarda in faccia a nessuno pur di toccare le vette dorate dei Palazzi che contano). Sono, invece, i due gelatai napoletani (per non pagare il pizzo chiuderanno il locale) e il vigile incorruttibile a opporsi a una società dove per essere vincenti occorre possedere soldi, fimmine, Lamborghini, Jaguar e case laccate d’oro.

Marco Martinelli e Ermanna Montanari contrastano pezzo dopo pezzo il sistema neocapitalistico contraddistinto dall’esagerata e rutilante magniloquenza esibita (non a caso di fronte al pubblico, per l’intera durata dello spettacolo, le essenziali scenografie e gli esigui arredi vengono smontati e rimontati di continuo). Basta con i privilegi. Le multe in sosta vietata vanno pagate (le stesse che il vigile Benedetti pretende per difendere il traffico di Piazza Mazzini). Basta con i ricatti di associazioni mafiose (che controllano il territorio, sostituendosi allo Stato) e di contabili, imprenditori e uffici stampa – “borghesi piccoli piccoli” – burattini di organizzazioni criminali votate all’illegalità.

<<Si deve dire, non si può tacere la verità>>. È ancora il Coro a rivolgersi alla platea, un grido di libertà come le immagini di uno stormo di uccelli che si libra nell’aria, prima di invitare nel finale gli spettatori a intonare il Va pensiero. La sala e il palco si illuminano. Ci si guarda in faccia e tutti insieme rendiamo omaggio alla nostra Patria <<… bella e perduta! Arpa d’or dei fatidici vati. Perché muta dal salice pendi? Le memorie del petto riaccendi>>, prima che Donato Ungaro in persona venga invitato a parlare della sua battaglia vinta contro il Comune, costretto dopo molti anni di battaglie a reintegrarlo nel suo ruolo di vigile urbano.

<<Tra quante cose esistono terribili / Nessuna è più terribile dell’uomo (…) / L’umano / Tiene in conto di nulla. Così, terribile / diventa a se stesso>>. Le parole sulla Vergogna, annunciate dai Vecchi dell’Antigone di Sofocle rielaborata da Brecht nel 1947 sulla base della narrazione di Hölderlin, sono risuonate dentro di me per giorni insieme alla frase di Tommaso Campanella in apertura delle note di regia di Va pensiero: <<Può nuova progenie / il canto novello fare>>. Una speranza e un’utopia concrete.

 

Va pensiero

di Marco Martinelli

ideazione e regia Marco Martinelli ed Ermanna Montanari

in scena Ermanna Montanari, Alessandro Argnani, Salvatore Caruso, Tonia Garante, Roberto Magnani, Mirella Mastronardi, Ernesto Orrico, Gianni Parmiani, Laura Redaelli, Alessandro Renda

con la partecipazione della Corale Polifonica Città di Anzio nell’esecuzione di alcuni brani delle opere di Giuseppe Verdi

incursione scenica Fagio, Luca Pagliano

arrangiamento e adattamenti musicali, accompagnatore e maestro del coro Stefanno Nanni

scene Edoardo Sanchi

costumi Giada Masi

disegno luci Fabio Sajiz

musiche originali Marco Olivieri

suono Marco Olivieri, Fagio

consulenza musicale Gerardo Guccini

editing video Alessandro Renda

fotografie dello spettacolo Silvia Lelli

Teatro Argentina, Roma, dal 13 al 18 novembre 2018. Spettacolo in tournée.