Dello Scompiglio: l’arte come movimento e condivisione. Intervista a Cecilia Bertoni di Letizia Bernazza

Foto di Claire Guerrier

Un luogo, la Tenuta Dello Scompiglio, immerso nella natura a pochi chilometri da Lucca. Un luogo, situato nelle verdi colline di Vorno, che – grazie a un interessante progetto – è divenuto un habitat di scambio e di relazione con l’ambiente, con la sua storia, ma anche con «forme contemporanee d’interazione e di responsabilità». Essere “presenti” in un contesto naturale, spaziale, architettonico diventa l’espressione urgente di istituire un dialogo, come afferma la Direttrice artistica Cecilia Bertoni, «con la terra, con il bosco, con la fauna… le arti visive e performatiche negli spazi interni ed esterni» che contribuiscono a una ricerca di cultura. Una ricerca laboriosa, rigorosa – supportata costantemente da tutti i collaboratori al progetto – e finalizzata da settembre 2018 a indagare il tema della morte.
 

Come nasce il progetto della Tenuta Dello Scompiglio? 

Il Progetto Dello Scompiglio nasce come una mia ricerca di un luogo in cui mettere radici, un luogo nel quale continuare a sviluppare la mia attività artistica. Per lo meno così è stato inizialmente. Ero vissuta per 30 anni all’estero e avevo l’illusione di ritrovare in Italia qualche forma di “sentirsi a casa”.
Dopo una lunga ricerca, in una giornata di caldo cocente sono passata per l’antico cancello di ferro e improvvisamente il canto degli uccelli e il gorgogliare dell’acqua all’ombra di alberi secolari mi hanno portata in un altro mondo. E ho saputo che era il luogo che cercavo. Tutto il resto dei 50 ettari era ricoperto da rovi e tutte le costruzioni erano parzialmente o totalmente diroccate.
Non avevo nessun proposito agricolo, ma il luogo lo chiedeva. Insomma, il luogo mi avrebbe dato qualcosa e dovevo ricambiare, essere in dialogo con esso.
Poco a poco ciò che era nascosto e addormentato sotto i rovi ha cominciato a svelarsi e a raccontarsi. Abbiamo ritrovato antichi vigneti, frutteti e oliveti, ma anche terrazzamenti e canalizzazioni in pietra. Abbiamo cominciato a leggere la storia del luogo e a portarla nel presente e possibilmente nel futuro. Una grande parte della Tenuta è mantenuta e sviluppata come area paesaggistica, rispettando l’evoluzione e il disegno della natura stessa e aggiungendo piccoli gesti, interagendo poco a poco. Quest’area paesaggistica è anche il cuore delle performance, delle installazioni e dei concerti site-specific, ma anche semplicemente uno spazio in cui camminare, riposare, affinare i sensi.
È poi sorto lo SPE, Spazio Performatico ed Espositivo, che è un’antica casa colonica ristrutturata e sotto la quale è stato scavato un grande spazio completamente in contrasto con la natura, con la luce naturale e con l’architettura della casa colonica stessa.
Una cosa essenziale è che per tutto lo sviluppo agricolo, paesaggistico, edilizio e artistico sono cominciate ad affluire persone, collaboratori. Insomma non si può immaginare questo luogo senza le persone.

Quale la relazione che da artista ha voluto istituire con quel particolare luogo e con la sua natura? 

All’inizio tutto ha cominciato a svilupparsi in una maniera più istintiva che razionale. La percezione del luogo, la scoperta di parti dapprima scollegate e il graduale processo di assemblaggio in un unico organismo vivente e in movimento, sono evolute in un’idea più articolata e consapevole.
Nel mio lavoro, il corpo, il movimento, la composizione e la coesistenza di diversi livelli sono essenziali e costituiscono una prospettiva attraverso la quale passa la mia percezione e il mio agire. Questo approccio esiste in tutto quello che faccio.
Nella natura c’è però sempre l’imprevisto, succede qualcosa che non possiamo controllare, che possiamo solo ascoltare e assecondare. È un processo infinito che richiede lealtà a lungo termine.

Foto di Alice Mollica

 

 

 

 

 

 

Foto di Alice Mollica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In una sua intervista, pubblicata sulla rivista “Domus Green”, dichiara: «… posso dire che il progetto è un’estensione di me stessa».  Ci può spiegare meglio? 

Devo dire che questa affermazione, se decontestualizzata, suona un po’ egocentrica…
Diciamo che è un po’ come la casa, che, nel migliore dei casi, riflette all’esterno quello che siamo e quello che facciamo. Per lo meno in parte. Quando abbiamo ospiti già comincia a modificarsi, anche se per un lasso di tempo limitato. Ma magari l’ospite lascia qualcosa di sé che ci piace e che incorporiamo. Se abbiamo poi coinquilini si trasforma in un nucleo ben diverso.
Dello Scompiglio, nella sua macro idea, nella sua diversificazione e convivenza di molti elementi, è nato dalla mia persona, ma vorrebbe anche favorire un organismo sociale nel quale ogni individuo possa metterci del suo, approfondire e sviluppare alcuni aspetti, rispecchiarsi e crescere, e anche responsabilizzarsi. Tutto questo senza perdere di vista la macro idea, che di per sé è flessibile, dà spazio al movimento. Mi rendo conto che tutto ciò è complesso da realizzare, ma vale la pena provarci.

Da tre anni a oggi, la programmazione Dello Scompiglio è legata a temi specifici che vengono articolati con mostre, performance, concerti, workshop, residenze, incontri, attività per bambini.  Possiamo affermare che le tematiche scelte nascono, o vengono stimolate, anche a partire dal luogo, Dello Scompiglio, cioè il contesto in cui la programmazione stessa prende vita? 

I temi che abbiamo fino ad ora sviluppato nei bandi, per la nostra programmazione e la mia propria creazione artistica, sono stati genere, sesso e sessualità, confluiti nella programmazione Assemblaggi Provvisori, e la morte, nella rassegna ancora in corso Della morte e del morire. Le tematiche nascono più che altro da quelle che accompagnano la mia biografia e ricerca artistica e il riscontro che poi hanno nelle colleghe co-fondatrici dell’Associazione Culturale, Michela Giovannelli e Marialucia Carones, e dei co-curatori per le diverse aree, Antonio Caggiano e Angel Moya Garcia.
Negli anni precedenti, sebbene in forma più ristretta, abbiamo avuto anche altri bandi e rassegne a tema: Il Cimitero della Memoria, il premio Portali Dello Scompiglio, entrambi progetti di arti visive nella natura, legati alla morte; John Cage: 4’33” Lezione sui funghi, Mozart, così fan tutti, Tradizione e individualità, queste ultime tutte rassegne di concerti curate da Antonio Caggiano.
Insomma il luogo non ha portato ai temi, ma ne ha sicuramente influenzato lo sviluppo quando si è trattato di opere inedite o nella natura.

Da settembre 2018 a dicembre 2019 state lavorando intorno a un argomento delicato e composito come quello della morte. Della morte e del morire è, infatti, il titolo del ricco cartellone che proponete. Perché la morte? 

La morte è l’unica certezza nelle nostre vite. Come e quando accadrà non lo sappiamo. Cosa sia veramente la morte lo possiamo solo immaginare. Se ci sia un aldilà o meno è in entrambi i casi un credo. Com’è l’aldilà? O com’è il nulla? Si può immaginare la morte separata dalla vita? Qual è l’influenza che la nostra visione della morte ha sul nostro vivere? Ognuno s’immagina la morte diversamente e proprio per questo è artisticamente ricca di spunti e lo è stata in tutta la storia dei popoli e dell’arte.
La morte è diventata uno dei soggetti più temuti nella contemporaneità della nostra civiltà occidentale. La cosa da evitare a qualunque costo. Qualcosa della quale è difficile parlare e che quindi rimane relegata al nostro solitario pensare. O all’oblio.
L’arte può invece portare movimento e condivisione senza voler affermare, ma lasciando affiorare immaginazioni, prospettive diverse e legittimando quindi la visione di ciascuno di noi.

Può anticiparci qualche progetto futuro? 

A parte le residenze finali e il debutto entro dicembre della performance di Stefano Questorio prodotta da Associazione Culturale  Dello Scompiglio e da ALDES, del concerto di Auser Musici / Petra Magoni, dei progetti di Dante Antonelli e Alessio Trevisani / Freies Tanz Ensemble, che saranno proposti invece nel 2020 – tutti parte del Progetto Della morte e del morire – non abbiamo ancora pianificato nulla, in vista di un periodo di valutazione e di “introspezione” per poter elaborare come continuare il percorso. So che il sistema richiede che si vada sempre avanti senza fermarsi. Ma i rischi di proseguire inserendo il pilota automatico e dimenticando cosa mai si stia cercando e come cercarlo sono molto grandi.

Foto di Cecilia Bertoni

Per tutte le informazioni:

http://www.delloscompiglio.org/