Una “Strage” per rinascere, nel nuovo spettacolo di Dario Costa di Renata Savo

Foto di Enrico Giansanti

Quando sopravvivere costa più che morire. È il sottotitolo de La Strage, ultimo spettacolo di Dario Costa, regista bergamasco di origine e romano di adozione che, dopo il precedente lavoro quasi omonimo, St(r)age, realizzato insieme a Sofia Bolognini per la compagnia bologninicosta, segue una nuova direzione, del tutto autonoma e diversa, con la nuova formazione romana Risacca Teatro. Ma quand’è che sopravvivere costa più che morire? È una domanda che chi fa teatro sembra porsi prima o poi, a un certo punto della propria vita, ovvero quando non si riesce a sbarcare il lunario ed entra in gioco una vera e propria crisi esistenziale, scaturita da uno status quo che necessiterebbe un azzeramento. Cosa si può fare, allora? La risposta sembra essere “riderci su”, tanto per cominciare.

Foto di Enrico Giansanti

È un video sarcastico, infatti, a introdurre lo spettacolo composto di due volumi (per la durata di circa un’ora ciascuno), mentre il pubblico prende posto nella sala auditorium Spin Time Labs, che ha coprodotto il lavoro e dove La Strage è andato in scena il 20 e 21 aprile: un video artigianale che, all’interno della cornice della finzione scenica, parossistica e surreale, diviene in poco tempo virale e tradotto in tutte le lingue del mondo, a confermarne la forza condivisa su scala globale. Nel video, l’attrice (Giorgia Narcisi) si riprende camminando furiosamente per casa e ripetendo come un mantra «Il teatro è una merda, uno sputo, un piscio. (…) Il teatro deve morire con me». Ed è subito Artaud, che, parafrasando, affermava che il teatro è come la peste, una sorta di contagiosa e diabolica malattia. Artaud, attore, drammaturgo e teorico folle e visionario, immaginava un teatro scosso dall’impeto di un incendio, un Teatro della Crudeltà testimone di un’esperienza capace di scuotere e sconvolgere le esistenze. Uno strumento che, attraverso l’utilizzo di tutti i codici possibili, e contro la tirannia del testo, provocasse degli effetti concreti sulla realtà. Ne La Strage, analogamente, si mette in scena la preparazione al “suicidio di massa” di tutti gli artisti, voluto da questi con l’obiettivo di suscitare una palingenesi e ridestare l’interesse per l’Arte. E, come nel teatro immaginato da Artaud, che è stato fondativo per i linguaggi teatrali della seconda metà del Novecento, in cui la “regia” che lavorava sui testi cedeva il passo alla “scrittura scenica”, la parola – qui firmata dagli interpreti Aurora di Gioia e Daniele Tagliaferri e liberamente tratta dal preesistente testo di Sofia Bolognini – viene accorpata alla dimensione multidisciplinare di un’estetica che si fa rito collettivo, in cui l’azione, fisica e simbolica, la fa da padrone. Il corpo degli attori – oltre alla Di Gioia, a Tagliaferri e a Giorgia Narcisi, c’è Andrea Zatti – assume una centralità assoluta nello spazio fisico minimalista, dov’è situato, enfatizzato da un grande panneggio, un passaggio che funge da ingresso/uscita di un al di qua che sarebbe il mondo reale e situato sulla sommità di una scalinata (come nel più popolare degli show italiani, il festival di Sanremo sul palco dell’Ariston). Il corpo, anche nella sua dimensione più volgare e animalesca, si esprime nella fisicità prorompente della bravissima Aurora di Gioia nei panni di una ex attrice diventata una stella grazie all’utilizzo “servile” dei social network e all’esibizione del suo corpo; nella sensualità delle alchimie fisiche, esercitate all’interno delle relazioni a sfondo sessuale tra i personaggi, segnate da fili intricati allo scopo di guadagnare appeal e un successo che per quanto appagante sarà condannato a essere fugace e transitorio.

Foto di Enrico Giansanti

Il primo dei due volumi, più riflessivo e meno ammiccante del secondo (in cui appare massiccio l’uso del suono, con le titillanti musiche originali firmate dallo stesso Dario Costa), si apre con una conferenza stampa: ricompaiono l’attrice del video, affiancata da una “celebrità”, un “attore cane” e un “emergente”, protagonisti anche del secondo volume. È chiaro che l’attore emergente incarni il punto di vista più realista e drammatico, mentre gli altri personaggi si muovono su un registro più comico/grottesco. La scena che segue rivela poi una situazione di confinamento. Gli stessi attori interpretano altri personaggi, isolati in una sorta di bunker o di piattaforma post apocalittica, che poi è proprio un teatro e, visto così da questa prospettiva di solitudine, sembra la cornice perfetta di un reality show interpretato da veri e propri casi umani, ciascuno dominato dalle proprie manie, debolezze e convinzioni; simboli, potremmo dire, dell’umanità prima dell’umanesimo, o meglio, archetipi di una pre-teatralizzazione del vivente. La strage, infatti, è già avvenuta, e del teatro come forma d’arte non c’è nessuna traccia nelle loro memorie. A loro, forse sì o forse no, spetta l’arduo compito di ridare vita a quello spazio, abitandolo e attribuendogli un senso nelle proprie esistenze, fino a farlo diventare, al di fuori della stessa nicchia che insieme rappresentano, una fucina di valori condivisi; proprio come era il teatro ai suoi albori, nell’Atene del V secolo a.C., quando svolgeva una funzione civica, di raccordo tra l’individuale e il collettivo, il terreno e lo spirituale. Il secondo volume dello spettacolo, invece, mostra l’ambiente teatrale prima della strage: un luogo di perversione, magheggi, arrivismo e miseria, in cui un emergente deve farsi trovare pronto a tutto per provare a uscire da quello stato di totale anonimato, frustrazione e pauperismo in cui attualmente, drammaticamente, il teatro indipendente purtroppo sembra destinato a riversare. La Strage, senza scadere nel solito, facile autoreferenzialismo di certi spettacoli che riflettono sul mondo teatrale, ci consegna un ritratto leggero e vagamente metafisico di una comunità che, tra le mille difficoltà, riesce anche a ridere dei suoi difetti.

La Strage – Quando sopravvivere costa più che morire

regia di Dario Costa
con Aurora Di Gioia, Giorgia Narcisi, Daniele Tagliaferri, Andrea Zatti
drammaturgia di Aurora Di Gioia, Daniele Tagliaferri
ideazione e realizzazione scenografia Andrea Zatti
costumi di Aurora Di Gioia
una produzione Risacca Teatro
in coproduzione con Spin Time Labs.

Spin Time Labs, Roma, 20 e 21 aprile 2023.

La compagnia fa sapere che è in programmazione una nuova apertura per pubblico e operatori a fine settembre-inizio ottobre. Per conoscere le date esatte, invita gli interessati a tenersi aggiornati sulle pagine social di Risacca Teatro.