Riflessioni a margine dell’ultimo film di Valerio Mieli di Laura Novelli

Lei. Lui. Entrambi giovani. Entrambi affascinanti. Si incontrano durante una festa estiva sospesa nel biancore di un’isola che non ha nome. Anch’essi in realtà sfuggono alla concretezza di una situazione di per sé reale, comune, diffusa. Nel guardarsi reciprocamente, nel parlarsi, le loro immagini cambiano a seconda della stoffa interiore che ne riveste le sensazioni, le emozioni, i singulti dell’anima. E soprattutto, a seconda di come la memoria si insinua senza sosta nel loro presente. Ricordi? di Valerio Mieli (già regista una decina di anni fa di Dieci inverni) è un film sull’amore e sul tempo. Ma forse sarebbe meglio definirlo un film sull’impossibilità di vivere in modo lineare sia l’uno sia l’altro. Luca Marinelli e Linda Caridi ne sono i due straordinari interpreti, capaci entrambi di dare spessore fisico, carnale, a un’atmosfera proustiana che sembrerebbe voler sfuggire a qualsiasi connotazione evenemenziale. Come se noi spettatori fossimo posti dinnanzi ad un “everlasting now” dove – proprio come capita a teatro – i protagonisti attraversano la loro storia (che è anche una storia di passione, abbandono, tradimento e riscoperta) mentre i fantasmi della loro mente e della loro memoria prendono forma visiva affastellandosi uno dopo l’altro, uno accanto all’altro. Con tutto il dolore e le lacerazioni che ciò comporta, soprattutto nel malinconico protagonista maschile.
Girata con uno stile molto raffinato e con estrema ricercatezza iconografica (tanto da ricordare il barocchismo visionario di Paolo Sorrentino e la lentezza scenografica di Michelangelo Antonioni), la pellicola di Mieli risulta secondo me molto teatrale pur essendo indubbiamente anti-teatrale. E se dico teatrale penso soprattutto ad autori come Harold Pinter, nelle cui opere passato e presente convivono senza cesure, senza spazi né tempi – appunto – deputati. Tutto accade ora. Tutto accade dentro. Ciò terrorizza perché non sapremo mai come liberarci da chi siamo stati e perché ogni amore, ogni esperienza felice già muore mentre la si vive, mentre la si pensa, mentre la si confronta con il nostro ieri. Ricordi? Ci parla dunque della “durata” delle emozioni. Dell’elastico mentale della nostra vita. Durare, perdurare significa assorbire il nuovo nel terreno già annaffiato dei nostri ricordi. Durare significa rinnovare (lo spiega anche Massimo Recalcati nel suo Lessico amoroso) ma questo rinnovare accade ora e solo ora. Nell’hic et nunc della scena – questa sì teatrale – del nostro presente. Del presente di Lui e Lei.

Mentre fluisce l’evolversi del loro incontro (la casa insieme, il quotidiano, la morte del padre di lei, la crisi) qualcosa dell’uno travasa nell’altra e viceversa, e la delicatezza in cui si muovono i loro sentimenti ondeggia sempre tra paura e speranza. Che grande verità! Mi ha ricordato quel passaggio de Il fu Mattia Pascal in cui la fragile Adriana incontrata nella casa romana dove Adriano Meis (alias lo stesso Mattia) ha preso una camera in affitto, accortasi delle attenzioni dell’uomo, «si mostrò» – scrive Pirandello – «come tenuta da due, tra la paura e la speranza. Non sapeva affidarsi a questa, indovinando che il dispetto mi spingeva; ma sentivo d’altra parte che la paura in lei era cagionata dalla speranza fino a quel momento segreta e quasi incosciente di non perdermi; e perciò, dando io ora a questa sua speranza alimento co’ miei nuovi modi risoluti, non sapeva neanche cedere del tutto alla paura».
Paura e speranza sono i fili che nel film, ora programmato in diverse sale della Penisola, tengono insieme i ricordi (i traumi infantili del ragazzo, quel primo bacio ricevuto da un’adolescente dai capelli rossi, il cane morto congelato nel freezer, lei bambina che passeggia con il padre) e che, al contempo, tengono insieme questo amore minacciato sempre dalla sua fine. Eppure le cose accadono ora, i ricordi vivono ora. In un presente che è il teatro del mondo e della vita. Lui protende più per la paura. Lei più per la speranza. Ma alla fine la bilancia dei sentimenti sembrerebbe trovare un flebile punto di equilibrio: il perdono che è – appunto – dimenticanza. Per fortuna, insomma, non è possibile tenere tutti i ricordi stipati dentro. Qualcosa inesorabilmente negli anni si dimentica. Ciò ci permette di amare di nuovo e ancora. Per fortuna, insomma, non siamo nell’Orlando Furioso e non c’è nessun Astolfo che possa volare sulla Luna a recuperare quanto abbiamo smarrito dentro, lasciandoci spazio – e tempo – per un nuovo abbraccio.