Paesaggio e rito teatrale. Quattro esperienze dal festival Il Giardino delle Esperidi di Marco Fratoddi

Foto di Alvise Crovato

Si accede attraverso un sentiero segnato da corde e panni stesi che profumano ancora di bucato. E si prosegue esplorando uno spazio intermedio fra la realtà e l’artificio, il sogno e la veglia. Forse anche tra la vita e la morte. Ci si muove sempre su qualche linea d’ombra del resto, al confine tra l’antropico e il naturale, nel Giardino delle Esperidi: l’ecosistema di eventi diretto da Michele Losi che ha attraversato ancora una volta, fra il 23 giugno e il 2 luglio, il variegato territorio di Colle Brianza e di altri sei piccoli Comuni in provincia di Lecco segnati da boschi e corsi d’acqua, pievi e case sparse, alture e spianate agricole, un’antropizzazione discreta ma presente più di quanto non s’immagini. Come nel borgo di Sirtori, dove una cornice di sentieri curvilinei e alberi monumentali, apparentemente biologica ma invece progettata un paio di secoli fa insieme all’edificio di Villa Besana, ha accolto durante il week end conclusivo Tutto passa, tutto resta: la discesa immersiva e sensoriale che Gabriella Salvaterra ha disegnato in quest’area che diventa immensa nella mente di tutti noi mentre la esploriamo, suddivisi per coppie, stando al gioco dei sette interlocutori che ci attendono in altrettante stazioni di questo labirinto. Le emozioni che ci investono sono il vero racconto, dunque siamo noi a comporlo interloquendo di volta in volta con la lavandaia che incontriamo sull’incipit e che ci battezza in questo cammino, poi con una donna che ci insegna a volare fra i rami sfruttando lo strabiliante effetto di uno specchio poggiato sotto il naso che nulla ha da invidiare (anzi) ai visori digitali. È un evento Site-specific, ripensato dunque per questo bosco dalla regista che vive fra la Toscana e Barcellona dopo essersi formata a Santiago del Cile nel contesto del Teatro de los Sentidos, il “teatro dei sensi” coniato dall’antropologo colombiano Enrique Vargas. Ma questa creazione sembra in realtà comunitaria, quasi da collettivo teatrale, come emerge dalla consapevolezza interpretativa delle figure (in scena oltre alla regista ci sono Arianna Bartolucci, Simona Mazzanti, Claudio Ponzana, Davide Sorlini, Laura Torelli, Monica Varroni e Annalisa Zoffoli) che ci guideranno nella selva della nostra psiche. Manipolando, come fossero tarocchi, un mazzetto d’istantanee familiari emerse da qualche scatolone. E ancora facendoci percepire al tatto le pulsazioni di madre terra, portandoci al cospetto di una sfinge sepolta fino al busto che raccoglie i nostri segreti, mostrandoci a metà percorso una collezione di enigmatici souvenir in barattolo. Fino al punto d’uscita, che fa tanto pensare alle espulsioni di Essere John Malcovich. È un sogno, un meccanismo di sollecitazioni e sussurri al quale è difficile restare indifferenti (perché dovremmo, poi?), un carillon che altrove, quando la compagnia riallestirà l’intero ipertesto, sarà fatalmente diverso come si conviene a questo gruppo che tiene insieme, sempre a proposito di linee d’ombra, corporeità e trascendenza.

Foto di Alvise Crovato

Valori all’asta

Ogni luogo d’altro canto al Giardino delle Esperidi esprime un proprio sogno perché sono gli habitat a nutrire queste creazioni secondo un principio per nulla scontato di convivenza fra generi, temi e linguaggi. Così nel microcosmo di eventi che abbiamo attraversato ci siamo imbattuti nella provocatoria asta che Stefano Cenci ha gestito con il suo Wonderboom! in versione d’emergenza, causa pioggia, dentro una sala parrocchiale: un pièce perfettibile, forse, sul piano degli equilibri testuali ma certamente d’impatto anche dal punto di vista etico. L’attore sfida infatti il pubblico a salvare, con le proprie offerte, alcuni oggetti d’elevato valore simbolico, come i diritti fondamentali della Costituzione o il peluche di un bambino preso a caso dalla platea, destinati altrimenti ad essere distrutti e smaltiti nel cassonetto. Un episodio di teatro della realtà che Cenci, insieme ai partner di scena Chiara Davolio e Filippo Beltrami, domina con sarcasmo e anche con un pizzico di cinismo, da smaliziato banditore che guarda al futuro dell’Italia contemporanea, dove tutto è in vendita, senza troppe speranze.

Foto di Alvise Crovato

Danzando sulla piramide

Poi siamo saliti sulla Piramide di Montevecchia, in località La Valletta, un luogo di straordinario mistero e fascino, degno di un libro alla Peter Kolosimo, visto che secondo alcuni questa collina a forma di cono rappresenta il lascito di un’antica civiltà celtica, ancora una volta in bilico dunque fra natura e opera umana, con i filari di cipressi che salgono lungo i sentieri, i terrazzamenti che s’intuiscono nella vegetazione selvatica e un pianoro che sembra un luogo di vaticini, con il suo affaccio a perdita d’occhio. Il luogo ideale per celebrare Sun Followers, un rito concepito dal regista olandese Sjoerd Wagenaar, fra i punti di riferimento a livello internazionale nel teatro del paesaggio, che invita il pubblico a dividersi in due cordate e ad incamminarsi, insieme alle proprie guide, per vie diverse sul monte. L’esperienza (perché di questo si tratta, non di semplice fruizione) si arricchisce grazie alle performance di Noemi Bresciani, Ladislaja Pietrangerli e Giulietta De Bernardi che danzano fra i rovi e le spighe, trasportando un’enigmatica sagoma umana sulla sommità. L’epilogo, quando il sole tramonta (ma una replica era prevista anche all’alba) invece avviene a valle, dentro una piccola radura dall’atmosfera anch’essa sacrale, insieme al compositore Luca Maria Baldini e all’attore Sebastiano Sicurezza che duettano con grande intesa fra sonorità campionate in natura e il corpus poetico di Rainer Maria Rilke.

Foto di Alvise Crovato

Nella mente di Rossetta

Il centro propulsivo del festival resta comunque Campsirago, l’incantevole frazione di pietra sulla cima di monte San Genesio conquistata quasi vent’anni fa da Scarlattine Teatro insieme ad altre compagnie e oggi sede di una residenza che un passo dopo l’altro, nonostante i finanziamenti arrivino con il contagocce, rigenera spazi tra i fienili, le stalle e la magnifica corte di Palazzo Gambassi. Quassù, dentro una saletta adibita a laboratorio, abbiamo potuto cogliere un terzo momento teatrale, centrato stavolta sull’ibridazione fra attore e figure: lo struggente Sig.ra Rossetta, che porta a sintesi la ricerca sulla narrazione con gli oggetti della formazione cagliaritana Is Mascareddas e quella verso un teatro intergenerazionale della regista Anna Fascendini, fra le storiche artefici di Campsirago. Un cammeo di microteatro che ci conduce davanti ad un’anziana signora che vaga con la mente nel suo panorama di labili ricordi e fantasie, giocando come una bambina con i minuscoli elementi della sua scena interiore ed evocando, quasi da sciamana, la sua storia a base di lupi, delicati accudimenti, casette nel bosco. Ed è bravissima Donatella Pau nell’incarnare con precisione cronometrica, bisbigliando solo qualche parola, questo personaggio che si scopre madre in un finale di rara intensità emotiva.

Foto di Alvise Crovato

Cuore spezzato

Infine, sul palco principale di Campsirago, mentre cala la notte e il bosco ci osserva, si manifesta Spezzato è il cuore della bellezza, fra i migliori testi della più recente drammaturgia italiana: un racconto ricco d’ironia ma allo stesso tempo di grande significato esistenziale, nel quale due donne e un uomo sembrano quasi rincorrersi dentro il più classico cliché letterario, quello del tradimento e del rimorso, della perdita e della ricomposizione del sé. È mirabile nella sua prova d’attrice Serena Balivo, che interpreta entrambi i ruoli immaginati da Mariano Dammacco, regista e autore, rivelando soltanto nel finale la propria identità bifronte, quella dell’Amore vecchio e dell’Amore nuovo. Mentre sulla scena, sapientemente illuminata da Stella Monesi, fa capolino di tanto in tanto il vero anello debole della catena, l’uomo conteso, attraverso la maschera agita da Erica Galante. E sembra di cogliere qualche ispirazione da Edward Albee in questa partitura intensissima che il contesto naturale, mentre in fondo alla valle brillano le luci di Milano, ci aiuta a leggere nella sua dimensione più autentica, quella che ci costringe a dialogare con la parte più profonda di noi per affrontare le prove della vita.

Foto di Alvise Crovato

Festival Il Giardino delle Esperidi, nei comuni Colle Brianza, Olgiate Molgora, Ello, Unione Valletta, Sirtori, Valgreghentino, Olginate, dal 23 giugno al 2 luglio 2023.

Sito internet: www.ilgiardinodelleesperidifestival.it