«Napoli non scimmiotta, Napoli crea»: le atmosfere del Café Chantant tra scene e libri di Katia Ippaso

Foto di Lorenzo Cabib

Passa quasi inosservato, il titolo posto dopo Café Chantant: Rebelle. Ma il segreto è tutto lì. Dove dietro quella “e” al posto della “i” si nasconde un filo lucente, un tributo vitalistico che a distanza di più di un secolo lega ancora Napoli a Parigi sotto il segno della “joie de vivre”. “Rebelle” in francese, “ribelle” in italiano. Lo spettacolo visto al Teatro Sannazaro di Napoli è un appuntamento rituale che ogni anno, da 25 anni, capovolge e scompagina le regole della fruizione teatrale che è andata sempre più assestandosi su una frontalità in cui ciascuno è lasciato a sé stesso, libero di non dialogare neanche con i propri compagni (quante volte ci capita di assistere a uno spettacolo in cui gli attori recitano ciascuno per conto proprio?). Se invece la platea viene scardinata e al posto delle poltrone arrivano tavolini tondi e sedie, ballerini, cantanti, comici e attori si prendono tutto lo spazio (compreso quello del palcoscenico) per avvolgere gli spettatori, allora si spera che stia per accadere qualcosa di unico, di diverso. Il semplice smantellamento della platea non basta per creare la magia, anzi si corre il rischio di un’operazione troppo concettuale, e quindi anemica. Ma Lara Sansone e la sua compagnia (formata da Lucio Pierri, Massimo Peluso, Mario Aterrano, Tony Guido, Mario Andrisani, Antonio Marino e dal balletto e l’orchestra del Café Chantant) hanno composto uno spettacolo travolgente: accostando brani della canzone classica napoletana come Era de Maggio e Malafemmena  e un repertorio leggero contemporaneo (per l’esecuzione di Barbie girl sono state ricreate scenograficamente la casa e la macchina, oltre che gli abiti, della più celebre bambola di tutti i tempi), questi generosi artisti sono stati capaci di ricreare, nello spirito, quelle atmosfere che avevano reso leggendaria la Napoli di fine Ottocento.

Foto di Lorenzo Cabib

Atmosfere che un bel libro di Gianni Lucini edito nel 2018, Lucciole vagabonde del Caffè Concerto (edizione Segni e Parole) ricostruiva con un rigore filologico pari solo all’ardore con cui il critico musicale ha saputo leggere la storia delle “sciantose”. «L’Ottocento sta volgendo al termine quando a Parigi si accendono le luci di un fantasmagorico spettacolo. La città è una scatola delle meraviglie capace di regalare ogni giorno nuove idee, nuove diavolerie della tecnica, rutilanti scenografie, fantasmagoriche creazioni spettacolari e un’infinità di suggestioni. Parigi è un sogno e si dice che non ci sia un’altra città come lei. Tutte le città del mondo la guardano con soggezione. Tutte invidiano i suoi Café Chantant, l’atmosfera che si respira, le sue mille luci. Tutte meno una: Napoli» scrive Lucini nel suo libro, che parte dall’inaugurazione del primo Café Chantant italiano, il partenopeo Salone Margherita che apre le sue porte il 15 novembre 1890: «Chi entra nel locale ha l’impressione di essere catapultato in una Parigi fantastica, ricca di umori e di profumi che parlano alla fantasia più che alla realtà. Napoli non scimmiotta. Napoli crea».

Lo spettacolo di Lara Sansone si chiude nel più classico dei modi, con la “Mossa”, che non è, ed è sempre Lucini a raccontarcelo, «solo un colpo d’anca»: «la Mossa è l’espressione plastica della superiorità di Napoli su Parigi». Inventata da Maria Borsa (1868-1926), «la napoletanissima delle canzonettiste», una figlia del popolo destinata ad entrare nell’Olimpo delle dee dell’epoca, la Mossa diventa con Lara Sansone segno elegante e vitale di una tradizione che non si limita a farsi citazione nostalgica, smunta allegoria. In un altro momento dello spettacolo, Lara Sansone interpreta una scena di Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Non c’è un tempo di raccoglimento, come avviene nei teatri deputati alla prosa. Il Café Chantant impone ritmi rapidi, travestimenti arditi, sempre spettacolari. Eppure, l’attrice e cantante napoletana riesce a centrare l’ordito drammatico dentro il quale cucire le parole della sua Filumena, con una esattezza emozionale che non ha nulla da invidiare alle grandi attrici che si sono cimentate nell’impresa. Per rivivere le atmosfere del Café Chantant al Teatro Sannazzaro, bisognerà attendere il 2025. Ma se si è interessati alla bellezza dei “fiori del male”, alle creature notturne che hanno saputo attrarre con la loro luce la scena francese e italiana tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, vale la pena curiosare tra le pagine di Gianni Lucini: oltre al già citato Lucciole vagabonde del Caffè Concerto, il critico e scrittore ha pubblicato Luci, lucciole e canzoni sotto il cielo di Parigi – Storie di Chanteuses nella Francia del primo Novecento (Segni e Parole, 2014) e il recentissimo Chansons e chansonniers nelle notti di Parigi (Segni e Parole), concepito come risposta maschile al primo volume di 10 anni fa. In quest’ultimo, appassionante volume, troviamo le storie di vita di Yves Montand, Aristide Bruant, Maurice Chevalier, Jean Gabin, Jean Sablon, Tino Rossi, Charles Trenet, George Brassens, Serge Gainsbourg, Jacques Brel, e molti altri artisti che hanno saputo scolpire con la loro voce la pietra dura del loro tempo. E se fortuna, talento e tenacia hanno giocato un ruolo fondamentale con gli chansonniers, non avremmo mai avuto una Juliette Greco, una Edith Piaf, una Josephine Baker, una Mistinguette, una Bianca Star o una Lucy Darmond, senza un indomito spirito di rivolta, una forza quasi sovrumana che ha permesso a chanteuses e sciantose di cambiare il corso delle cose, capovolgendo condizioni di miseria e oppressione in strumenti di lotta e autoaffermazione. Il titolo dello spettacolo da cui siamo partiti racchiude, in fondo, proprio il senso di questa lotta: Rebelle, ribelle.