Mutaverso Teatro: benvenuti al Sud! di Letizia Bernazza

foto di Stefania Tirone

Conversazione con Vincenzo Albano

Diretta da Vincenzo Albano, quarantenne salernitano e organizzatore indipendente, la Stagione Mutaverso Teatro è giunta alla sua quarta edizione. Oggi, 11 gennaio 2019 – dopo l’anteprima del 12 e del 13 dicembre 2018 con Farsi silenzio (un progetto di e con Marco Cacciola e la drammaturgia di Tindaro Granata) – parte ufficialmente con una prima e unica data regionale de La buona educazione, della modenese Piccola Compagnia Dammacco. Il 18 gennaio, poi, sarà la volta del Principio Attivo Teatro che presenterà Opera Nazionale Combattenti presenta I Giganti della montagna atto III. Fino al 12 aprile un calendario di appuntamenti.
Ho voluto incontrare Vincenzo per documentare il suo coraggio di operare in un contesto, culturale e teatrale, “marginale” rispetto ai normali canali di circuitazione teatrale. Un grande sforzo che richiede un impegno altrettanto smisurato fatto di scelte audaci dal punto di vista della programmazione, indissolubilmente legata alla questione poetica ed estetica: proporre lavori di gruppi il cui operato è volto a “mutare-verso” nuovi linguaggi.

foto di Luca Del Ria

 

foto di Luca Del Ria

Sono sempre affascinata dalle parole. Le parole hanno un senso, veicolano un significato. Perché Mutaverso Teatro?

Muta-verso” lascia intendere le tante domande che mi pongo sul futuro, sul senso di ciò che faccio e su un auspicato cambiamento in direzioni tutte ancora da esplorare. Mi rappresenta fortemente in questo senso, nel suo essere spazio emotivo, pensiero positivo e in movimento, al centro tra l’idea di una prospettiva e la sua realizzazione. Un incubatore di utopie, di azioni piccole e in contro-tendenza, semplici e rivoluzionarie, e poi condivise. L’icona simbolica è un simpatico pipistrello realizzato per me da Cinzia Muscolino, per la sua visione crepuscolare e notturna e per la naturale capacità di guardare da una prospettiva ribaltata, nuova in questo senso, diversa.

Tu sei stato un attore. Cosa ti ha spinto a diventare il Direttore Artistico della Stagione, giunta alla sua quarta edizione?

Preferirei dire che ho avuto esperienze di palcoscenico, per diletto. La scelta professionale è stata sempre un’altra, totalizzante, mai un ripiego dell’attorialità, men che meno secondaria ad altri percorsi lavorativi. Resta certamente nel mio bagaglio l’utilità di quelle stesse esperienze, ma ho rimosso nel tempo ogni potenziale confusione. L’ho sentito necessario, così come necessario è stato a un certo punto rendermi artefice delle mie opportunità, senza attenderle da altri. L’associazione Erre Teatro, la stagione Mutaverso Teatro e tutto ciò che ostinatamente porto avanti inizia in qualche modo dalle ceneri e desolazioni successive proprio ad alcune esperienze legate ai miei anni di formazione e di apprendistato romani e fiorentini.

foto di Tania Zoffoli

Con un lavoro costante, immagino costato grandi sforzi, sei riuscito a portare a Salerno diverse compagnie che non avevano avuto una circuitazione nella città, “dislocata” culturalmente e artisticamente nel panorama campano, dove, di fatto, è Napoli a giocare un ruolo di primo piano. Che tipo di scelta hai fatto nel selezionare gli artisti?

La fisionomia di Mutaverso Teatro non è ancora definita, anche perché risente indubbiamente delle precarietà cui è sottoposta, anche logistiche. Le otto/nove date uniche all’interno dell’anno solare costringono moltissimo il raggio delle mie scelte, senza contare che l’Auditorium del Centro Sociale di Salerno che ospita la Stagione, al netto delle positività che mi offre e delle disponibilità che mi riserva, ha tutta una serie di criticità di cui tengo conto. La sala è molto grande, trascurata e poco accogliente: dispersiva per capienza, riserva scarsa visibilità in alcuni punti e ha una polifunzionalità sociale a volte concomitante. Nasce indubbiamente con un’altra mission. Qui poi si aprirebbero altri discorsi, sull’incuria, sugli interventi strutturali che si potrebbero fare, sulle opportunità che ne conseguirebbero. È una piccola occasione mancata ad oggi, già solo considerando il quartiere dove l’Auditorium è allocato, ovvero in zona orientale della città, che è comodissima per il parcheggio, e con una densità di popolazione altissima, esclusa e marginale rispetto a una certa geografia di eventi culturali cittadini. Non posso non considerare tutto questo nelle ipotesi di programmazione. La trovo una forma di rispetto per il lavoro degli artisti e allo stesso tempo verso il pubblico, che ne deve godere al meglio. Aggiungo che al di là di qualche azzardo o scelta per interposto contatto, io gli spettacoli li vedo tutti personalmente e qualche volta sogno, su alcuni di essi, di poter replicare l’incanto ricevuto nell’essere stato io per primo spettatore delle loro sfumature, seduto su una sedia o su un cuscino di una sala accogliente. Rifuggo la realizzazione di un programma come se fosse un’agenda di appuntamenti e cambio rotta se solo avverto questa sensazione “compilativa”. Non seguo un filo tematico, e volutamente la mia Stagione non ha titoli o sottotitoli. Piuttosto, il mio personalissimo senso e una viva curiosità verso forme originali di scrittura, che vedono al centro la parola, che sia essa muta, affabulata o più marcatamente performativa. Certo, Napoli ha la sua inderogabile centralità, tuttavia credo di poter “vantare” la paternità di alcune proposte mai transitate in Campania, neanche al Teatro Nazionale (cosa che in generale ci si aspetterebbe). Penso a Cuocolo Bosetti, a Marta Cuscunà, ai Sotterraneo (assegnatari di un importante Premio Ubu qualche giorno fa) passati una sola volta in Regione agli albori della loro carriera e in dieci anni circa mai più tornati; a Tindaro Granata, con il suo Antropolaroid, o ancora, penso alla primissima presenza dei giovani DispensaBarzotti con Homologia e successivamente con Victor, ai Bahamut con It’s app to you, vincitori del Premio In-Box un anno dopo; penso ad alcune drammaturgie calabresi e siciliane; penso quest’anno a Farsi Silenzio di Marco Cacciola, ai Menoventi per anni mai stati al di sotto del confine romano; a Frigoproduzioni con Socialmente, e a tanto altro ancora. Dico questo non nell’ottica del primato, ma perché registro, grazie a queste scelte, seppur in forma embrionale, la presenza di pubblico non esclusivamente cittadino. Lo trovo un dato incoraggiante, così come è un dato non trascurabile la “task force” con altri operatori campani per la realizzazione di ospitalità virtuose, sia per gli artisti che per gli operatori stessi. Un dialogo non istituzionalizzato (non c’è bisogno!) tra territori, del “centro” con la “periferia”, della “capitale” con la “provincia”, che finalmente non si ignorano. Con questa enfasi, a Salerno, certe cose non si vedevano da decenni. Credo di poterlo dire.

A distanza di ormai quattro anni, se dovessi fare un bilancio come lo definiresti in poche parole e che tipo di risposta hai avuto dalle Istituzioni e dal pubblico?

Sono quattro anni di Mutaverso Teatro, ma in generale sette di Erre Teatro come palestra per utopie possibili. Il bilancio lo definirei “acrobatico”, emotivamente e concretamente. Tra il serio e il faceto, ti rispondo così anche un po’ per ridere nel guardarmi agli attrezzi con un po’ di fiatone. La strada è a un punto decisivo della salita, che percorro godendo di competenze trasversali, non sempre però in maniera organica e militante, e del sostegno in crescita del pubblico, che segue ogni mia intraprendenza con lusinghiera empatia. Come soggetto proponente e oggetto allo stesso tempo di investimenti culturali, pubblici e privati, rimango tuttavia ancora in posizione molto marginale e il rischio di azzeramento è sempre a un passo. Sarebbe un peccato. E allora, se un merito esiste e può essere riconosciuto alla pazienza, alla passione, ai tentativi, agli azzardi, alle giuste scommesse, alle chiare ostinazioni, alle libere scelte, alle motivazioni, alle idee, rivendico il diritto di vedermelo riconosciuto e di veder crescere i frutti di un lavoro che ha dimostrato, con mezzi risibili, di avere solide basi a dispetto dei venti contrari. Credo sia arrivato il momento di una svolta, di un ricambio generazionale, e senza giri di parole penso ad uno spazio fisico, tra le possibilità. Aprirei nuove sfide, questo sì, e mi piacerebbe arricchire di contenuti trasversali Erre Teatro e Mutaverso – che ad oggi sono troppo episodici e frammentati – al di là della programmazione di spettacoli, per rendere la mia proposta “culturale” in senso più ampio. Un teatro per fare tutto questo c’è a Salerno c’è, l’Antonio Ghirelli, ma è chiuso da anni ormai. Mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo.

Cosa ti auguri per il futuro?

Di poter continuare il mio lavoro, semplicemente, ma ho messo in conto e accettato di buon grado il disincanto, l’ipotesi del “fallimento”. Non avrei risposto così qualche anno fa, ma dopo aver visto crollare un bel po’ dei miei castelli, ho capito che Erre Teatro mi concede la libertà preziosissima di poter abbattere gli ultimi rimasti in piedi, ma almeno per mano mia. Il senso e il significato profondo del mio “mutaverso” è anche, se non soprattutto, questo. E ne sono contento.

foto di Stefania Tirone

Per info su Mutaverso Teatro: facebook@erreteatro; Instagram@erre_teatro.