Mappare Eros e Thanatos. Il teatro dell’astrazione in Ateliersi e Albe di Enrico Piergiacomi

“La mappa del cuore”. Foto di Margherita Caprilli

Gli spettacoli La mappa del cuore di Ateliersi e I fatti. L’aria infiammabile delle paludi di Luigi Dadina del Teatro delle Albe sono due lavori complementari, malgrado le loro numerose differenze, per un aspetto decisivo. Entrambi hanno in comune una concezione del teatro come un processo di astrazione dal singolare all’universale, o dai fatti concreti alla storia e all’immaginario comune. L’atto teatrale è così una forma di conoscenza induttiva, che permette di decentrarci e di guardare ai nostri tormenti interiori con uno sguardo più critico, ampio, comprensivo.
Conviene soffermarsi brevemente su ciascuno spettacolo. La mappa del cuore è un lavoro derivato dall’omonimo libro di Lea Melandri: scrittrice, pedagoga e filosofa femminista che, tra il 1981 e il 1985, curò una rubrica dal titolo Inquietudini sulla rivista “Ragazza In”. Lo spazio riceveva e pubblicava le lettere di adolescenti, soprattutto ragazze ma a volte di ragazzi, che si rivolgevano alla curatrice per confessarle problemi amorosi (= l’eros non corrisposto), relazionali (per esempio, un conflitto con i genitori) e identitari (in particolare la non accettazione del proprio corpo e il dilemma se essere se stessi, o assomigliare ad altri). Seguiva la risposta di Melandri che, più che dispensare facili formule consolatorie o consigli specifici, provava a “de-costruire” la lettera dell’adolescente e a spostarne il focus cognitivo. La strategia che era di norma adottata consisteva nel mostrare che l’inquietudine amorosa, relazionale o identitaria provata dalla ragazza o dal ragazzo non è così unica come appare alla sua mente. I problemi che gli adolescenti considerano speciali sono in realtà comuni, sicché Melandri trattava le pagine della rivista come uno spazio pubblico in cui si astrae ciò che è “originario” e collettivo dietro ogni personalismo.

“La mappa del cuore”. Foto di Margherita Caprilli

Sul piano scenico, Ateliersi costruisce così un percorso drammaturgico che, in un certo senso, catapulta lo spettatore dentro le lettere degli adolescenti e dentro questo processo sia de-costruttivo che astrattivo. Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi sfogliano l’epistolario della scrittrice, leggono alcuni estratti delle riflessioni/confessioni degli adolescenti e riflettono ad alta voce su come Melandri «riusciva a mettere in connessione queste persone lontane», come smontasse «gli schemi in cui vedeva la genesi della costrizione, del dolore», mostrando così l’«Origine» o la preistoria dei sentimenti tormentati. Ne deriva una “mappa” o geografia sentimentale dove sono tracciati a chiare lettere bisogni, desideri e sentimenti oggettivi/condivisi, di cui si deve tenere conto per iniziare a costruire insieme relazioni erotiche-interpersonali felici  e autentiche.

“La mappa del cuore”. Foto di Margherita Caprilli

Mutatis mutandis, anche I fatti di Luigi Dadina attua un simile movimento insieme astrattivo e de-costruttivo. I fatti è del resto un viaggio dentro la memoria di un periodo travagliato della storia umana, a cavallo tra il secondo anno della prima guerra mondiale (1916) e il 13 marzo 1987: giorno in cui avvenne uno dei più gravi incidenti sul lavoro dove persero la vita tredici operai, ovvero l’incendio della nave gasiera Mecnavi. Come dice Dadina all’inizio dello spettacolo, possiamo distinguere nella vicenda il piano delle «cose visibili» che «sono sempre le stesse» da quello «invisibile» in cui tutto di colpo «è cambiato». I fatti che appaiono alla vista sono accadimenti di ordinario decadimento: che si tratti della prima guerra mondiale, o di un incidente sul lavoro, donne e uomini continuano a faticare sotto il sole, a coltivare la terra, a lottare con il vicino, soprattutto a morire. Il massimo che può capitare è che avvenga qualche variazione di poco conto. D’altro canto, questi stessi fatti sono l’immagine visibile di un mutamento epocale invisibile. Dietro le tragedie e le morti individuali, che apparentemente sono frutto di normali guerre o incidenti che gli esseri umani conoscono dagli albori della storia, si cela stavolta una forza più grande e inarrestabile che ha cominciato a crescere proprio agli inizi del Novecento. Si tratta del Moloch del progresso tecnologico che distrugge chi lo costruisce e fa sprofondare nella palude chi ne innalza le colonne verso il cielo, che è stato descritto con particolare evidenza dal poema Urlo di Allen Ginsberg. Eventi tra loro molto diversi quali le guerre mondiali o la morte sul lavoro della Mecnavi sono così il sintomo di questo mostro, che ancora vampirizza noi oggi e accumula sempre nuovi disastri.

Si tratta a conti fatti di una “catabasi” in un regno dei morti, che reclamano di trovare una voce che sappia, se non riscattarli, quanto meno ricordarli. Dadina racconta infatti verso la fine dell’opera di aver sentito la voce di Domenico Mazzatto, uno degli operai morti nell’incidente, che gli chiese di riferire a tutti l’accaduto, di astrarre il Moloch invisibile dalle realtà visibili. In altri termini, si trova davanti alla richiesta di mostrare che la causa della morte non è più naturale, bensì soprannaturale. Se infatti i morti chiedono nuova voce ai vivi, è perché l’ordine della realtà è stato mutato e la terra, da matrigna che accoglie le salme dei defunti e dà i frutti della terra ai contadini, si è trasformato in una palude infetta da cui soltanto il Moloch trae energia e alimento.
Questa rapida sintesi dei due lavori consente pertanto di mostrare adesso meglio quale sia il punto di maggiore originalità a cui essi giungono. I singoli individui – o anche i piccoli gruppi umani – sono forze trascurabili, o riflessi di due forze mastodontiche che occorre rivelare agli spettatori e “mappare” attraverso il teatro: Eros per Ateliersi, Thanatos per Dadina. Le inquietudini degli amori adolescenziali e i tormenti dei defunti del Novecento vengono compresi appieno nella loro essenza soltanto facendo riferimento a tale piano segreto universale, che è espresso attraverso la musica oltre che a parole. Sia La mappa del cuore di Ateliersi che I fatti di Dadina hanno dopotutto in comune anche l’essere due concerti o “ballate”, che coinvolgono rispettivamente la cantante Francesca Pizzo e il bassista Francesco Giampaoli. L’una incarna con la sua voce e il suo corpo l’atmosfera di desiderio di rivolta contro le convenzioni che, per gli adolescenti degli anni Ottanta, era a sua volta impersonata dal gruppo dei Duran Duran. Francesca Pizzo è dunque un simbolo presente che assorbe e rinnova un simbolo passato: un simbolo dentro al simbolo. Francesco Giampaoli ricrea invece col basso l’atmosfera fragile e le voci dei morti che Dadina evoca con i suoi discorsi. La musica facilita insomma l’astrazione, aiuta ad avvertire con nettezza le forze impalpabili che pure animano i nostri gesti concreti.
Il gioco di incastri tra i due lavori non si ferma tuttavia qui. Se sovrapponessimo le mappe di Eros e Thanatos disegnate da questi, noteremo alcune zone d’ombra o in chiaroscuro dove queste due forze si intrecciano, quasi si avvinghiano in un abbraccio fatale. Si scopre così che persino dove regna l’amore si annida la morte, o per converso che in mezzo alle voci dei defunti c’è spazio per amare. Nelle lettere degli adolescenti e nelle risposte di Melandri, si scovano infatti anche degli impulsi dell’animo umano alla distruzione o al desiderio di annichilimento, all’abbandono al dolore e alla rinuncia alla relazione per paura di scoprirsi ancora più fragili. Di contro, i racconti di Dadina delle atrocità di Moloch sono intervallate da attimi di toccante poeticità, come il dialogo muto tra  l’operaio Zabaron e il gabbiano, o l’abbandono alle visioni di un mondo che si riscopre innocente, per un attimo in pace.
Mappare Eros e Thanatos vuol dire allora addentrarsi in un territorio dove luce e ombra si trovano spesso a coincidere. Ma significa anche indicare, con i mezzi del teatro, una direzione verso qualcosa di meglio: l’amore o la relazione felice, la distruzione del Moloch paludante. In modi diversi, Ateliersi e Dadina si integrano nel comune tentativo di astrarre dalla palude in cui siamo immersi una piccola oasi pacifica.

“I fatti. L’aria infiammabile delle paludi”. Foto di Giusy Mingolla

La mappa del cuore di Lea Melandri

di e con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi
e con Francesca Pizzo
musiche arrangiate ed elaborate da Vincenzo Scorza e Mauro Sommavilla
abiti a cura di Federica de Pascalis
ricerche Maria Donnoli
grazie a Lea Melandri per il pensiero condiviso, la vicinanza e la capacità di smontare gli schemi comunicazione e promozione Tihana Maravic
organizzazione e amministrazione Elisa Marchese
direzione tecnica Giovanni Brunetto e Vincenzo Scorza
tecnico luci e audio Salvatore Pulpito
produzione Ateliersi con il sostegno di MiBACT, Regione Emilia-Romagna e Comune di Bologna
grazie per la collaborazione a Eugenia Delbue e Biblioteca Italiana delle Donne.
Parte delle lettere e delle risposte della rubrica Inquietudini sono raccolte nel libro La mappa del cuore pubblicato da Rubbettino Editore.
Visto il 7 luglio al Festival Olinda di Milano.

I fatti. L’aria infiammabile delle paludi

di e con Luigi Dadina e Francesco Giampaoli
produzione Ravenna Teatro / Teatro delle Albe
in collaborazione con Brutture Moderne.
Visto il 19 giugno presso Teatri di Vita di Bologna.