Il Craxi di Gianni Amelio: un personaggio affranto dai sensi di colpa di Carlo Alberto Biazzi

Sono nato negli anni Ottanta, non ho vissuto per niente le vicissitudini politiche di quel periodo. Craxi l’ho studiato sui libri di scuola (a malapena), l’ho conosciuto sommariamente nei racconti dei più grandi, alcuni contro di lui, altri a favore.
Quando ho visto Hammamet, ho capito che Gianni Amelio non voleva fare un film politico. Per niente.
Bettino Craxi, rintanato sul finire del Ventesimo secolo ad Hammamet dove da latitante si era rifugiato per “sfuggire” alla giustizia italiana, è ormai malato e stanco.
Abita in una villa, sorvegliata dalle guardie messe a sua disposizione dal regime totalitario di Ben Ali, in cui vive con la figlia, la moglie e il nipotino. Nella residenza, che sembra non dare troppo nell’occhio perché, forse volutamente, non è nel centro città, Craxi riceve la visita del figlio, di amici, di misteriosi confidenti e anche di un’amante fascinosa.
Ma chi sono tutte queste figure? Amelio preferisce non dare loro un nome, dà per scontato che noi siamo in grado di riconoscerle.
Intanto lo stato di salute di Craxi si aggrava. Molti gli chiedono di tornare in Italia per le cure. Lui rifiuta e inizia a confessare pensieri, idee, sensi di colpa, senza sapere fino in fondo se tornare nel nostro Paese o se rimanere in Tunisia.

 

A mio parere, ci sarebbero potute essere altre strade da percorrere per poter tracciare la figura politica di Bettino Craxi. Il regista, però, ha scelto una strada neutra e non molto chiara, senza riflessioni, con una partenza incerta e un po’ noiosa. Evita, persino, di menzionare il nome del protagonista.
Peccato. Auspicavo in una narrazione che potesse far conoscere a quelli della mia generazione un periodo politico importante, forse l’ultimo, prima di capitolare nel disinteresse più totale di una Italia allo sfacelo.
E questa incertezza con cui la storia si sviluppa, ci porta – inevitabilmente – a convincerci che il perno del film è soltanto il suo interprete. L’attore Pierfrancesco Favino si supera. Il personaggio che crea e a cui dà magistralmente vita – aiutato dal superbo trucco prostetico di Andrea Lanza e di Federica Castelli – ha la stessa voce, le stesse movenze e quel carisma che hanno contraddistinto l’ex Presidente del Consiglio. Nota di demerito, invece, per gli altri attori.
Buona la fotografia di Luan Amelio Ujkaj e intense le musiche di Nicola Piovani.
Sono nato negli anni Ottanta, lo ripeto. Non ho vissuto quei momenti e non ho conosciuto in prima persona la storia di Bettino Craxi. Nemmeno Amelio, però, me l’ha raccontata. Non mi ha spiegato chi fosse veramente. Non ho capito la sua figura politica e non mi ha fatto riflettere.
È come se Hammamet si incartasse su se stesso, invece di nutrirsi di spunti storici e politici. Non si capisce il messaggio fondamentale del regista. E, nemmeno, l’interpretazione di Favino riesce a trasformare l’ex Presidente in un “simbolo”.
Di questo personaggio – affranto dai sensi di colpa e che Amelio racconta – mi porto dietro il rammarico di non aver potuto comprendere fino in fondo un periodo politico importante dell’Italia.
Se lo consiglio? Si, ma a quanti delle generazioni precedenti alla mia conoscono davvero la vicenda.