Giocare, condividere, partecipare: una cartolina dal Pergine Festival di Renata Savo

Foto di Elisa Vettori

Parlare di partecipazione, durante la pandemia, ha comportato dover ripensare il concetto di compresenza. Da quando il Covid-19 ha insidiato le nostre vite stravolgendo la prossemica fra i corpi, partecipazione e condivisione hanno assunto una valenza diversa, non scontata. I teatri hanno riaperto, ma la sensazione resta di incredulità: non ci sembra vero di poter ritornare, complici i vaccini e il rispetto di alcune semplici norme di sicurezza, a condividere tempo e spazio come prima. “Partecipare”, in tempi pre-pandemici, ci faceva venire in mente soprattutto il gioco (poi abbiamo cominciato ad associare questa azione alle riunioni su Zoom). E forse non è un caso che uno dei settori con il numero più alto di ossa rotte a causa della pandemia in questo momento storico sia proprio il teatro, che ha dovuto fare i conti con uno stravolgimento del suo statuto linguistico: esiste un legame indissolubile con il gioco – Victor Turner lo descriveva bene in From Ritual To Theatre, 1967 – testimoniato anche dalla coincidenza dei verbi tipica di alcune lingue, come l’inglese to play o il francese jouer. Proprio dall’elemento ludico di un folto mazzo di carte, parte l’immersione degli spettatori-partecipanti in A certain value, una performance interattiva concepita da Anna Rispoli, artista e attivista di base a Bruxelles e Martina Angelotti, curatrice d’arte di base a Milano, un testo composto con l’aiuto di Céline Estenne, autrice e performer residente a Bruxelles, e ricavato attraverso materiali orali costituiti da interviste, laboratori e incontri informali avvenuti nell’arco di due anni. Lo spettacolo è andato in scena nella Rimessa Carrozze il 16 e il 17 luglio a Pergine Valsugana (TN), nell’ambito del Pergine Festival, manifestazione alla quarantaseiesima edizione che nel corso degli anni ha dimostrato una fede incrollabile nelle possibilità di engagement dello spettatore, proponendo spesso drammaturgie in cui si attua una connessione fortissima tra palco e platea, tra comunità artistica e cittadinanza.

Foto di Elisa Vettori

Lo spettacolo interseca due forme di relazione per parlare di condivisione e partecipazione: da un lato le ideatrici hanno condotto una ricerca su quattro collettivi in altrettante città europee; dall’altro fa avvicinare il pubblico a come si comunica, si convive e si gestiscono i conflitti all’interno di queste realtà che compongono un campione sociale multi-sfaccettato, e lo fa attraverso la lettura di quelle stesse parole dei membri di quei collettivi, registrate, trascritte e composte in una drammaturgia coerente come nel Verbatim Theatre. Se il teatro e il gioco sono strumenti efficaci per ricostruire identità e memorie collettive là dove i conflitti mettono in crisi l’equilibrio di una comunità (C. Bernardi – M. Dragone – G. Schininà, 2002), in un certo senso, A certain value è il reenactment di questa ricostruzione.

Foto di Elisa Vettori

I dodici spettatori-partecipanti vengono suddivisi in quattro gruppi grazie a biglietti di ingresso di colore diverso per ciascun collettivo di cui si leggeranno gli interventi. L’assegnazione, se non del tutto arbitraria e casuale, lo è “quasi” del tutto. A ciascun gruppo corrispondono infatti tre buste, scelte dai partecipanti, che contengono la descrizione del personaggio e le battute a esso appartenute (in ordine numerico) che saranno lette dagli spettatori su indicazione delle didascalie per tutto lo spettacolo, durante il quale un contatore analogico scandirà il ritmo della performance. A chi scrive è capitato di incarnare il ruolo di una trentenne dai capelli rossi di nome Claire, dal carattere intraprendente e solare, attivista per i diritti civili del Collettivo 59 Saint Just di Marsiglia: una casa occupata alla fine del 2018, in cui sono stati ospitati famiglie di migranti senzatetto. «Almeno con il physique du rôle ci siamo», penso tra me e me; non si può dire lo stesso di una ragazza molto giovane al mio fianco, un’adolescente che si trova a sostenere la parte di un immigrato padre di famiglia. Ma il bello del teatro è anche questo: cortocircuiti affascinanti e spesso anche ironici sono dietro l’angolo. Altri spettatori ricopriranno le parti di detenute del Centro Penitenziario Femminile di Rennes; dei membri del Common Wallet, gruppo di dieci professionisti del settore artistico di Bruxelles che tenta di sfidare il modello sociale individualistico a favore di una “condivisione radicale” delle proprie risorse economiche; e del Plastic Strike, formato da bambini di Budapest ambientalisti e animalisti sul modello Greta Thunberg.
Sicuramente, parafrasando Andy Lavender (Performance in the Twenty-first Century: Theatres of Engagement, 2016), in questi Theatres of Engagement la partecipazione dello spettatore può essere configurata come un atto necessario per l’esistenza dell’evento stesso, necessità in cui si individua una componente politica e impegnata, che fa affermare allo spettatore che il suo intervento è necessario, e dunque si impegna a partecipare. Tuttavia, non essendo uno spettatore preparato, e magari anche piuttosto ansioso, può succedere di essere troppo focalizzato sul proprio testo da leggere e sul momento in cui si dovrà intervenire, anziché su quello che sta accadendo attorno. È un limite di questo dispositivo scenico. La metafora della condivisione, però, resta sempre viva, e non solo attraverso le battute. Anche la drammaturgia nel complesso rispecchia il valore alto delle tematiche discusse: didascalie pongono alcuni interventi come facoltativi, lasciando margine di scelta e, in alcuni punti, anche di creazione ex novo (come quando gli spettatori sono invitati da un membro del Plastic Strike a inventare un gesto simbolico per promuovere una manifestazione per il clima). La suddivisione dei compiti da testo prescrittivo diviene realtà. Prima di iniziare la riunione un’attrice invita gli spettatori ad autogestire il sostegno di una lampada attraverso un cavo, e anche preparare dei toast diventa la minuscola dimostrazione per affermare che basta poco per fare qualcosa di utile per gli altri.

A certain value

concept e ricerca Anna Rispoli e Martina Angelotti
con le testimonianze degli abitanti dello Squat 59 St-Just, del gruppo Common Wallet, delle detenute del Centre Pénitentiaire pour Femmes de Rennes, della Comunità Italiana di Genk, dei bambini della Scuola Primaria °°° e del Mars Program Private Learning Group di Budapest
scrittura Anna Rispoli e Céline Estenne
drammaturgia Céline Estenne
scenografia Canedicoda
design Luca Coppola/AUT Design Collective
producer e tour manager Marine Thévenet
produzione esecutiva CIFAS
partner delle residenze C-TAKT Dommelhof/Genk, Lieux Publics/Marseille, Les Tombées de la Nuit/Rennes, CIFAS/Bruxelles, PLACC/Budapest.
Progetto pilota della piattaforma IN SITUA certain value ha ricevuto il sostegno per la creazione nell’ambito del progetto ACT, cofinanziato dal programma Creative Europe dell’Unione Europea.
Coproduttori: Atelier 231 (FR), Festival di Terni (IT), Freedom Festival (UK), La Strada Graz (AT), Lieux publics, pôle européen et centre national de création en espace public (FR), Norfolk & Norwich Festival (UK), Østfold kulturutvikling (NO), Oerol Festival (NL), Theater op de Markt (BE), UZ Arts (UK).

Pergine Festival, Pergine Valsugana (TN), Rimessa Carrozze, 16 e 17 luglio 2021.