
Il focus di questa sezione è il monitoraggio delle esperienze professionali degli italiani attivi a Parigi, in quel crocevia dinamico tra arte, teatro, cinema e musica. A Parigi, la cultura italiana è sostenuta e apprezzata in tutte le sue declinazioni. Al di là della retorica, sorge spontanea una domanda: perché le istituzioni italiane non offrono opportunità e sbocchi adeguati a questo immenso patrimonio immateriale?
Il viaggio della musica
Dopo aver raccontato l’esperienza di Romina De Novellis (Tracce, snodi e memorie. Romina De Novellis si racconta) e di Alessia Siniscalchi (Tracce, snodi e memorie. Alessia Siniscalchi si racconta), proseguiamo nel tracciare la nostra mappa degli “espatriati” con Alessandro Coppola, musicista e compositore salentino, il cui lavoro è noto nei circuiti musicali più raffinati d’Europa.
Nato a Lecce nel 1973, dopo gli anni di formazione nella sua terra d’origine, Coppola si trasferisce a Roma negli anni Novanta, per poi approdare a Parigi, dove vive stabilmente dal 2010. È il fondatore e guida dei Nidi d’Arac, un progetto che somiglia a un viaggio nel tempo e nello spazio: un attraversamento di suoni, culture e visioni. E come ogni vero viaggio, anche questo conduce a un ritorno. Un ritorno alla tradizione — non come mera ripetizione del passato, ma come una sua reinvenzione. Un luogo dove forme lontane si incontrano, si confrontano e trovano terreno fertile per lo scambio.
«A Lecce ho costruito la mia formazione musicale», racconta Alessandro Coppola. «Era un periodo in cui il centro storico era abitato da prostitute e militari. Un’atmosfera efflorescente di degrado che, paradossalmente, per noi giovani adolescenti — che ci ritrovavamo lì a suonare in spazi di fortuna — rappresentava una straordinaria fonte d’ispirazione.
Nel 1994 mi sono trasferito a Roma, formalmente per iscrivermi alla facoltà di Sociologia, ma in realtà ero spinto da un’urgenza più profonda: continuare a fare musica.
Nella capitale italiana ho trovato un ambiente vivace, fertile, stimolante. È lì che ha preso forma il progetto Nidi d’Arac — un anagramma di “aracnidi”, a evocare la trama, il tessuto connettivo di suoni e tradizioni. A Roma ho firmato il mio primo contratto discografico con la Compagnia delle Nuove Indie, all’epoca etichetta di riferimento per molti miei idoli: Teresa De Sio, Daniele Sepe, Enzo Avitabile, Almamegretta. Un inizio che segna non solo una carriera, ma un modo di intendere la musica: come corpo vivo, come pratica antropologica.
Un’estetica ispirata dalle teorie di Georges Lapassade (1), che individuava un legame profondo tra la musica rituale e tribale — come la pizzica tarantata del Salento, che dagli anni Cinquanta accompagna il rito della guarigione — e le forme ipnotiche della musica elettronica degli anni Novanta, in particolare la techno.
Da quella intuizione è nata la nostra musica: canzoni costruite secondo una architettura musicale che fonde elettronica di nuova generazione e radici popolari, in un continuo scambio tra pulsazione ancestrale e sperimentazione sonora. I nostri primi spettacoli erano estremamente trasgressivi per l’epoca: la pizzica si intrecciava alla techno, con un’estetica ruvida, quasi punk. In fondo, mettevamo in scena — e in musica — i miei studi di antropologia, iniziati a Roma con Massimo Canevacci (2).
La musica diventava così una forma di ricerca, una danza tra l’istinto e il pensiero, tra il rito e la metropoli. Tanto che Pietro Fumarola (3), — ricorda Coppola — con l’ironia affettuosa che lo contraddistingueva, un giorno mi disse: “Sei un disgraziato, hai avuto il coraggio di mettere in pratica quelle teorie!”.

Dal punto di vista della storia della musica, gli anni Novanta rappresentano un’epoca di grande trasformazione» spiega Coppola: «gruppi come i Négresses Vertes, i Mano Negra e gli Almamegretta iniziano a ridefinire il panorama sonoro europeo, aprendo spazi nuovi e vitali, capaci di emanciparsi dall’egemonia angloamericana.
In questa nuova topografia musicale, il mio lavoro nasce come voce del Sud, come eco del Salento proiettata nel cuore della scena internazionale. Sentivo forte il bisogno di entrare in relazione con un circuito musicale transazionale — che, di fatto, percepivo come qualcosa di esterno all’Italia.
Alla fine degli anni Novanta, ho infatti provato a vivere a Barcellona. È lì che vengo contattato da un’agenzia francese, il cui produttore artistico era lo stesso dei Mano Negra: un incontro decisivo, che segnerà una svolta alla mia ricerca. Nel 2010, insieme alla mia famiglia, mi trasferisco a Parigi per dare finalmente una forma più organica al mio progetto musicale. Portare la radice salentina nel cuore dell’Europa era la mia missione: farla risuonare nei più importanti festival internazionali. Uno su tutti, il Montreux Jazz Festival (4), crocevia di culture, linguaggi e suoni. È proprio lì che alcuni giornalisti inglesi hanno riconosciuto e apprezzato il nostro lavoro — in un momento in cui, in Italia, sembrava essersi spento il fuoco acceso da esperienze musicali d’avanguardia come quelle degli Almamegretta o degli Agricantus.
Noi abbiamo scelto di resistere. Di adattarci ai mutamenti del panorama musicale. Ogni trasformazione è stata una prova, ma anche un’occasione: per crescere, per ridefinirci, per affinare la nostra missione. Ogni volta, custodendo una necessità profonda — quella che nasce dalle nostre radici, ma non smette mai di trasformarsi — è stato un gesto di radicamento e, al tempo stesso, di apertura innovativa. Nel tempo, abbiamo condiviso il palco con artisti come Peter Gabriel, Goran Bregović, Jimmy Cliff e molti altri.
La nostra forza più grande è forse stata proprio la capacità di resistere senza mai perdere il filo della nostra ricerca. Una determinazione che ci ha permesso di sopravvivere artisticamente, fino a consolidare un’identità e un percorso oggi riconosciuti a livello internazionale».

«Il mio gruppo» – continua Coppola – «è composto da musicisti di provenienze diverse. Lo immagino come una realtà aperta, mobile e in movimento, simile a una compagnia teatrale, come quella incarnata dall’Odin Teatret (5), dove i membri non sono meri esecutori, ma co-autori di un percorso. Persone con cui condividere una visione, un tratto di strada, un pezzo di vita.
Negli ultimi anni, abbiamo scelto di aprirci alle nuove generazioni di musicisti. È in questo spirito che abbiamo incontrato i Mundial, gruppo salentino guidato da Carmine Tundo (6), musicista e scrittore dal linguaggio ricercato, che stava già esplorando l’elettronica moderna attraverso un lavoro di fusione tra suoni, campionamenti, testi e poesia. Il loro approccio proseguiva una ricerca che mi è sempre stata cara: quella di contestualizzare la tradizione in una dimensione musicale contemporanea, senza nostalgia, ma con lucidità e libertà.
Così, una parte del mio gruppo e una parte del loro si sono fuse in un’esperienza condivisa. Da questo incontro è nato Tuerci-Core: ispirato da Tersicore, ma anche — in dialetto — un’espressione che può significare “torcere il cuore” o “torcere con forza”. Un nome che è già immagine, suono e tensione; che unisce passato e futuro, radice e visione, Salento e mondo.
Parallelamente al percorso artistico, collaboro con il Comune di Parigi, che ha dato vita a un luogo unico nei pressi di Porte de Lilas: uno studio di registrazione e una sala prove aperti ai giovani tra i 14 e i 30 anni. Si tratta di uno spazio pubblico di espressione e crescita, accessibile tramite un colloquio informale, pensato per valorizzare i progetti musicali emergenti. Sono responsabile della sezione di sviluppo musicale e adotto un approccio pedagogico basato sull’accompagnamento, sull’ascolto e sul “fare insieme”. Non si tratta quindi di un metodo imposto a priori, ma di una didattica flessibile, pensata e agita a partire dai bisogni e dalle visioni artistiche di ciascuno. Un laboratorio permanente, ma anche un osservatorio sensibile sulla musica metropolitana: un crocevia di stili, esperienze, tensioni creative. Un nuovo crocevia che, a sua volta, alimenta la mia stessa ricerca. Questa realtà rivela anche un’evidenza: l’era digitale ha indebolito la dimensione collettiva della creazione. I social alimentano un isolamento creativo, fatto di musica prodotta in solitudine nei cosiddetti home-studio. Ma la musica nasce dall’incontro. In questo senso, il digitale non basta. Da qui l’urgenza di luoghi reali, vissuti e condivisi. Perché la musica è, prima di tutto, una pratica di relazione».
L’orizzonte musicale di Coppola è profondamente concreto. Fin dai suoi primi concerti, la sua vocazione è stata quella di tessere un dialogo tra identità culturali differenti. Il suo ultimo progetto, Trapsody, coinvolge cinque paesi (Francia, Germania, Albania, Portogallo, Italia) – e offre a ognuno di essi la possibilità di esprimersi attraverso la propria orchestra, dando vita a un processo che fonde la musica sinfonica con il linguaggio della Trap (7).
Nel frattempo, come musicista e leader del suo gruppo, Coppola continua a sperimentare, intrecciando rituali e tradizioni diverse in un percorso che esplora nuove possibilità di dialogo. Ne nasce un linguaggio che si fa ponte tra le culture, capace di esaltare i principi comuni che emergono, al di là della diversità delle forme.
Quest’estate, Tuerci-Core tornerà a Corigliano d’Otranto in occasione della Notte della Taranta. Se sarete in Salento, non perdete l’appuntamento.
Note
1) Georges Lapassade (1924–2008), filosofo e sociologo francese, teorico dell’etnometodologia e dell’estasi rituale, rimandiamo al suo studio, Dallo sciamano al raver. Saggio sulla transe, Milano, Apogeo, 2008.
2) Massimo Canevacci, antropologo noto per i suoi studi sulla comunicazione e le culture urbane. Si veda il suo saggio, Culture extreme. Mutazioni giovanili nei corpi della metropoli, Milano, Booklet, 2003.
3) Pietro Fumarola, sociologo e antropologo, tra i primi studiosi italiani del fenomeno tarantismo. Si veda il libro, Musica droga & transe, a cura di Vincenzo Ampolo e Guglielmo Zappatore, con presentazione di Pietro Fumarola, Roma, Sensibili alle foglie, 1999.
4) Montreux Jazz Festival, Svizzera, tra i più importanti festival al mondo, noto per la sua apertura ai linguaggi musicali più diversi.
5) Fondato nel 1964 dal regista, pedagogo e studioso Eugenio Barba, l’Odin Teatret ha sede a Holstebro, in Danimarca, ma ha sempre conservato un’anima profondamente internazionale e interculturale. Nato come compagnia di attori esclusi dalla scuola nazionale di teatro, è diventato ben presto un punto di riferimento per la pratica teatrale e la ricerca antropologica sulla presenza scenica dell’attore.
6) Già noto nell’ambiente musicale con lo pseudonimo di Romeus, nel 2021 Tundo dà vita al progetto Mundial, affiancato dai musicisti Roberto Mangialardo e Alberto Manco.
7) La trap è un sottogenere del rap nato nel sud degli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta.
