Rimasti fuori. La ripartenza e il caso di Carrozzerie | n.o.t Intervista di Carlo Lei

Il 26 aprile delle ripartenze si è rivelato ciò che ci si aspettava sarebbe stato. Ha coinvolto (e lentamente arriverà a coinvolgere) quelle istituzioni legate a finanziamenti che non si sono mai fermati, tanto da consentire loro, se lo volevano, di mantenere accesa la macchina produttiva, sia pure a bassi regimi. Ma il mondo del teatro è fatto soprattutto di altre realtà disseminate nel territorio: da esse partono e attraverso di esse passano i capillari di un sistema stratificato, che dai teatri indipendenti passa agli spazi gestiti da associazioni culturali, attente alla formazione anche dei giovanissimi e dei non professionisti. A quel sociale che è socialità, comunità.
Esemplare è il caso di Carrozzerie | n.o.t: per quella lunga sala, ritmata da impossibili pilastri, sono passati a vario titolo i nomi imprescindibili e i giovani più proiettati: Enzo Cosimi, Deflorian/Tagliarini, Bartolini/Baronio; Dante Antonelli, Marco D’Agostin, Unterwasser, Iacozzilli… Ma vi si tengono anche corsi per under18, non professionisti, residenze.
Eppure il 26 aprile l’ex carrozzeria di Ponte Testaccio è rimasta chiusa. Su Facebook i suoi inventori, Maura Teofili e Francesco Montagna, scrivono un lungo post per spiegarne le ragioni. Abbiamo voluto capire meglio la situazione.

Perché Carrozzerie | n.o.t non riapre?

Carrozzerie | n.o.t – come moltissimi spazi che si occupano di teatro e cultura sui territori – è un’associazione culturale, attiva principalmente nel sostegno alla creazione di artisti affermati ed emergenti e nella formazione culturale permanente professionale e non professionale con particolare riferimento agli adolescenti.
Spazi come il nostro sono stati chiamati – dopo una brevissima riapertura – a sospendere nuovamente lo svolgimento di qualsiasi attività in presenza a partire dal 25 ottobre. I “circoli culturali”, le realtà assimilabili e le loro attività, assieme a tutta la formazione non connessa all’ottenimento di attestati riconosciuti da Ministeri, Enti o Regioni sono stati bloccati e vincolati alla sola modalità di svolgimento da remoto.
Queste diciture e sospensioni sono state mantenute nei successivi provvedimenti.
Il nuovo decreto riaperture – emanato lo scorso 22 aprile – ha previsto la ripresa di molte attività in presenza dettagliando scaglioni di ripartenza che arrivano a toccare casi specifici di diversa natura, ma non recupera però queste diciture lasciando conseguentemente in sospeso la possibilità di riattivare le attività associative e culturali di realtà come la nostra.
Al momento possiamo esclusivamente mettere a disposizione la nostra sala principale come luogo di lavoro a grandi produzioni che assolvano la funzione diretta di datore di lavoro per lo svolgimento di fasi di prove o allestimento, ma non possiamo avviare o ideare direttamente attività culturali e proporle ai nostri associati.

Quanti sono a Roma, a vostra conoscenza, nella stessa situazione? Quanta parte della formazione e della ricerca teatrale di questa città si ritrova nel vostro stesso vicolo cieco?

Roma vive di un gigantesco ecosistema culturale fatto di spazi, luoghi non deputati, associazioni culturali attive localmente che si spendono profondamente per il sostegno alla nuova creatività e l’attivazione culturale e creativa della cittadinanza. Le realtà come la nostra sono moltissime, centinaia; un panorama vivo che ultimamente ha visto anche nuove importanti aperture. Questo tessuto di realtà territoriali svolge un ruolo fondamentale traducendo e veicolando la vivacità culturale della città che spesso non arriva a livelli più istituzionali, ma che ha profondamente bisogno di luoghi di stimolo ed espressione.
Il “teatro” non si fa solo in Teatro e anzi spesso riesce a svolgere la sua funzione sociale principale proprio in luoghi diversi e spazi di prossimità che sono il terreno in cui muovono i primi passi la ricerca e la creazione artistica che poi arriva anche sui palcoscenici più importanti e soprattutto in cui si fonda il rapporto diretto fra la cultura e la cittadinanza.

Al di là delle condizioni burocratiche e statutarie, si può riprendere a questo punto, con un retroterra bruciato e prospettive a dir poco aleatorie? Voi come lo avreste fatto?

«È una sfida e una scommessa!» avremmo detto alla fine del primo lockdown.
Adesso possiamo dire che è un atto di fede e una presa di responsabilità rispetto a quello che facciamo e rappresentiamo.
Forse è semplicemente “tigna” (a Roma è sinonimo di testardaggine e cocciutaggine), ma noi abbiamo una fede incrollabile nell’importanza sociale e culturale delle pratiche collegate al teatro e alle arti performative; sono una possibilità incredibile e trasversale per elaborare e coltivare un senso collettivo che resta cruciale per la contemporaneità, per mantenere il contatto con la sfera profonda e sensibile di ogni individuo e una chiave di accesso privilegiata al rapporto fra generazioni e persone di qualsiasi condizione e provenienza.
Il teatro è una porta d’accesso sempre aperta alla condizione umana e alla relazione con l’altro e mai come nel prossimo futuro queste caratteristiche si dimostreranno importanti nel recupero (se non nella ricostruzione) della socialità e della relazione in presenza nei confronti di una collettività che rischia di pagare le conseguenze del distanziamento e della completa virtualizzazione degli scambi vissuta durante il lockdown.
Inoltre sarà fondamentale riprendere tutta l’azione di sostegno alla creatività e alla produzione artistica cercando di moltiplicare occasioni e partner che condividano questo obiettivo. Potenziare questa attività rimane indispensabile perché la particolare contingenza e le difficoltà economiche del settore rischiano di scoraggiare – ove non impedire del tutto – la crescita ed il completamento di nuovi percorsi artistici, in un frangente in cui il contributo di visione e rielaborazione degli artisti può risultare essenziale per l’espressione della sensibilità collettiva.
In attesa di poter riavviare questi discorsi non ci siamo piegati allo streaming e all’on-line. Ecco, quello proprio non siamo riusciti a farlo. Su quello siamo felici di aver fallito.

Nella chiusa del vostro post vi augurate «che presto qualcuno si assuma la responsabilità di stabilire la differenza fra la natura delle attività vietate e quelle consentite e si degni di aggiungere un chiarimento». Quali spiegazioni vi aspettereste? Un mea culpa o la dichiarazione di un progetto preciso?

Il nostro non era un post particolarmente polemico, piuttosto una necessaria precisazione che si inserisce nel discorso con la comunità che normalmente si riferisce a Carrozzerie | n.o.t e che si sente adesso orfana e spaesata. Artisti e persone comuni ci chiamano, invocano la possibilità di tornare ad abitare spazi necessari con modalità serie e scrupolose… è davvero difficile non avere ancora per loro una risposta.
Nei mesi precedenti ci sono state diverse interlocuzioni fra le Istituzioni e le rappresentanze del nostro settore e la necessità di considerare il sistema della cultura in generale (e dello spettacolo dal vivo in particolare) come un sistema fortemente interconnesso è stato posto all’attenzione generale.
Il Legislatore a questo punto è in grado di considerare nello specifico le attività di creazione e/o di formazione che si svolgono all’interno di spazi di cultura anche indipendenti, di riconoscerne la funzionalità rispetto alle esigenze della collettività e di tutto il comparto dello spettacolo dal vivo, avendo inoltre ricevuto garanzia della capacità di questi luoghi di adeguarsi quanto a strutture e modalità di fruizione per garantire le condizioni sanitarie indispensabili.
Nessuno nel nostro settore è per una riapertura avventata o incondizionata, sentiamo trasversalmente la necessità di rispettare le normative e agire con cura e nella massima sicurezza sanitaria, eppure – a fronte di una programmazione di riaperture tanto dettagliata in cui si intravede la ripresa di attività assolutamente non essenziali e di puro svago – colpisce che sia stata omessa la categoria dei centri culturali.
Siamo rimasti fuori dalle categorie dettagliate nel Decreto Legge, ma è possibile che sia semplicemente frutto di una mancata precisazione: aspettiamo volentieri e al più presto di ricevere indicazioni o chiarimenti.

Un anno senza Carrozzerie | n.o.t. Quali progetti sono sfumati, quale futuro non è accaduto? Dove sareste potuti essere a questo punto?

I progetti rinviati sono stati tanti, ma ci stiamo impegnando con i partner e con gli artisti per recuperare gli appuntamenti più importanti oppure per accoglierli in nuovi formati. Vorremmo trovare spazio e tempo per tutte le attività che abbiamo dovuto sospendere, ma soprattutto vogliamo riprendere con il sostegno agli artisti emergenti rilanciando il nostro bando di residenze artistiche Odiolestate e ricominciare a lavorare con i ragazzi dei licei e i non professionisti.
La più grande mancanza – in questa sospensione – non è stata tanto nelle possibilità non colte o rinviate nell’immediato (sappiamo che gli artisti sono con noi e le recupereremo), ma nell’impossibilità di continuare a renderci territorio per connessioni impreviste, a farci tramite di messaggi e potenzialità culturali che riteniamo essenziali: il teatro, la danza e le arti performative sono di tutti e non di pochi e la cultura è un accumulatore di molteplici comunità, un catalizzatore di segni e di senso alla portata di chiunque, nessuno escluso; il nostro essere luogo fisico di incontro consentiva di mettere al centro di tutta una azione culturale questa convinzione forte e necessaria.
Lavorare nel punto di contatto fra gli artisti e la gente comune, scommettere su una collettività trasversale, imprevedibile e senza connotazioni, dimostrare che chiunque è il benvenuto in questo terreno possibile ci è sempre piaciuto molto e nella distanza ci è mancato.

Un anno senza teatro: un pubblico che riesce a sopportarlo è un pubblico? Perché del teatro si può fare a meno?

Ci siamo posti spesso questa domanda. In effetti durante questa lunghissima sospensione di attività, c’è stata una forte presa di coscienza collettiva da parte dei lavoratori dello spettacolo, che è emersa all’attenzione del dibattito pubblico soprattutto negli ultimi tempi, ma il nostro referente supremo – il pubblico, la collettività – è rimasto in silenzio?
A dire il vero noi, nel nostro piccolo, abbiamo sentito i nostri associati molto vicini, ci hanno espresso affetto e presenza con costanza e si sono dimostrati anche molto desiderosi ed impazienti: attendono una ripresa con fermento e spesso ci addoloriamo di non poter dare loro una prospettiva certa.
Certo è mancata in questo senso una dimostrazione pubblica collettiva – adoreremmo l’idea di una manifestazione di questo tipo: il pubblico che scende in strada per il suo teatro – ma a tutti gli effetti siamo certi che anche gli altri spazi piccoli e grandi abbiano raccolto dimostrazioni intime di sostegno e solidarietà.
Non sappiamo se del teatro si possa fare a meno. Noi non potremmo e sentiamo di non essere soli. Il teatro è un’arte caparbia e sappiamo che è pronta a riprendere voce con e per la collettività. Anche nei suoi silenzi – in questo disastrato tempo – il teatro ha dimostrato ancora una volta, nella sua natura più profonda, di essere narratore del contemporaneo. In una situazione di stallo totale come quella che stiamo vivendo è certamente rimasto in ascolto per assorbire, rielaborare e poi tornare a restituire il suo contributo ad un dialogo mai sospeso con il mondo. Ci saranno progetti, opere, testi che racconteranno quello che adesso stiamo ancora vivendo. Non per moda, ma per vita. Questo è il teatro.
Questa situazione ci fa pensare sempre all’indovinello che Lisa Simpson fa al fratello Bart «Se un albero cade in un bosco anche se non c’è nessuno nei dintorni, fa rumore?». Bart: «Certamente!» risponde Lisa: «Ma Bart, come può esistere il rumore se non c’è nessuno ad ascoltarlo?».