Sette volte a terra otto volte in piedi di Emanuela Bauco

Foto di Tommaso Le Pera

Per chi come me conosce il lavoro di Eugenio Barba assistere a Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa significa spaesamento e stupore; oltre ad essere il primo viaggio registico compiuto da Barba al di fuori dell’Odin Teatret, è anche un lavoro difficilmente riconducibile all’estetica dell’Odin. Ma attenzione, distanza qui è sinonimo di fertilità. Nella platea del Quirino, dove ci siamo spostati dopo lo spettacolo, introdotti dal professor Raimondo Guarino (Roma Tre), Eugenio Barba, Julia Varley, Lorenzo Gleijeses, Mirto Baliani e Manolo Muoio ci hanno raccontato la gestazione dello spettacolo, durata ben sei anni (tra Holstebro, Roma, Napoli), vissuti tra pause, difficoltà a riunirsi, e smantellamenti delle versioni precedenti.  Sono tempi lunghi, a cui nessuno o quasi oggi è abituato ma tale lusso offre al lavoro una qualità difficilmente ottenibile. È l’opera collettiva di un gruppo estremamente eterogeneo, di tradizioni teatrali distanti. Eugenio Barba e Lorenzo Gleijeses si conoscono da molti anni perché Lorenzo ha lavorato con Julia Varley sua prima maestra all’Odin Teatret, che lo ha diretto nel Figlio di Gertrude (Premio Ubu 2006 – nuovo attore).
Nel 2013 Lorenzo aveva incontrato Eugenio Barba a Napoli e gli aveva confidato la sua inquietudine professionale, frutto anche dell’instabile contesto del teatro italiano. Eugenio e Julia generosamente gli proposero una residenza all’Odin e un piccolo compenso: Lorenzo avrebbe avuto la sala e il tempo per lavorare. Giunto con Mirto Baliani al 58° Parallelo Nord (che passa infatti per Holstebro, dove si trova la sede dell’Odin Teatret) porta con sé gli “oggetti coreografici” nati dalla sua collaborazione con il coreografo Michele Di Stefano, con il quale aveva già iniziato a lavorare. Mirto e Lorenzo si chiudono in sala e creano materiali. Al principio si tratta di partiture molto elementari che Lorenzo chiama “preghiere”. Julia è in tournée, perciò è Eugenio che sotto richiesta di Julia va a vedere il lavoro. L’immagine immediata per Eugenio è quella di un insetto che si muove in modo disarticolato. La successiva è: Kafka. Chiede a Lorenzo: «Perché non lavori su Kafka?». Eugenio Barba non ha ancora alcuna intenzione di lavorare con loro. Barba si convincerà solo dopo una strategica master class pubblica organizzata da Lorenzo a Napoli; strategica perché Barba si illumina quando vede la determinazione, l’audacia e il lavoro di qualcuno.

Foto di Tommaso Le Pera

Quando però entra Barba, Di Stefano che non è interessato a lavorare su Kafka, si tira indietro restando l’artefice delle coreografie. Lorenzo a sua volta non si arrende e non intende rinunciare a nessuno dei due, e da questa decisione nascerà il fratello gemello “eterozigote” con la regia di Michele Di Stefano, che si chiamerà Corcovado (ha debuttato alla Triennale di Milano lo scorso luglio).
Nel racconto di Eugenio, il consulente letterario dell’Odin Teatret, il danese Thomas Bredsdorff, interpellato, espresse l’opinione che Kafka fosse impossibile da mettere in scena; ma Barba sceglie di rappresentarlo. Non solo questa volta ma già nel 1993 si era ispirato a Kafka con lo spettacolo Kaosmos, Il rituale della porta. L’ennesima sfida con Kafka si è unita all’altra altrettanto difficile anche per un maestro come Barba, il materiale sonoro. La musica, composta da Mirto Baliani, per quanto straordinaria è incapace di produrre quei “sats” quegli impulsi che nella lingua di lavoro di Barba sono fondamentali che da sempre lavora con dei musicisti i quali creano veri e propri impulsi di energia ai quali l’attore deve reagire. Lo spettacolo ha tre diversi arterie narrative: alcuni elementi biografici di Lorenzo, la metamorfosi di Gregor Samsa e un immaginario danzatore omonimo. Gregorio Samsa danza con ostinazione e ripete la sua partitura prima del debutto. Prova e riprova, parla con le persone che fanno parte della sua vita attraverso un telefono. Gregorio è solo, Gregorio vive dentro una scatola mentale e lavora. Ripete, ripete, ripete, come un automa. Gregorio è dentro uno spazio fisico/gabbia dove la realtà interviene come una menzogna. Non dialoga, monologa, non ascolta, non viene ascoltato. Noi spettatori, sul palco insieme a Gregorio, abbiamo sudato, respirato con lui, ne abbiamo potuto percepire i palpiti, i tormenti, l’agonia prima della fine, liberatoria.
Il teatro è soprattutto la storia degli incontri, delle alleanze, delle fascinazioni dei tradimenti, dei rischi che si è pronti a correre e Lorenzo ha scelto di correrli tutti, restituendolo in un lavoro preciso, chirurgico, denso e complesso. Dov’è il danzatore e dov’è l’attore? E davvero nella resa di Gregorio c’è la fine? Gregorio e il sole.
L’incontro di oggi si è chiuso con una grande energia e con Eugenio Barba che dall’alto dei suoi ottantacinque anni, che compirà il prossimo 29 ottobre, incanta la platea con il suo grido di battaglia: un grido che dura da quasi sessant’anni, un uomo che ha fatto del teatro un tempio nel quale attori uomini e donne potessero cadere per sette volte a terra e rialzarsi in piedi per otto. 

Foto di Tommaso Le Pera

Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa 

regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
con Lorenzo Gleijeses
musiche originali e partiture luminose Mirto Baliani
oggetti coreografici Michele Di Stefano
consulenza drammaturgica Chiara Lagani
scene Roberto Crea
voci off Eugenio Barba, Geppy Gleijeses, Maria Alberta Navello e Julia Varley.

Teatro Quirino, Roma, fino al 3 ottobre 2021.