I fiori riescono sempre a farsi strada di Carolina Germini

Al Théâtre du Rond Point dal 1° al 20 di ottobre è andato in scena lo spettacolo La Gioia di Pippo Delbono, con grande accoglienza da parte del pubblico e della critica francese, che da sempre elogiano i lavori dell’artista originario di Varazze.
«Ce spectacle, plus que la «Joie», je l’appellerais «Un chemin vers la joie». Che Delbono voglia trascinarci con sé nella sua esperienza di ricerca, lo capiamo da questo esordio. Una delle difficoltà in cui si è da subito imbattuto è stata la scelta del titolo. Inizialmente aveva pensato a La morte gioiosa, un riferimento all’opera di Tolstoï La Mort d’Ivan Ilitch, in cui il protagonista, alla fine della sua vita, finisce per trovare la bellezza anche nei momenti di noia e di tristezza. Poi aveva immaginato di intitolarlo La possibilità della gioia, testo del suo amico Gianni Manzella e a lui dedicato. Alla fine è stato qualcun altro a decidere per lui: un caro amico che, paralizzato a causa della SLA, poteva esprimersi soltanto attraverso il movimento degli occhi. Quando Delbono gli ha chiesto di scegliere tra La possibilità della gioia e La gioia, lui ha preferito il secondo titolo. È difficile immaginare che un nome così “festoso” provenga dalla sofferenza di qualcuno, a cui manca l’uso della parola. Ma è proprio questo il senso del lavoro a cui assistiamo: mostrare che l’esperienza della gioia avviene durante l’attraversamento della sofferenza. È per questo che anche qui, così come in tutti gli altri suoi lavori, Delbono non può rinunciare a Bobò, attore e compagno di avventure, venuto a mancare lo scorso febbraio. Sordomuto e analfabeta, Bobò aveva inventato un linguaggio per parlare con gli altri. La Gioia rinasce dalla sua morte e si presenta come un omaggio a tutto ciò che questa magnifica figura ha significato. Oggi per Delbono è difficile ritrovare la gioia senza Bobò. Lui esiste ancora, non è morto. È la gioia della memoria che resta. Non è solo la sua voce che risuona sul palco a evocarne la presenza, ma è la sua assenza a renderlo ancora più vivo. È ancora più difficile accettare la sua mancanza se pensiamo che anche lui aveva preso parte a questo progetto, apparendo in diverse scene della prima versione dell’opera. Allora è come se fosse sparito tra una scena e l’altra, in un buio soltanto teatrale.

 

I fiori riescono sempre a farsi strada, proprio come la gioia e come Bobò, che pur senza la voce, si è espresso a lungo sul palco. Nella compagnia di Delbono c’è posto per tutti. Il teatro per sua natura non esclude. Allo stesso tempo però il regista sembra separare il mondo in due parti. Da un lato ci sono quelli normali, che non hanno mai conosciuto la pazzia da vicino, dall’altro i folli per cui tutto è ancora possibile. È paradossale che un teatro che si presenta così capace di includere ogni essere umano, poi tratti con tanta severità lo spettatore, facendo intendere che non sarà mai in grado di capire. È come se, pur invitandoci nel suo mondo, Delbono ci dicesse che possiamo restare soltanto sulla soglia. Lì sul palco, dove tutto è possibile, per noi sembra non esserci posto. Si tratta di una provocazione? Forse Delbono vuole così incoraggiarci ad abbandonare la logica con cui classifichiamo ogni cosa. Per comprendere ciò che Bobò vuole comunicare nel suo tentativo di usare la voce, per afferrare il senso dei gesti con cui Pepe Robledo sgombra il palco e per cogliere che dietro i passi leggeri di tango di Ilaria Distante in realtà si nasconde il dolore della morte del suo compagno, dobbiamo rinunciare alla folle pretesa di capire ogni cosa?

 

 

Tra le numerose immagini che Delbono crea, ve ne è una che somiglia a un’opera dell’artista Michelangelo Pistoletto: la Venere degli stracci. Pepe Robledo svuota enormi sacchi neri pieni di vestiti e li sparge sul palco, come coriandoli. Il teatro di Delbono riesce a rendere visibile l’invisibile. La morte dei migranti è ogni giorno sotto i nostri occhi, eppure riusciamo a vederla soltanto nella sua evocazione. Bastano i vestiti, non servono i corpi per vederli annegare, così come bastano i gesti e non serve la voce per capire Bobò.

 

                                                                                       

La Gioia

di Pippo Delbono
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Laricia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella
regia di Pippo Delbono
con la voce di Bobò
musica Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano
luci Orlando Bolognesi
suono Pietro Tirella
costumi Elena Giampaoli
direzione tecnica Fabio Sajiz
contenuti fotografici Luca Del Pia.

Théâtre du Rond Point, Parigi, dal 1° al 20 ottobre 2019.