Verso l’Orestea di Enzo Cosimi di Paolo Ruffini

Enzo Cosimi è forse l’unico danzatore-coreografo della sua generazione (pochi altri di quelle successive) che ostinatamente insiste nel “guardare” quello spazio reale dell’esistenza, quella sfera intima ch’è politica perché mai scissa da un legame sociale, e lo fa senza riverberi di edulcorate agnizioni né di levigate coloriture della forma. Privo anche di atteggiamenti morali (per questo spesso disturbante sia nel segno che nel “racconto”), non riporta i dettami dell’indignazione o della colpa o del perdono ma si serve di un intimo sentire, direbbe lo storico sociale Yuval Noah Harari, che «rappresenta l’evoluzione della razionalità», ovvero la consapevolezza che i «sentimenti non si basano sull’intuizione, sull’ispirazione o sulla libertà [ma] si basano sul calcolo» (1), persino nella rivolta. Lui, che della materia del linguaggio iconico, finanche eversivamente classico e “corporeo” imbevuto di bellezza, ne è stato precursore in questo paese smemorato; e Cosimi è fautore di eclatanti “movimentazioni” coreografiche all’interno e accanto alla rilevanza percettiva del danzatore (anzi, mette questo nella condizione di evidenziarne le proprie domande, le proprie fragilità), ed è contemporaneo nel suo significato più profondo, capace cioè di avvertire un tempo che non è più e non è ancora, in between, e in quel “tra” è capace di cogliere gli estremi dolorosi dell’esistenza. La sua danza che si trasforma in teatro per ritornare all’assoluto del movimento ha mostrato la maniacale precisione del gesto e il suo opposto, la deriva brutale dello scherno e della “verità” fisica, e così la sua “orchestrazione” di atteggiamenti, attitudini, suoni e azioni sono prima di tutto un pensiero sul mondo, una tesi, sarebbe un errore dunque non cogliere la sfida che Cosimi ci lancia. Ha debuttato Glitter in my tears – Agamennone, al Teatro India di Roma, trama di avvicinamento a una Orestea che si annuncia dura al di là delle sovrapposizioni psicoanalitiche alle quali siamo abituati. Una partitura intorno alla figura dell’eroe questa volta calato nelle vestigia di un tempo infermo e definitivo, senza furto al futuro ma invece testimone attento a ri-posizionare ciò che ci circonda in un “testo” scenico multiplo e fatto di “accumuli” visivi e letterari (come rovine sedimentate dopo un disastro lì a portata di mano) e attento altresì a quali desideri siamo abitati per rivendicarne l’audacia. Non è l’architettura e nemmeno la densità di materie che “ingombrano” la scena, ma per una certa rimembranza di presagi si potrebbe accostare questo Glitter in my tears – Agamennone – parte di un tutto che sarà l’Orestea – all’omonima opera della Socìetas, due emisferi totalmente disuguali eppure convergenti nel mettere in “chiaro” il minoritario spazio intimo e personale delle figure di Agamennone, di Clitennestra e di Egisto in quella collisione di registri con i danzatori Alice Raffaelli, Giulio Santolini e Matteo De Blasio. Il terreno scivoloso dell’adesione a una forma, a un “personaggio”, da parte degli interpreti, è superato proprio per quella contrazione del corpo sul “desiderio” del singolo interprete ch’è manifestazione di sé e al contempo capacità critica, soma indotto e personalità liberata. Ma se la libertà è un calcolo, si diceva a proposito con Harari, potremmo definire questo lavoro di Cosimi col metro barthesiano di un grado zero della scrittura (e della vocalità), come innestare su una talea della chair l’impermanenza di Nicolas Bourriaud.

Sebbene parlare di impermanenza rispetto a Bourriaud potrebbe sembrare un ossimoro, laddove il lavoro relazionale è intenzionalmente “permanente” nello sguardo e nei temi condivisi dallo spettatore. Lo spettacolo del corografo romano ha, difatti, la giusta distanza con la didascalia eschilea ma si serve di sinottici passaggi assorbiti dall’esperienza dei corpi e delle memorie dei suoi interpreti, paventa una tragedia che invece si cristallizza in un presente oltremodo da farsa dove tutti sono complici nell’essere vittime e carnefici, tutti assolvono al rito sadomaso di un cortocircuito hot. Con il coreografo, anche noi diventiamo consapevoli di un impermanente e voyeuristico onanismo del giudizio. E se sullo sfondo all’inizio scorgiamo in controluce le ombre di un conflitto, monconi di arti e parti umane straziate, quelle stesse porzioni organiche (pezzi di manichini imbrattati di rosso) sono lasciate alla fine alla mercé della nostra inebetita ma salvifica “non appartenenza” a quel male. È uno spettacolo importante Glitter in my tears – Agamennone quando vengono “rimasticate” testualità queer o eco in soggettiva di chi in scena deforma i passi, sovverte e impasta narrazioni loro prossime come a noi e non è la morte né la perdita a coniugare questo nuovo ordine di rispecchiamento tra reale e fiction ma la desolazione del ripetersi del dogma, di una tragedia-farsa destinata all’eterno identico. Solo una barra di luce pendente diagonalmente dall’alto sul finale ci rammenta della faglia (che sembra omaggiare la rarefazione pittorica dei Magazzini), del taglio con la Storia, non più documento nella tradizione (e degli stilemi della danza) ma escrescenza, eccedenza del desiderio, appunto. È uno spettacolo importante dentro il mondo della coreografia per il tentativo di ridefinire un vocabolario fatto sempre più di accenti e mancamenti, di defezioni dall’ordine e insistenze nell’oltrepassare il limite, un surplus di citazioni e rimandi a se stesso nel continuum di una scena messa a disposizione del lavoro fisico dei suoi interpreti, facendo emergere da loro una vita nascosta dei molti pre-testi e innesti linguistici. È uno spettacolo importante, infine, per il coraggio di Cosimi di portare il proprio tratto (leather, allergico alla retorica – anche coreografica – e materico) ancora una volta attraverso sé e il proprio retaggio biografico alla «ricerca del passaggio dall’uno all’altro, il ruoteare insieme in una gravitazione che non ha centro, ma solo un moto di sopravanzamento reciproco» (2), con tasselli straordinari di performatività oltre la danza, obliquamente alla danza.

Note

1) Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Milano 2018, p. 85.

2) Caterina Di Rienzo, Per una filosofia della danza. Danza, corpo, chair, Mimesis, Milano 2019, p. 55.

 

Glitter in my tears – Agamennone

Orestea – Trilogia della vendetta

regia, coreografia, scene e costumi Enzo Cosimi
interpreti e collaborazione alla coreografia e ai testi Alice Raffaelli, Giulio Santolini, Matteo De Blasio
testi Enzo Cosimi, Giulia Roncati, Genius P-Orridge
disegno luci Gianni Staropoli
colonna sonora a cura di Enzo Cosimi
musiche Georg Friedrich Haas, Mika Vainio, Arvo Pärt
crediti foto di scena Ufficio Stampa Teatro di Roma.

Teatro India, Roma, 8 e 9 maggio 2019.