Un Pirandello fluido e femminista: Simone Luglio e “La nuova colonia” di Filippa Ilardo

Foto di Antonio Parrinello

Un’isola penitenziaria che diventa baluardo di libertà, esseri umani che rischiano la morte per ri-fondare una nuova vita: è uno dei paradossi pirandelliani che si veste di utopia e mito, con forti coloriture sociali e politiche. La nuova colonia, il dramma sociale che Pirandello scrisse per Marta Abba e fu rappresentato per la prima volta al Teatro Argentina di Roma nel 1928, sotto la direzione dello stesso drammaturgo, è il testo scelto dal regista siciliano Simone Luglio, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, per la Stagione estiva del Teatro Verga.
L’opera che coniuga la valenza mitica con la tradizione realista verghiana, è una riflessione di forte impianto rousseauiano, sulla natura del potere, sulla diseguaglianza tra gli uomini, sulle dinamiche prevaricatorie che sorgono all’interno di una comunità, sulla naturale violenza degli esseri umani. L’utopia di un mondo nuovo è coltivata da una masnada di reietti, delinquenti, miserabili e una prostituta, tutti affascinati dalla narrazione di Tobba, interpretato da Antonio Alveario, ex galeotto di un altrove, ovvero un’isola – che in passato ospitava un penitenziario – sgomberata a causa dell’ennesimo terremoto, perché́ destinata a essere inghiottita dalle acque del mare. Un vero Eden, ameno e incontaminato; una possibile via d’uscita per l’ex prostituta, La Spera (una splendida Lucia Cammalleri) che li convince a tentare una via di fuga da quella civiltà che li ha impietosamente condannati, inchiodandoli in una “forma” che non riescono a scrollarsi di dosso, in un’etichetta che non li lascia respirare, rovesciando quello che per gli altri è una condanna in autodeterminazione.

Foto di Antonio Parrinello

La messa in scena di Simone Luglio è improntata alla ricerca di autonomia nei confronti di uno dei testi meno usati, ma sicuramente complesso, per quanto affascinante, del grande autore.
La scelta registica colpisce per l’avere impresso forte dinamicità alle scene e fluidità al dettato linguistico, in un nuovo rapporto con la dimensione orale insita nelle battute.
«Confrontarmi con Pirandello» – afferma il regista – «per me significa soprattutto evitare il pirandellismo di maniera, accademico, cantilenante che molti attori e registi imprimono alle opere di questo grande maestro del teatro. Io, nato e cresciuto a pochi chilometri da quella che fu la terra di Pirandello, ho sentito nel testo invece i suoni della mia terra, i modi di dire, le forme dialettali, la mia lingua parlata insomma».
L’interrogativo che rimane è infatti se è insito o meno nel testo un andamento orale a volte eccessivamente filosofeggiante dell’autore agrigentino, laddove l’autore «squaderna un vero arsenale di argomentazioni sofistiche», secondo quanto affermava lo stesso Silvio D’Amico.
«In realtà, tolto qualche toscanismo o forma arcaica» – precisa Simone Luglio – «ho lasciato intatta la sintassi pirandelliana, la struttura della battuta. Ho percorso un’altra via, dapprima abbiamo tradotto il testo nel dialetto praticato dagli attori, attraverso improvvisazioni libere. Siamo poi tornati alla forma originaria, mantenendo intatta sia la fluidità orale della phoné degli attori, sia il costrutto pirandelliano. Ho messo in bocca agli attori le battute di Pirandello, facendole masticare loro con una vocalità riconducibile al corpo, ai sensi, al parlato».
Rinviata più volte a causa della pandemia, l’opera ha debuttato, attraversando un lungo periodo di ricerca esperimentazione.

Foto di Antonio Parrinello

«La pandemia ha dato un ulteriore significato al testo. Questo confino, questo isolamento vissuto dai personaggi auto-reclusi su un’isola, è sembrato affine a quello vissuto da noi durante il lockdown.  L’impossibilità dei contatti, anche durante le prove, ha fatto sì che abbiamo lavorato sull’astrazione, astrazione che ha fatto crescere la rabbia. Quelli del testo sono personaggi tutti contro tutti, per questo abbiamo scavato dentro di noi, alla ricerca di questi territori dell’anima dove desolazione e disperazione hanno la meglio».
Elemento centrale dello spettacolo è il ruolo della donna, La Spera, ex prostituta dileggiata dagli uomini, è lei che prende l’iniziativa della partenza verso una nuova vita, verso una rinascita esistenziale e sociale. Possedere lei, significa avere il potere per i nuovi coloni che la desiderano. Ma lei reclama il diritto a non essere oggetto di scambio, il diritto di scegliere.
«In tutti i testi pirandelliani la donna è elemento centrale. Spesso le regie, le stratificazioni attoriali, non hanno dato il giusto peso a questo elemento. Il mio lavoro ha inteso mettere al centro il ruolo della donna nella società. La Spera è prima di tutto madre, richiamo alla natura in una chiave mitico-archetipica, ma anche sociale e politica».

Foto di Antonio Parrinello

Quella che emerge nel testo è però l’impossibilità di tenere insieme una comunità senza una legge e un’autorità che possano frenare le pulsioni dei singoli. L’utopia si rovescia allora nel suo contrario, nell’esplodere degli istinti più bassi e primordiali, del caos determinato dalla natura umana quando si allontana dalla legge di natura. «Interessante il personaggio di Crocco» – precisa ancora il regista – «che non vuole sottostare a nessuna legge, nemmeno a quella di “necessità” che i coloni si sono dati. Esprime una totale anarchia e sfiducia nei confronti di qualsiasi forma di convivenza civile, di patto sociale. Quella descritta da Pirandello è una società in preda all’egoismo dove il tentativo di ri-fondazione della società è destinato a soccombere di fronte alle lusinghe della soddisfazione immediata, degli impulsi e alla pressione delle passioni. Questo è un testo senza speranza, dove il mito sociale è posto sotto il segno del fallimento: gli uomini si portano ovunque il male, sembra dire Pirandello. Tuttavia, rispetto al testo il mio è un finale aperto, che lascia allo spettatore la decisione su come finisce questa storia». 

La nuova colonia 

di Luigi Pirandello
adattamento e regia Simone Luglio
con Dario Aita, Antonio Alveario, Giovanni Arezzo, Lucia Cammalleri, Michele Carvello, Roberta Catanese, Antonino Cicero Santalena, Giulio Della Monica, Federico Fiorenza, Simone Luglio, Claudio Zappalà
aiuto regia Chiara Callegari
dramaturg Francesca Fichera
scene e costumi Claudia Gambadoro
musiche originali Salvatore Seminatore
produzione Teatro Stabile di Catania.

Palazzo della Cultura Corte Mariella Lo Giudice, Catania, dal 10 al 20 giugno 2021.