Un Paese che non sa più volare Intervista a A.M. Sorbo e a M.T. Venditti di Alessandra Bernocco

Quello dell’Alitalia è il più grande licenziamento di massa mai avvenuto nella storia della Repubblica.
Quali sono i retroscena, quali le conseguenze, quali le cause ufficiali e ufficiose, palesi e taciute, quali le circostanze che hanno portato la compagnia di bandiera nata settantacinque anni fa a licenziare 11.000 lavoratori?
La questione, ampiamente dibattuta e controversa, è anche oggetto del documentario NOI SIAMO ALITALIA – Storia di un paese che non sa più volare ideato da Alessandro Tartaglia Polcini e diretto da Filippo Soldi, proiettato in anteprima il 5 maggio 2022 al Teatro Palladium di Roma.
Ne parliamo con Anna Maria Sorbo e Maria Teresa Venditti, che hanno firmato la sceneggiatura insieme al regista e al produttore.

Non sarà stato facile muoversi tra reticenze e burocrazia. Avete incontrato molte resistenze? 

AM: Un documentario prodotto da un piccolissimo produttore indipendente non dovrebbe spaventare nessuno (però ogni valanga nasce da un sassolino… e noi speriamo di essere quel sassolino per smuovere qualche coscienza). Tuttavia, delle resistenze ci sono state, non un’opposizione vera e propria, certo, ma remore e défaillances ad apparire, a essere chiamati in causa. Un esempio per tutti: in sceneggiatura avevamo previsto una scena in cui i nostri personaggi “autori” (il lavoro è una docufiction) chiedevano al produttore di incontrare professionisti di ambito medico per approfondire le possibili conseguenze legate all’attività professionale di volo, i rischi sulla salute cui è soggetto il personale navigante. Esistono studi e ricerche in proposito, sono stati svolti convegni, incontri. Risultato: l’ENAC, Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, si è garbatamente sottratto alla richiesta. A quel punto ci è sembrato giusto far diventare la circostanza materiale narrativo, utilizzando un preciso escamotage in sede di post-produzione.

Il documentario si schiera e prende posizione? 

MT: Abbiamo cercato di raccontare i fatti. Ingarbugliati e apparentemente illogici, senza avere una tesi preconcetta. Il tentativo è stato quello di fare chiarezza, cercare di capire noi per primi e offrire alle persone che vedranno il lavoro l’opportunità di formarsi un proprio, libero pensiero sulla vicenda della nostra ex compagnia di bandiera, sgombrando il campo e ampliando la visuale. Che poi questo semplice «provare a capire», come giustamente scrive Filippo (Soldi) nelle note di regia, possa tradursi in un gesto perfino rivoluzionario…  perché no. 

La dedica al pilota trentottenne Francesco Fasolo, lanciatosi nel vuoto dopo il licenziamento di Air Italy non è proprio un atto d’accusa ma una forte denuncia sì. Si parla anche di questo?

MT: Perdere il lavoro significa, per moltissime persone, perdere la propria dignità di essere umano che ha un posto nel mondo. Tema affrontato in un precedente documentario, Suicidio Italia – Storie di estrema dignità, sempre prodotto da Alessandro Tartaglia Polcini e diretto da Filippo Soldi (lavoro che, tra l’altro, ha vinto il Globo d’Oro 2013 come migliore documentario). In quel caso si raccontavano le storie di chi non aveva retto alla crisi economica del 2008 ed era arrivato a togliersi la vita. In questo film, parte terza di una “Trilogia del lavoro” inaugurata nel 2009 dal documentario Tutti giù per aria – L’aereo di carta (per la regia di Francesco Cordio), l’accento torna a essere posto esclusivamente sulla vicenda Alitalia, come già nella prima opera che affrontava la famosa vertenza del 2008. Da una prospettiva, però, più vasta. Quindi la sua nascita, gli anni dello splendore mondiale e la (fortemente voluta?) sua decadenza. Ovviamente l’azienda Alitalia è fatta di persone, donne e uomini che hanno subito la contrazione, gli scioperi, i licenziamenti, vivendoli sulla propria pelle. Francesco Fasolo è una delle moltissime vittime di una conduzione a dir poco scellerata del settore del trasporto aereo nel nostro Paese. Il lato umano, le sofferenze causate dal perdere il lavoro da un giorno all’altro, dalle incertezze su come sarebbe andata a finire la lunga e travagliata vertenza, la precarietà in cui i lavoratori Alitalia sono stati tenuti per anni sono uno dei risvolti narrati nel film. 

Leggo che vi fate guidare da una sorta di Virgilio dantesco: chi è? 

AM: Sono due per la precisione. Gianni Dragoni, giornalista e caporedattore de “Il Sole 24 Ore”, e Fabrizio Tomaselli, tra i fondatori del sindacalismo di base nel trasporto aereo. Sono loro a condurci – o meglio, a condurre gli autori nella finzione – in un itinerario che alla fine si rivela denso di contraddizioni e instillante continui dubbi in chi, come appunto i personaggi del docufilm, si accinge alla comprensione delle vere ragioni della chiusura di Alitalia. Apparati societari intricati, influenze politiche/partitiche, meccanismi lontani dal comune sentire: tutto andava necessariamente chiarito. Da qui l’idea di affidare a Gianni Dragoni e Fabrizio Tomaselli, sapienti “conoscitori” della materia, questo ruolo.

Si può affermare che siete approdati a una conclusione, almeno ipotetica, oppure i lavori sono ancora in corso? 

MT: La conclusione che abbiamo tratto, purtroppo nel contempo grave e disarmante, è che in Italia la Costituzione di cui tutti, nessuno escluso, parlano – in questo caso, ma di certo non l’unico – non è stata rispettata. Che molta informazione non fa il proprio mestiere, ovvero documentare correttamente, approfondire, porre all’attenzione. Che le istituzioni preposte spesso tralasciano di vigilare. Che il fallimento di Alitalia è il fallimento di tutta la Nazione Italia.

NOI SIAMO ALITALIA – Storia di un paese che non sa più volare 

soggetto e sceneggiatura Filippo Soldi, Anna Maria Sorbo, Alessandro Tartaglia Polcini, Maria Teresa Venditti
regia Filippo Soldi
con Tania Angelosanto, Maria Carla Generali, Riccardo Livermore, Luca Andrea Martinelli
musiche Alessandro Michisanti
prodotto da Alessandro Tartaglia Polcini e Associazione Culturale Ticto, con la collaborazione di Own Air.