Salvatore Gambardella dalla musica napoletana al Café chantant di Luca Salvati

Spesso capita di ascoltare delle canzoni che, seppure famosissime e rappresentative di un periodo storico, poco o nulla ci dicono su coloro che le hanno composte. Chi non ha nelle orecchie le strofe, dell’epoca della Belle Époque come: «Quanno mammeta t’ha fatta, quanno mammeta t’ha fatta…» oppure: «Chi mme piglia pe’ Frangesa, chi mme piglia pe’ Spagnola…» o ancora: «Vicino ‘o mare, facimmo ammore…» ma quanti saprebbero ricondurle a Salvatore Gambardella che ne ha scritto le musiche?
Alle molte vicissitudini dell’artista, morto nel 1913 a soli quarant’anni, nessuno aveva mai dedicato una biografia e ciò, probabilmente, per la difficoltà di reperire documenti da fonti attendibili. A colmare questa lacuna ha pensato Sergio Roca che, tramite l’editore toscano LoGisma, lo scorso anno, ha pubblicato il testo: Salvatore Gambardella, un musicista nella Belle Époque napoletana (1).
Il volume introduce l’argomento principale, la vita e le opere di Gambardella, attraverso un percorso di due capitoli che consentono di comprendere, anche ad un lettore privo di conoscenze pregresse, quale fosse la realtà socio-economico-culturale in cui deve essere inserita la figura del musicista.
Si parte da molto lontano alla ricerca di quelle sonorità antiche che Napoli ha costruito, secolo dopo secolo, a partire dai tempi della Magna Grecia, rafforzate in epoca romana (così come narrato da Petronio nel Satyricon) e rese “mondiali” grazie alla Festa della Canzone di Piedigrotta in particolar modo nel periodo temporale che: «a partire dagli ultimi venti anni del XIX secolo si protrasse fino allo scoppio della prima guerra mondiale […] tempo in cui, si stima, vennero composte oltre duecentomila canzoni».
Tramite gli scritti di Francesco Cangiullo, Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, solo per citare i nomi più noti, Roca ci fa prendere coscienza di come la città ai piedi del Vesuvio fosse, all’epoca, l’indiscussa capitale musicale d’Italia.
Per parlare di Café chantant, di macchiette e sciantose, invece, l’autore rivolge la sua attenzione alle memorie di Rodolfo De Angelis, Nicola Maldacea, Adolfo Narciso, Raffaele Viviani, tutti personaggi che hanno fatto nascere, o contribuito a far nascere, quel mondo di “lustrini e paillettes” che negli anni Venti diverrà avanspettacolo e, successivamente, rivista fino a culminare nel genere della commedia musicale. Non dimentichiamo che anche Viviani e Totò, Wanda Osiris e Anna Magnani hanno cominciato così la loro carriera artistica (2). In fondo era grazie alla scrittura delle macchiette che, come notava Di Giacomo, si potevano guadagnare “bei soldi”. Ecco come il poeta inventa un dialogo, in tram, tra due “compositori” di macchiette:

– Dunque? Che si fa di bello?

– Caro amico, macchiette. La macchietta è l’unica risorsa in questo momento.

– È vero. La canzone declina.

– Declina? È finita …

– La macchietta è signorile, elegante, e vi può costituire anche una posizione. […]

– Avete ragione. Maldacea s’è fatto ricco.

– E con che? Con la macchietta. Ma ci vuole un’osservazione diretta del tipo, una grande conoscenza della società, insomma ci vuole il genio.

 

Il terzo capitolo può essere definito il “cuore” del volume in quanto è in questa settantina di pagine in cui l’autore cerca di ricostruire, in maniera organica, la vita del musicista Gambardella che, da povero analfabeta, divenne uno dei più invidiati e conosciuti compositori dell’epoca.
La sua fortuna iniziò, di fatto, nel 1893 quando, mentre per vivere era obbligato a lavorare nella ferramenta di un altro grande compositore napoletano, Vincenzo di Chiara, poté musicare ‘O marenariello, brano del poeta Gennaro Ottaviano sul quale “incollò” le note che aveva composto per un altro poeta, Diodato Del Gaizo, che aveva scritto una canzone dal titolo ‘O mar e ba! Ciò che ha veramente dell’incredibile è che, Gambardella, incapace di scrivere la notazione musicale, dovette ricorrere all’aiuto di un professionista per trascrivere il pezzo sul pentagramma, mentre lui lo strimpellava, da “orecchiante” (vocabolo usato per definire coloro che seppur dotati di estro musicale erano privi di istruzione specifica), su uno strumento a corde.
Riconosciuto un genio “intuitivo”, Totore, così era chiamato dagli amici, trascorse i successivi venti anni musicando non meno di 200 canzoni molte delle quali sotto contratto con la “scuderia” Bideri, il maggior editore musicale nell’area partenopea del tempo, e dedicandosi all’organizzazione di spettacoli di varietà.
Amico di Raffaele Viviani (al quale avrebbe presentato la futura moglie), corteggiato dai futuristi, cercò nel corso della sua vita, in particolare negli ultimi anni, non solo di imparare a leggere e a scrivere ma anche a trascrivere, direttamente, la sua musica. Si narra che fu stimolato a far ciò a seguito dell’inaspettato dono, di un pianoforte, fattogli da Puccini che era rimasto strabiliato nell’ascoltare la progressione musicale discendente di Furturella, uno dei brani meglio riuscitogli.
Sposatosi quarantenne, morì dopo pochi mesi, a seguito di un attacco di cuore, senza lasciare discendenza, in un momento in cui, assieme al rombo della Grande Guerra, scomparve «anche quel mondo pieno di edonistici sogni» del quale era stato protagonista.
I due capitoli conclusivi sono dedicati, il primo, a una semplice analisi, dal punto di vista armonico, di alcuni brani del compositore e, il secondo, a un elenco dei componimenti attributi o attribuibili a Gambardella.

 

Impreziosisce il volume la prefazione del Professore Giorgio Taffon.

Salvatore Gambardella, un musicista nella Belle Époque napoletana è, per la scorrevolezza nella stesura e per gli argomenti trattati, un libro che si può leggere da due prospettive differenti: la prima è quella della biografia/romanzo sulla vita di Gambardella, cui fa da introduzione un’interessante storia della canzone napoletana e dello spettacolo comico-musicale assieme a un ampio sguardo sulla realtà sociologica di fine dell’Ottocento e inizio del Novecento; la seconda è quella dello studio e della ricerca che si evidenzia tramite la puntuale indicazione delle fonti e l’acribia nel tentativo di focalizzare tutti i personaggi che si incontrano nelle pagine del volume. Un testo, quindi, che se mostra l’evidente origine accademica, può essere fruito, agevolmente, da chiunque fosse interessato ad approfondire le tematiche del Café chantant in Italia e da chi volesse conoscere la vita e le opere dell’autore de ‘O marenariello, Lilì Cangy, Comme facette màmmeta? e Furturella.

Note

1)Benché non fosse mai stata scritta una biografia, nel 1955 venne girato, con la regia di Guido Brignone, un film musicale dal titolo Quando tramonta il sole che narra, in forma romanzata, la vita del musicista. La pellicola, anche se non proprio eccezionale, vide in attività un cast di tutto rispetto con Carlo Giuffré nella parte di Gambardella e con Maria Fiore, Giacomo Rondinella, Abbe Lane, Alberto Rabagliati, Eduardo Passarelli e Mario Carotenuto negli altri ruoli.

2)Interessante scoprire leggendo il volume che, in Italia, il Café chantant muore: «… per legge dopo la disfatta di Caporetto [… perché …] a seguito di un decreto luogotenenziale […] venne fatto divieto a tutti i locali destinati allo spettacolo come: cinematografi, locali di intrattenimento o di varietà, di rimanere aperti oltre le ore 22.30; per i teatri di prosa, invece, l’orario di chiusura venne fissato alle ore 24. Le attività artistiche […] che il teatro di varietà portava in scena […] non potevano certo dissolversi per decreto. Gli artisti […] trovarono proprio nei teatri di prosa la loro possibilità di salvezza. I numeri del varietà divennero di avanspettacolo, affiancandosi come attrazione di supporto, alla normale programmazione degli spettacoli di prosa e […] poi a quelli cinematografici».

Sergio Roca, Salvatore Gambardella, un musicista nella Belle Époque napoletana, LoGisma Editore, Vicchio (FI), 2018, pp. 224, euro 22,00.