Romaeuropa Festival 2019: attraverso la complessa geografia dei nostri tempi di Laura Novelli

Guarda alla complessità del contemporaneo il programma 2019 del Romaeuropa Festival che, forte dei suoi 126 eventi scanditi in ben 22 palcoscenici della capitale, si preannuncia anche quest’anno come un contenitore prismatico di danza, teatro, musica, arti visive, opere digitali, incontri di approfondimento e iniziative per i più piccoli, capace di rinsaldare il suo legame con le edizioni passate e, al contempo, di fungere da emblematica cartina tornasole degli snodi problematici più urgenti del nostro oggi così fluido, traballante e confuso.
D’altronde, i temi dell’appartenenza, del paesaggio (nella sua accezione più ampia), dei territori da indagare e abitare sono evocati già nel titolo scelto dalla Presidente della Fondazione Romaeuropa, Monique Veaute, e dal Direttore Artistico Fabrizio Grifasi per questa 34° edizione: Landscapes. Termine/simbolo di questo terzo millennio globalizzato, Landscapes allude qui essenzialmente alla volontà di permettere che il pubblico fruisca i diversi appuntamenti in scaletta come fossero i variegati luoghi (‘paesaggi’, appunto) di una mappa atta a descrivere la geografia del mondo odierno, mescolando virtualità e verità, utopia e concretezza, creatività e impegno sociale.
Si tratta in definitiva di «Un paesaggio da scoprire» – spiega la stessa Veaute – «e da attraversare». Effettivamente questo programma può essere letto come una cartina volta a rappresentare un panorama singolare: la geografia del nostro mondo di oggi. La cartina è dunque una specie di rivelatore. Naturalmente il paesaggio del Romaeuropa Festival è immaginario, perché poggia su fenomeni non più fisici bensì effimeri, per quanto del tutto reali, come possono esserlo le opere teatrali, coreografiche e musicali, le esposizioni e tante altre singole opere che fotografano un paesaggio. Questa cartina è lo strumento che consentirà ai visitatori di orientarsi, offrendo loro la possibilità di scegliere tra diversi percorsi”. Diversi percorsi che tuttavia, nel loro insieme, ricostruiscono un mosaico unico di complessità, cercando di attivare negli spettatori non solo esperienze di crescita estetica e artistica ma anche occasioni di una profonda riflessione sul reale.
Non è un caso, infatti, che la collaudata vetrina si sia aperta nelle sere scorse con l’attesa creazione della coreografa brasiliana Lia Rodrigues, Furia il titolo, nella quale nove danzatori raccontano l’avventura dei loro corpi chiamati a misurarsi con una terra sconosciuta e in continuo mutamento; un “paesaggio” proteiforme dove, accompagnati da musiche rituali della Nuova Caledonia, essi si scoprono soli, selvaggi, energici, in perpetua vibrazione con la realtà che li circonda.
Sempre alla grande danza d’oltreconfine è stato dedicato il secondo appuntamento in programma: Xenos dell’anglo-bengalese Akram Khan. Coreografia già molto celebre, come la maggior parte delle produzioni firmate da questo grande e pluripremiato artista della scena internazionale, che ci sospinge dentro le convulsioni di un soldato della prima guerra mondiale il cui corpo diventa un’arma da combattimento dai contorni mitologici (Prometeo, innanzitutto) e tecnologici. Eseguita dallo stesso Khan, la performance è arricchita dalle musiche di Vincenzo Lamagna, oltre che dalla pratica del Khatak e dalle straordinarie note del Requiem di Mozart. «Sono entrato nella pelle» – chiarisce il coreografo/danzatore – «di un personaggio rappresentativo di milioni di soldati delle Colonie; è la loro voce, la voce di milioni di voci (…). Sono cresciuto senza sapere che ci fossero indiani, persone del mio popolo, a combattere in Europa. Quando l’ho scoperto, ho provato rabbia: uomini mandati a morire senza che nessuno lo raccontasse».
Il corposo cartellone della danza proseguirà nelle prossime settimane con altri appuntamenti di notevole interesse: il brasiliano Grupo De Rua, capeggiato da Bruno Beltrao, arriva al Romaeuropa Festival per la prima volta e sarà all’Auditorium Parco della Musica il 25 e il 26 settembre con una pièce attraversata da cultura hip e hop e street dance; nella stessa location la londinese Rambert Company porterà in scena, a metà novembre, gli “events” coreografati da un altro grande maestro quale Merce Cunningham, grazie al riallestimento curato dalla sua ex danzatrice Jeannie Steele con le musiche live di Philip Selway (Radiohead) e con i dipinti di Gerhard Richter; gli spazi del teatro Vascello e dell’ex-Mattatoio ospiteranno invece una sezione dedicata alle nuove tendenze della danza europea curata da Francesca Manica che alternerà titoli di natura intimista a creazioni di carattere politico-sociale.

E proprio sulla scia di un impegno civile “vigile” sulle aberranti storture dei nostri giorni, si colloca il primo appuntamento teatrale della vetrina, all’interno di scelte artistiche dove il teatro si impone come il linguaggio probabilmente più adatto a tracciare traiettorie – anche decise, scomode, inquietanti – tese a scandagliare i cocenti drammi attuali. Assolutamente da non perdere è, infatti, Orestes in Mosul del regista svizzero Milo Rau (uno degli artisti più influenti e interessanti dei nostri tempi, nominato nel 2017 Regista teatrale dell’anno nel sondaggio della critica condotto dalla Deutsche Bühne e insignito, l’anno successivo, del prestigioso European Theatre Prize), che qui affronta l’Orestea di Eschilo ambientandola nel contesto della guerra contro l’IS, della situazione siriano-irachena e del trattamento riservato ai reduci jihadisti. Il suo teatro-tribunale, costruito nella caserma dei combattenti Peshmerga in Kurdistan e nella piazza centrale di Mosul coinvolgendo militanti, poeti e cittadini del luogo, si muove tra realtà e rappresentazione e parla in modo diretto di violenza, compassione, perdono. Sarà in scena, da stasera a mercoledì, al Teatro Argentina, sala dove lo stesso Rau tornerà il 10 ottobre per presentare l’assemblea politica La Rivolta della Dignità – Resurrezione: tappa romana del progetto Nuovo Vangelo, nato all’interno della programmazione Matera Capitale Europea della Cultura 2019.

Foto di Simon Gosselin

Vira invece verso ascendenze cinematografiche il lavoro che il regista francese Cyril Teste porta al REF con protagonista un’attrice del calibro di Isabelle Adjani. Si tratta di Opening Night (La notte della prima) di Cassavetes: originale intarsio di realtà e finzione che rievoca le circostanze produttive del film, girato in un teatro di Pasadena a partire dall’insolita pièce The Second Woman e davanti a spettatori inconsapevoli, dove il regista francese sembra voler allacciare un rapporto del tutto inedito con interpreti e pubblico (dal 27 al 29 settembre, sempre all’Argentina).

Foto di Gianluca Di Ioia

Si sofferma poi su un’autobiografia riscritta ad hoc per il nostro bravo Lino Musella The Night Writer. Giornale Notturno di Jan Fabre, altro nome presente al REF da molti anni, che sarà in scena al teatro Vascello a metà ottobre. È poi dal best seller Ritorno a Reims del sociologo francese Didier Eribon che nasce l’omonimo spettacolo di Thomas Ostermeier presentato in Italia con l’attrice Sonia Bergamasco per una coproduzione con il Piccolo Teatro di Milano (dal 20 al 23 novembre all’Auditorium), mentre affondano in scenari più italiani e autobiografici le nuove produzioni di Ascanio Celestini, Barzellette, Saverio La Ruina, Mario e Saleh, e Liv Ferracchiati, Commedia con schianto. Struttura di un fallimento tragico.
A tre innovatori indiscussi della scena italiana, Giorgio Barberio Corsetti, Alessandra Vanzi e Marco Solari (riuniti nella compagnia La Gaia Scienza), è dedicata poi la ripresa di una produzione storica dell’avanguardia romana, La rivolta degli oggetti. Era il 1976 quando la visionarietà pioneristica del gruppo propose quella dirompente rilettura dell’opera di Majakóvskij nel leggendario Beat ’72; a distanza di quarantatré anni, la pièce, lirica commistione di teatro-danza e arti visive, trova ora i contorni di un nuovo allestimento affidato a tre giovani performer (dal 17 ottobre al 3 novembre a India).

Promette un felice incontro tra linguaggi diversi, anche il poetico e fantasioso Raoul dello svizzero James Thierrée, one-man show ideato ben dieci anni fa (debuttò in Belgio nel 2009) che scandaglia le emozioni umane trascinandoci in un mondo abitato da teiere parlanti, vestiti animati, meduse-ombrello ed elefanti fantasma. Un mondo però cosparso di segreti e zone d’ombra: la solitudine, le nostre piccole personali crisi esistenziali sembrano acquisire materia per sollevarsi verso la luce attraverso la danza e il movimento (dal 2 al 6 ottobre all’Argentina).
Ovviamente il programma di questo ricco Romaeuropa 2019, che si concluderà il 24 novembre con un Gran finale previsto all’Auditorium, non si ferma qui. Tanto più che quest’anno il riferimento al territorio e al paesaggio si traduce anche in una sorta di festa urbana per i cittadini: quanti vivono a Roma possono facilmente ammirare, infatti, i tanti “stendardi” che annunciano lo svolgimento della rassegna. Strade, ponti, quartieri, piazze centrali e periferiche accolgono i colori e le grafiche di Valeria Crociata ricordandoci che in fondo il termine Landscapes apre sì scorci globali e internazionali ma non esclude che lo sguardo sull’oggi possa e debba partire dalla geografia a noi più vicina e più familiare.

 

Romaeuropa Festival 2019 

Landscapes: paesaggi del contemporaneo tra teatro, danza, musica, digital e Kids
70 giorni – 126 eventi – 22 spazi.

Roma, dal 17 settembre al 24 novembre 2019.

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