Psycho. Come Hitchcock insegnò all’America ad amare l’omicidio di Alessandro Pisegna

«Psycho non aveva solo cambiato il cinema, ma anche svelato l’osceno segreto: il mezzo cinematografico era pronto a una ribellione oltraggiosa in cui il sesso e la violenza non erano più soltanto giochi, erano i protagonisti».
Con queste emblematiche ed esemplificative parole il critico cinematografico David Thomson descrive l’importanza del film Psycho, come spartiacque e precursore di una narrazione cinematografica originale, senza lieto fine, ma ricca di suspense e paura.
David Thomson nel libro Psycho. Come Hitchcock insegnò all’America ad amare l’omicidio, evidenzia quanto Alfred Hitchcock sia stato influente e rappresentativo nella storia del cinema americano, ma anche mondiale. L’autore del volume ricostruisce l’ascesa artistica del regista, dalle sue umili origini al successo planetario, ripercorre la sua genialità e il suo talento, senza confini, smisurato. Thomson focalizza l’attenzione sul film Psycho (1960), interpretato da Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles e John Gavin, sottolineando quanto sia stato innovativo e rivoluzionario per il pubblico e per l’industria cinematografica e quanto abbia cambiato i pensieri, la psiche collettiva degli americani e la rappresentazione della violenza e del sesso nell’opinione pubblica. «C’era la sensazione che sarebbe stato di gran lunga il film meglio realizzato della storia». Non c’era mai stato nulla di paragonabile alla pellicola diretta dal maestro del brivido.
L’illustre critico inglese disegna un’attenta e ricercata analisi della storia del cinema d’oltreoceano con dovizia di particolari e con una scrittura che riesce a catturare pagina dopo pagina l’interesse e la curiosità del lettore.
Alla fine degli anni Cinquanta Hollywood attraversò un forte periodo di crisi. «Nel 1958 per la prima volta dall’inizio degli anni Quaranta  gli  incassi dei cinema americani scesero sotto il miliardo di dollari annuo». Di sicuro anche perché aumentò vertiginosamente  il numero delle famiglie americane che avevano in casa un televisore, da quattro milioni arrivò a quarantotto milioni. Gli americani amavano sempre il cinema certamente, ma preferivano ammirare le pellicole sul piccolo schermo, era più economico e molto più facile. Il talento eccelso e la mente visionaria di Hitchcock  captarono immediatamente e repentinamente questo importante cambiamento, e nell’ autunno del 1955 venne mandata in onda la nuova serie tv Alfred Hitchcock presenta. La sua fama e popolarità crebbe notevolmente e «diventò per tutti il buffo ometto che amava spaventare i telespettatori». Hitchcock faceva due brevi apparizioni, all’inizio e in chiusura di ogni puntata. Il cineasta curò anche la regia di alcuni episodi.

Il regista inglese era un visionario, anticipava i tempi e le preferenze del pubblico, guardava al di là dell’orizzonte. Voleva sconvolgere gli spettatori, estasiarli, voleva far vivere loro emozioni stravolgenti, impossibili da dimenticare. Decise di optare sul terrore e la paura. Già le pellicole di successo che aveva girato erano notevoli: L’altro uomo, La finestra sul cortile, L’uomo che sapevo troppo e Intrigo internazionale.
Ma stava per partorire il capolavoro che lo avrebbe confermato come grande artista, il capolavoro che lo avrebbe fatto entrare nell’olimpo dei maestri del cinema. Nel giugno del 1959 cominciò a parlare di Psycho. La storia era tratta dall’omonimo romanzo del 1959 di Robert Bloch.
Hitchcock fu fortemente colpito dalla storia scritta dallo scrittore statunitense. Psycho fu girato come un film per la televisione e ultimato in meno di tre mesi. Uscì nel 1960 e già nel 1961 fu candidato a quattro Premi Oscar: miglior regista, miglior attrice non protagonista, migliore fotografia e migliore scenografia. Lo stesso anno fu assegnato il Golden Globe per la migliore attrice non protagonista a Janet Leigh.

David Thomson, Psycho. Come Hitchcock insegnò all’America ad amare l’omicidio, Minimum Fax, Roma, 2020, pp 143, euro 16,00.