
Ha delimitato per anni una fruttuosa e originale zona di riflessione sui nostri tempi, sulle contraddizioni della politica e i vacillamenti dell’umano attingendo ai massimi capolavori della fantascienza e sperimentando linguaggi espressivi restii ad ogni rigida definizione. Ha convogliato la curiosità di tanti spettatori decisi a farsi attraversare da suggestioni inedite, persino scomode o comunque impensate e ci ha proiettato con intelligenza in una dimensione postuma sempre capace, però, di interrogare e interrogarci sull’oggi. La rassegna IF/Invasioni (dal) futuro, curata dalla compagnia lacasadargilla (Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni, Alice Palazzi, Maddalena Parise) insieme con Gianluca Ruggeri / ARS Ludi e Roberto Scarpetti e sostenuta dal Teatro di Roma, compie dodici anni di vita e lo fa con un titolo emblematico, Legacy*2025, e un cartellone anche stavolta ricco di eventi, installazioni, melologhi sci-fi, incontri e progetti collaterali profondamente legati all’esigenza di indagare chi siamo. Apertasi lunedì scorso, la vetrina conclude domani e dopodomani la sua prima trance di programmazione al teatro India con la ripresa di un allestimento cult quale Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? (Blade Runner) di Philip Dick (di cui vedemmo una prima versione nel 2019) per poi approdare, il prossimo mese, al Centro Sociale Anziani di Ostia e al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma.

Proprio da quest’ultimo lavoro e dalla nuova versione che lacadargilla ne ha messo a segno quest’anno trae le mosse la nostra conversazione con Lisa Ferlazzo Natoli, apprezzata autrice e regista dell’ensemble. La raggiungiamo al telefono mentre fremono le prove; mentre la complessa macchina del festival capitolino (promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura e vincitore dell’Avviso Pubblico Roma Creativa 365. Cultura tutto l’anno) si trasforma da progetto ad azione e visione reali. E dire “reali” già suona come un controsenso visto che il concetto stesso di realtà è uno dei nuclei tematici più controversi della rassegna e, in particolare, dei titoli ispirati all’impareggiabile immaginario di Dick: La svastica sul sole, spettacolo multimediale, tratto dal romanzo ucronico The Man in the High Castle del ‘62 (tradotto da noi anche con il titolo, appunto, L’uomo nell’alto castello), che è stato proposto ieri in prima nazionale e sarà in replica stasera e Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? (Blade Runner), pièce che traduce in forma scenica il celebre Do Androids Dream of Electric Sheep? pubblicato nel ‘68 e dal quale Ridley Scott trasse l’altrettanto celebre film Blade Runner (1982), con Harrison Ford protagonista. Un’opera che non ha bisogno di presentazioni, dove echeggia una cupa metafora di quella ricerca identitaria, personale e collettiva, che l’Uomo conduce da sempre e che qui spalanca, nello scontro con gli androidi e attraverso questo stesso scontro, scenari di spaventosa ambiguità.
Riassumendo in modo molto semplice la trama del libro possiamo dire che l’azione si svolge in una metropoli post-atomica infestata da polveri radioattive, dove tutti gli animali sono estinti e dove Rick Deckard, intrepido cacciatore di androidi, accetta l’incarico di ricercare i sei pericolosi replicanti Nexus 6 che, un tempo banditi dalla Terra, vi hanno fatto ritorno con intenzioni omicide e si confondono tra gli umani. Ma è realmente possibile riconoscerli? E ucciderli si profila davvero come l’unica soluzione adottabile? Queste sono solo alcune delle domande immense che il romanzo di Dick solleva.
Nel riprendere un lavoro (e dunque una riflessione intorno all’opera) che vi accompagna da tanti anni quale nuova forma avete cercato e trovato? In particolare, come avete immaginato lo spettacolo scenicamente, spazialmente?
Per prima cosa Philip Dick, in questa edizione 2025 di IF/Invasioni (dal) futuro, si conferma un autore per noi imprescindibile e dunque abbiamo pensato di affiancare alla nuova produzione dedicata ad un altro suo capolavoro quale La svastica sul sole, la ripresa di questo Blade Runner che già affrontammo sei anni fa. Portiamo in scena un mondo in rovina che richiama platealmente sia il romanzo, sia il fim, sia il nostro precedente lavoro. Adesso lo proponiamo, però, con un nuovo dispositivo scenico realizzato in dialogo con il concetto di kipall (letteralmente Keep all, prendere tutto, ndr) desunto dall’arte contemporanea: uno spazio in cui vengono recuperati e affastellati oggetti di ogni sorta, concreti e immaginifici; una famelica abbondanza di cose che certamente allude all’appartamento di John Isidore, personaggio la cui vicenda si intreccia a quella del cacciatore Deckard (si tratta di un uomo dal QI molto basso che aiuta gli androidi nella loro fuga, ndr), ma soprattutto adombra il mito del New Deal, dello sfrenato consumismo americano, tema che tra l’altro troviamo anche ne La svastica sul sole. Tradotto in termini più specificatamente teatrali, possiamo dire che da questa installazione scaturisce una certa “stranezza” visto che anche le cose perdute qui si sentono sole. All’interno di questo universo kipall, Maddalena Parise, che firma gli ambienti visivi, immagina infatti mondi abbandonati, svuotati e incerti come svuotati e incerti sono il nostro presente e il nostro futuro.

A livello interpretativo la pièce assume la forma di un melologo sci-fi in cui gli attori dialogano con la musica, molto usata all’interno della rassegna. Puoi spiegarci meglio la relazione tra personaggi e partitura sonora?
In scena ci sono Marco Foschi, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Stefano Scialanga e Elisa Astrid Pennica al violoncello, tutti bravissimi. Marco Foschi è il protagonista, un attore superbo che qui interpreta sia Deckard sia Isidore incarnando le due anime stesse del romanzo: la forza e la paura. Debbo dire che Marco è davvero straordinario sia quando esprime l’energia e il coraggio del cercatore di androidi sia quando racconta la fragilità, i balbettii di Isidore (basti considerare la scena in cui quest’ultimo vede un insetto, unica cosa viva della sua casa popolata solo da automi giocatolo). Ma il plot della storia è imprescindibile, nel nostro lavoro, dalla tessitura musicale (a cura di Pasquale Citera) che spazia dalla classica all’elettronica, mettendo insieme Mozart, Murcof e Cancelli, per restituire l’idea di un universo edificato su macerie sonore. E poiché Marco è anche un ottimo musicista, questo dialogo tra parola e ambiente acustico risulta quanto mai intenso.
Qual è, secondo te e secondo lacasadargilla, il tema centrale del romanzo?
Non mi è facile rispondere a questa domanda perché le tematiche sottese al romanzo (qui adattato dalla madre della regista, Silvana Natoli, ndr) sono davvero molte e tutte importanti. Credo tuttavia che il cuore di questo libro sia il timore di guardare dentro se stessi e scoprirvi un abisso. Se non abbiamo una passione, una pulsione, un desiderio che ci faccia amare qualcosa o qualcuno, dentro di noi si apre un vuoto cosmico, incolmabile. Nel raccontare questo, la fantascienza è un genere grandioso e debbo ringraziare mia madre, i miei genitori, per avermi spinta a leggerla, studiarla, amarla. È un dono enorme che mi hanno fatto e il solo pensiero mi commuove sempre.
Come si lega Blade Runner agli altri titoli della programmazione messa insieme per la vetrina?
All’interno di IF 2025, così come nelle edizioni passate, tutto si lega, tutto si tiene insieme. Blade Runner non è isolabile da ciò che gli ruota intorno. Penso, ad esempio, alla performance di Roberto Scarpetti Captcha (progetto firmato con Giacomo Albites Coen e Alice Palazzi) che è andata in scena ieri sera. Roberto è partito dal test di Alan Turing e ha fatto una grande ricerca con ChatCPT per capirne le insidie e le seduzioni. Uno dei risultati più sorprendenti cui è arrivato consiste nell’aver capito che l’algoritmo di questa IA lavora in uno spazio di energia (si chiama proprio così, anche se ovviamente non si tratta di energia fisica ma di energia dell’azione) fatto per sedurre. Ciò ci ha lasciato di stucco, perché dipende da come è stata programmata e da chi l’ha programmata, e ci ha aiutato a riflettere sulla comunicazione e la sua manipolazione. Dunque, anche in questo caso, tornano alla ribalti temi quali il rapporto tra umano e non-umano, l’amore, il controllo.
Tutti temi disseminati in tanti altri momenti della rassegna e rintracciabili nettamente ne La svastica sul sole (di cui tu curi la regia insieme con Alessandro Ferroni), dove viene raccontato un universo alternativo, dominato principalmente dalla Germania nazista e dal Giappone a seguito di un’ipotetica vittoria delle potenze dell’Asse nella Seconda guerra mondiale, che rovescia l’esito reale degli avvenimenti storici. Nella presentazione dello spettacolo si legge: «Dick ci consegna un’ipotesi di futuro “attivando” una delle linee possibili e latenti della Storia e si domanda: cosa è reale e cosa no, tra sistemi di controllo, conseguenze del capitalismo e alterazioni degli organismi sociali? Dick mette alla prova la teoria post-moderna dell’iperstizione». Come spiegare in termini semplici questo affascinante concetto?
Si tratta di uno straniamento cognitivo che consente di raccontare in altri termini l’esperienza di una «smagliatura, di un vizio di forma che vanifica uno o un altro aspetto della nostra civiltà o del nostro universo morale», secondo la bella definizione di Primo Levi. In pratica, una sorta di riconoscimento negativo della realtà; si fa finta di parlare di un altro tempo e di un altro luogo per parlare del presente e ciò è perturbante perché avvertiamo che il racconto non è familiare anche se possiede qualcosa di molto familiare. Le iperstizioni considerano reale ciò che è immaginato come potenzialità. In fondo, tutte le nostre riflessioni sulla scienza e sulla fisica concorrono a creare la consapevolezza che gli accadimenti dipendano sempre dal nostro sguardo. Le idee stesse sono finzioni. È inquietante ma anche molto teatrale.

Venendo proprio al teatro, a volte non hai la sensazione che la profezia pirandelliana de I Giganti della montagna non tarderà ad avverarsi?
Ho paura. Mi rendo conto che il teatro è in pericolo ma, al contempo, che è necessario: fragile e forte insieme. Sono certa che resisterà. Bisogna avere uno zainetto leggero e non distogliersi mai dal bisogno di analizzare e raccontare il mondo. Come compagnia noi abbiamo sempre avuto uno sguardo politico e non potrebbe essere diversamente. Quest’anno, nello specifico, ci interroghiamo sul capitalismo. Il capitalismo come guerra dolce. Ne parlerà anche Andrea Cortellessa nella sua conferenza di domani (La locusta non si alzerà più. Realtà aumentata e archeologia politica, ndr): da Philip Dick si arriva facilmente a Donald Trump ed Elon Musk. Altro ambito di riflessione per noi urgente è quello sul futuro del pianeta. Basti pensare a un’opera come Dune di Frank Herbert, su cui stiamo ragionando artisticamente per un eventuale progetto a venire. E basti pensare ad alcuni studi sulla Terra che hanno rilevato come le galassie siano legate tra loro da striglie di energia che mutano e che, in un certo qual modo, vivono. E allora le domande centrali diventano: noi esseri umani dove ci poniamo? E di conseguenza l’arte dove si posiziona? Il teatro dove sta?
Come ha risposto il pubblico capitolino gli scorsi anni e nelle prime serate di questa edizione 2025?
Direi molto bene. In passato ricordo spettatori addirittura in lista d’attesa, ad esempio per Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (era il 2023). Credo che il pubblico sia spinto essenzialmente da curiosità, poi ci sono gli appassionati del genere, quelli che invece amano il teatro, ma anche tante persone che si lasciano attrarre dal fatto che proponiamo una tipologia di lavori trasversali. Dispositivi multimediali, video, performance, installazioni, musica, ambienti sonori: muovendosi tra questi diversi “corpi” è il pubblico stesso a decidere cosa fruire, dove porsi, da dove guardare, e credo che ciò sia interessante come esperienza. Inoltre, non va trascurato il prezzo basso del biglietto: è una politica che difendiamo con grande convinzione e che ripaga.
Dopo IF/Invasioni dal Futuro a quale progetto vi dedicherete?
A gennaio 2026 debutteremo al Piccolo di Milano con Escaped Alone di Caryl Churchill (dal 10 gennaio all’8 febbraio in sala Grassi, ndr), un lavoro cui teniamo molto e dove incontriamo ancora una volta la straordinaria scrittura dell’autrice britannica, che qui immagina quattro donne ultrasettantenni intente a sorseggiare tè, parlare di incidenti e di feroci assassini mentre un presente-futuro mostruoso prende via via sempre più corpo. Un testo splendido cui pensavo da tempo. Avevo delle perplessità per via dell’età dei personaggi ma quando siamo stati a Londra con L’amore nel cuore Churchill è venuta a vederci e mi ha rassicurata. Così è arrivato il tempo di farlo. Come è tempo di fare Philip Dick o Alan Turing. Siamo lenti, ma poi le cose ci chiamano e noi arriviamo.
IF/Invasioni (dal) Futuro_Legacy*2025 – dodicesima edizione
a cura di lacasadargilla / Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni, Alice Palazzi, Maddalena Parise
e Gianluca Ruggeri / ARS Ludi
in collaborazione con Roberto Scarpetti, Zètema Progetto Cultura e con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Teatro India, Roma, dal 25 al 31 agosto 2025.
Prossime date:
Centro Sociale Anziani Piazza G. Ronca 22, Lido di Ostia (Roma), dal 4 al 7 settembre 2025.
Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma, dal 12 al 14 settembre 2025.