Per ridere di “grassa”, puoi ascoltare una bugia grossa! di Sergio Roca

Foto di Sergio Roca

Se devi dire una bugia dilla grossa è la versione italiana della commedia inglese Two into One scritta da uno dei maestri della comicità anglosassone, Ray Cooney autore ben conosciuto e particolarmente amato in Italia per un altro suo testo brillante: Taxi a due piazze.
Se devi dire una bugia dilla grossa presentata al pubblico nostrano, sul palcoscenico del Sistina nel 1986, con la regia di Pietro Garinei, riscosse immediatamente un enorme successo. In scena Johnny Dorelli (assiduo in quegli anni, al Sistina, dopo aver recitato in Aggiungi un posto a tavola e Accendiamo la lampada) assieme a Gloria Guida (compagna di vita di Dorelli dai tempi di Accendiamo la lampada) e con Paola Quattrini e Riccardo Garrone.
La traduzione e l’adattamento del testo venne curata dalla sagace mente di Iaia Fiastri che traspose le stravaganti avventure dei protagonisti, dall’originale londinese alla ben più conosciuta realtà romana. Trattandosi di un intreccio che coinvolge un potente uomo di governo, infatti, risultò particolarmente esilarante inserire dei riferimenti a situazioni che, in qualche modo, potessero ricondurre a vicende politico/sociali “locali” a tutti note. Per chi, più giovane di me, non avesse vissuto quell’epoca, la contrapposizione USA/URSS era fortissima mentre, in Italia, si era governati da una coalizione pentapartitica guidata da Bettino Craxi. I principali componenti di quell’alleanza erano la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista.
La scrittura farsesca della commedia e il gioco degli equivoci che essa innesca, può rammentare i migliori testi di Feydeau e benché oggi i concetti legati alla “trasgressione sessuale” cui, in qualche modo, si fa riferimento nella pièce, risultino mutati (e spesso superati), le gags e le trovate sono tali da garantire numerose risate.

L’onorevole Riccardo De Mitri (Antonio Catania), leghista, alloggia con la moglie Natalia (Paola Quattrini) presso l’Hotel Palace, al centro di Roma, in una posizione strategica tra il Quirinale e il Ministero degli Interni dove svolge la sua funzione politica.
L’uomo, invaghitosi di una avvenente segretaria della FAO, Susanna Rolandi (Paola Barale), si prepara a trascorrere, con lei, un pomeriggio di passione. Per non dare nell’occhio, pensa sia cosa astuta affittare una stanza nello stesso albergo dove risiede così da potersi muovere in ambienti in cui la sua presenza non risulti inusuale. Per evitare di esporsi personalmente, però, chiede al suo segretario Mario Girini (Gianluca Ramazzotti) di effettuare, al suo posto, la prenotazione dell’alloggio usando un falso nome. Il segretario, non particolarmente a suo agio nel ruolo di ruffiano, commette una serie di errori che innescheranno infiniti ed esilaranti equivoci, primo fra tutti accettare che la stanza per l’incontro “clandestino” sia attiguo a quello usualmente abitato dal De Mitri e la moglie.
La compresenza, nello stesso hotel, della severa senatrice Merloni (Cristina Fondi), il coinvolgimento del direttore dell’albergo (Nini Salerno), di un cameriere cinese (Marco Todisco), di una cameriera rumena (Ilaria Canalini) e della receptionist (Sara Adami), cui si aggiungono vari travestimenti e scambi di persona, fanno rapidamente crescere il climax del lavoro.
L’evocata presenza di un amante gay di Mario e l’arrivo di Ted (Teodoro), marito di Susanna, (Sebastiano Colla) risulteranno il “filo conduttore” che porterà i protagonisti, tramite un frenetico gioco delle porte, all’immancabile, concitatissimo, lieto fine che farà, anche, ridestare il “sopito” amore tra Riccardo e Natalia.

Foto di Sergio Roca

La versione proposta al Teatro Parioli la cui regia – così come la scenografia – ricalca quella realizzata nel 1986 da Pietro Garinei, è curata da Luigi Russo. Quest’ultimo, saggiamente, senza intaccare la matrice del lavoro di direzione originale, ha effettuato una, necessaria, attualizzazione di battute e gags che, facendo riferimento a momenti storici oramai lontani, sarebbero stati poco comprensibili e divertenti.
La commedia, grazie al ritmo serrato, ai continui colpi di scena e alle trovate comiche è veramente esilarante. Si tratta di una pièce di circa centocinquanta minuti che scorrono velocemente senza dare la possibilità al pubblico di annoiarsi.
Se i mattatori della scena risultano il duo Catania/Ramazzotti (Ramazzotti, a fine spettacolo, è stremato) tanto da suscitare innumerevoli risate, le presenze femminili, Quattrini/Barale, offrono un contributo di altissimo pregio al lavoro, catturando l’attenzione del pubblico e rendendo credibili situazioni più che da paradosso. Particolarmente piacevole e interessante, è vedere Paola Quattrini interpretare lo stesso ruolo affidatole nel 1986.
Complimenti a Cristina Fondi e a Nini Salerno per quanto costruito sui loro personaggi anche se, conoscendo il talento di entrambi gli attori, i loro ruoli li hanno obbligati ad una “postura rigida” che li ha, parzialmente, penalizzati.
Non meno talentuosi sono stati i “caratteristi” che hanno contribuito al successo del lavoro. Marco Todisco, in particolare, assieme a Ilaria Canalini e Sebastiano Colla, pur se impegnati in parti non particolarmente “lunghe”, grazie ad indubbie abilità professionali, hanno reso le stravaganze dei personaggi particolarmente gradevoli suscitando applausi e risate.
Discorso a parte per la bella e brava Sara Adami, cover della Barale per le recite in cui quest’ultima risulta impegnata in altri lavori, che nel piccolo ruolo della receptionist (interpretata da Fatima Romina Alì quando la Adami sostiene la parte di Susanna) non poteva offrire più di una pregevole presenza.

Foto di Sergio Roca

Quando, prima di recarmi a teatro, ho letto la cartella stampa e ho osservato i componenti del cast, ammetto di essere rimasto perplesso: ho pensato che, vedere in scena, una storia basata su un intreccio di corna, amanti e scambi di coppia, proposta da persone “grandi”, sarebbe risultata meno efficace della versione “originale” (all’epoca quasi tutti gli attori erano nella fascia degli “enta”) ma mi sbagliavo e sono felice di essermi ricreduto.
Lo spettacolo funziona ed anche bene. È tutto perfettamente credibile perché la “retorica” della narrazione “fotografa” dei soggetti nella loro età che, però, vivono l’oggi con la mentalità della loro gioventù. Un settantenne con la maglietta dei Pink Floyd può far sorridere ma ha senso se si pensa che potrebbe aver assistito ad uno dei loro primi concerti ma, lo stesso settantenne, con una maglietta dei Maneskin lascerebbe decisamente più perplesso. Una persona “grande” che cerca un telefono pubblico, a “gettone”, può risultare anacronistico, ma è “ragionevole”; un ragazzo di oggi che, forse, non ha mai visto un telefono a “gettone”, che si comportasse nella stessa maniera, sarebbe totalmente avulso dalla sua epoca.
Una commedia da vedere, per ridere, per star bene, per dimenticare, almeno una sera, le preoccupazioni del quotidiano.

Se devi dire una bugia dilla grossa

di Ray Cooney
versione italiana di Iaia Fiastri
con Antonio Catania, Gianluca Ramazzotti, Paola Quattrini, Paola Barale e con Nini Salerno, Cristina Fondi, Sebastiano Colla, Marco Todisco, Sara Adami, Ilaria Canalini
regia originale Pietro Garinei
nuova messa in scena Luigi Russo
assistente alla regia Stefania Bassino
aiuto regia Matteo Magazzù
scene originali Terry Parsons
riprese Marco Pupin
costumi Silvia Morucci
disegno luci Giuseppe Filipponio
direzione tecnica Stefano Orsini.

Teatro Parioli, Roma, fino all’11 dicembre 2022.