Padre nostro che sei borghese di Carolina Germini

Lo spettacolo Affabulation, dopo una prima messa in scena alla Corte dei Miracoli di Siena, arriva a Parigi, al Théâtre de Verre. La Compagnia La Belle Famille, diretta da Stéphane Lambion, ci trascina in un sogno: quello di un padre al quale appare in una stazione ferroviaria un ragazzo, che gli sembra essere suo figlio e suo padre allo stesso tempo, quella che Freud definirebbe una “figura mista”. Ne L’interpretazione dei sogni leggiamo che “l’identificazione” o “la formazione di una persona mista” nel sogno serve a più scopi: alla raffigurazione di un elemento comune o a esprimere una comunanza solo desiderata. Quest’ultimo è il caso del Padre. Egli desidera ritrovare con suo figlio una vicinanza ormai perduta o forse mai esistita. Se i sogni hanno un potere rivelatorio, allora ciò che il Padre comprende attraverso quest’esperienza è che il rapporto con il Figlio è del tutto compromesso. Eppure ciò che egli cerca dal suo risveglio in poi non è di provare a salvarlo quanto, al contrario, di distruggerlo del tutto.
Da una conversazione con il regista Stéphane Lambion e l’attore Francesco Cutillo, che interpreta il Padre, ciò che è emerge è che il nodo centrale di questo testo di Pasolini è da ricercare nel problema della somiglianza. La questione su cui siamo portati a interrogarci è la seguente: i figli devono somigliare al padre o i padri devono accettare di modernizzarsi? È esattamente su questo terreno che il conflitto avviene. La lotta però non è leale poiché nascosta. Il nemico è osservato attraverso una fessura, da cui Padre e Figlio si spiano. Quest’apertura in francese è detta judas proprio per sottolineare che attraverso di essa è possibile guardare senza essere visti e così tradire come Giuda. È quello che il Padre tenta più volte di fare. È il suo modo di esplorare la somiglianza con il Figlio. La fessura della porta è una soglia, che come tale crea una distanza. Essa però viene distrutta quando il Padre comincia a delirare. A quel punto si è oltre ogni limite, oltre ogni possibilità di comprensione.
Per Stéphane Lambion la risata finale del Padre è il segno della perdita del linguaggio, dell’impossibilità di restare entro i limiti sociali. Il Figlio invece li accetta e vuole vivere entro la soglia e così avverte il Padre: «Tu vuoi passare ogni limite ma io non ti seguirò». Il Figlio è estraneo al dramma a cui assiste e non vuole essere coinvolto. Accetta il suo ruolo sociale fino alla fine. Tale coerenza viene resa attraverso un’interessante scelta registica, che comporta una variazione rispetto all’opera di Pasolini. Alla fine della pièce, dopo l’uccisione del Figlio per mano del Padre, lo spettatore assiste a una serie di interrogatori. Non sentiamo le domande della questura, ma soltanto le risposte della Madre e della Fidanzata. Ma ciò che è interessante in questa scelta è che possiamo ascoltare anche la testimonianza del Figlio. Non importa se egli sia morto o meno, se il Padre sia riuscito a condurre fino in fondo la sua lotta, tutto ciò che il Figlio dice a difesa del rapporto che li univa è: «sì gli voglio bene lo stesso». Egli è più intelligente del Padre nel sopportare il conflitto.

 

Per l’attore Francesco Cutillo l’esperienza di essere padre in scena ha somigliato moltissimo alla perdita di una parte del corpo, come se un organo gli venisse strappato. È intorno a una perdita infatti che ruota tutto lo spettacolo e il testo di Pasolini. Ma cosa è andato perduto? La giovinezza, la forza e la potenza dell’inizio? Cos’è che il Padre invidia al Figlio? Forse il modo controllato in cui gli dimostra il suo affetto? Il Figlio non compie gesti eclatanti né rifiuta del tutto la proposta del Padre di lavorare con lui in fabbrica. Egli non è mai assoluto nelle sue scelte. Ma c’è qualcosa che con estrema decisione respinge: la proposta del Padre di ucciderlo. È in questo momento che la faglia della loro apparente somiglianza si svela. È qui che comprendiamo fino in fondo il senso di quel “Io non ti seguirò”.

 

La Belle Famille intraprende con coraggio un’impresa difficile: rendere più fluido il testo estremamente verboso di Pasolini. Il lavoro di drammaturgia che Lambion ha condotto mira a dare all’opera originale una forma teatrale dinamica.

Per far ciò ha eliminato alcuni personaggi secondari come il Commissario, il Prete e quello meta-teatrale dell’ombra di Sofocle integrato con la Negromante. Lo sforzo che ogni lettore e ogni spettatore deve fare nei confronti di questo testo, per comprenderne il senso più profondo, è rinunciare a un’immediata e troppo facile interpretazione edipica. La figura di Edipo, nell’intreccio padre-figlio, è certamente presente, ma qui non è facile capire chi sia realmente Edipo, se il Padre o il Figlio. Ciò che Pasolini, forse, vuole suggerirci non è più il dramma del figlio, che desidera uccidere il padre e unirsi alla madre, ma l’impossibilità del padre di esprimere il suo amore. È il dramma borghese della prigione dei ruoli sociali. Il padre che vuole essere riconosciuto come tale e il figlio che vuole essere soltanto figlio.

A sinistra l’attore Francesco Cutillo e a destra il regista Stéphane Lambion durante l’incontro con Carolina Germini al Café de la Mairie di Parigi

Affabulation

liberamente adattato da Affabulazione di Pier Paolo Pasolini

con Francesco Cutillo, Tommaso Lombardi, Valeria De Siero, Sara Bensi

regia Stéphane Lambion

scenografia Egidio Cutillo e Stefania Schirò

creazione audio e luci Titiane Barthel

creazione video Francesco Chiantese

aiuto tecnico e regia Simona Dominici.

Théâtre de Verre, Parigi, 6 maggio 2019.