Narciso è melanconico di Alessandra Sannella

Qualche anno fa domandai al mio maestro Franco Ferrarotti, emerito Professore di Sociologia, come si potesse svolgere al meglio una lezione universitaria. Mi disse di pensarci come a degli attori sulla scena, immaginando che la docenza è simile a un’opera teatrale, e che «citare è un po’ come recitare». Dovevamo cioè porci nell’atto di trasferire la conoscenza, con lo stesso approccio con cui l’attore trasferisce le emozioni al suo pubblico, sfiorare delicatamente con lo sguardo e calcare la scena in punta di piedi perché l’oggetto del nostro lavoro non è (solo) l’individuo/attore sociale, quanto il pubblico, la società stessa che doveva rimanere l’unica protagonista. Questa analogia ricalca, oggi come ieri, l’importanza dell’atto della scena, della funzione che ha la restituzione del vissuto dell’opera al pubblico attraverso la rappresentazione del proprio ruolo, la trasformazione del prezioso silenzio, attraverso la voce vitale, e rituale, del teatro.
In sociologia il ruolo rappresenta un affascinante concetto della teoria classica. Con esso si identifica la possibilità, attraverso l’attore sociale, di dare forma alla dimensione collettiva dell’agire sociale, il pensare e il sentire del gruppo, le aspettative attribuite da esso all’individuo (Rocher, 1968). La struttura dell’azione si caratterizza per l’importanza del ruolo sociale, composto da norme, a cui l’attore è sottoposto. Ciò consente così di acquisire una posizione, una funzione particolare nel gruppo o nella collettività. L’attore porta un suo contributo specifico e particolare del ruolo che gli è attribuito, divenendo un elemento strategico per la realizzazione della scena. Certo è che non bisogna confondere il ruolo con i comportamenti (Gestalt). Ogni attore sociale, o teatrale, ricopre diversi personaggi, nella molteplicità dei ruoli che svolge, e che deve replicare, facendo attenzione a ciascuna posizione adottata, affinché possa recitare il proprio rotulus.
Di contro, la stravaganza e l’estro che il pubblico può attribuire a un attore sono, invero, meno riconducibili alla norma sociale e necessitano di innovazione del ruolo, di nuova linfa teatrale. Come ricorda Duchamp, lo spettatore è solo apparentemente «ricettivo ed umile», l’azione spettatoriale è una «reazione» di risposta all’attrazione esercitata dell’opera. Un sentimento «estatico» lo chiamerà l’artista francese, un’emozione intraducibile capace di suscitare l’ascolto del pubblico. Ed è qui che risale la melanconia del ruolo a cui siamo sottratti da mesi, le luci spente sulla scena, il mancato plauso della sala, la critica, il silenzio assordante che scandisce i nostri giorni. Le strutture di significati a cui attribuiamo senso rispetto al nostro agire quotidiano, hanno perso la direzione. Il narcisismo, mortificato da un ignobile e invisibile nemico, annaspa tra gli sfibrati ricordi, alla ricerca del virus: il colpevole. L’ironia della sorte ha voluto che questo vuoto semantico abbia creato un tempo “covid-zato”, dove il teatro-sociale ha ruoli capovolti: assistiamo inermi a un’inversione involontaria degli spazi della scena. Per dirla con Goffman, e come sottolineato da Paola Parmiggiani, la ribalta, che assurge alla funzione di poter rappresentare il ruolo è stata bulimicamente fagocitata dal retroscena, luogo noto, invece, per far rilassare l’attore. Questo “spostamento” di assi interpretativi, dove è presente molta retroscena e poca ribalta, sono il frutto amaro della pandemia. Seppure meritori gli sforzi compiuti da molti teatri nel mondo e in Italia, nella nostra penisola, secondo una ricerca condotta da Andrea Rurale della  “Arts and Culture Knowledge Centre” della SDA Bocconi, il 76,5% dei teatri in Italia ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali e il 73,5% ha risolto, o pensa di risolvere, inevitabilmente, i contratti per quelle che possiamo definire le “ricadute da covid”.

Viola Graziosi in “Elena Tradita”. Foto di Enzo Lacopo

Le cause economiche hanno così obnubilato il prezioso ruolo del teatro nella formazione di una società. «Il teatro è luogo fantastico, un luogo d’incontro, in cui si può guarire» come ricorda Graziano Piazza, commentando la rappresentazione di Elena Tradita da Euripide (adattamento Luca Cedrola con Viola Graziosi e Graziano Piazza, regia di Graziano Piazza) al Teatro Antico di Segesta (opera messa in scena il 16, 17 e 19 agosto 2020).
Il teatro, un posto speciale dove guarire, non può essere sostituito da un applauso sintetico o da vacui spazi interpretativi: c’è bisogno di riconsegnare alla società strumenti costruttivi di sana e robusta teatralità.

Graziano Piazza in “Elena Tradita”. Foto di Enzo Lacopo

Bibliografia:

Franco Ferrarotti, Trattato di Sociologia, UTET, Torino, 1969.

Guy Rocher, L’action sociale, HMH, Ltée, Paris, 1968.

Marco Senaldi, Duchamp. La scienza dell’arte, Meltemi, Milano, 2019.

Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, tra.it di Margherita Ciacci, collana Biblioteca, Il Mulino, Bologna, 1969.

Paola Parmiggiani, Consumo e identità nella società contemporanea, FrancoAngeli, Milano, 1999.

https://www.sdabocconi.it/it/news/20/6/fase2-della-cultura-perche-la-ripresa-dei-teatri-sara-piu-lenta-di-quella-dei-musei

https://www.alqamah.it/2020/08/20/elena-di-euripide-al-teatro-antico-di-segesta-tra-contraddizioni-e-mito/