“Io e il Secco”: quando il cinema prende per mano di Anna Maria Sorbo

Esce in sala, distribuito da Europictures, Io e il Secco, opera prima del giovane Gianluca Santoni, già autore di alcuni pluriapprezzati cortometraggi. Il film, scritto insieme con Michela Straniero (e Miglior Soggetto e Menzione Speciale per la sceneggiatura al Premio Solinas 2017), arriva al grande Spettatore/botteghino dopo aver raccolto consensi di critica e addetti ai lavori e in passaggi in festival (per completezza: Menzione speciale The Hollywood Reporter Roma – Uno sguardo sul Futuro per la regia ad Alice nella Città- 2023; Miglior Sceneggiatura e Audience Casa della Salute Award al recente Riviera International Film Festival; Bellaria Film Festival 2024). E, diciamolo subito, anche se corriamo il rischio di ripetere cose già scritte, e lette: merita che se ne parli e soprattutto di essere visto.

Ambientato in una provincia emiliano-romagnola che non ha nulla dell’estate festaiola in spiaggia, Io e il Secco è la storia di Denni (Denni con la i, come ci tiene a precisare), 10 anni e un desiderio bruciante nel cuore: uccidere suo padre. Non metaforicamente, come vuole la psicanalisi, ma proprio per davvero, stanco e arrabbiato di vedere sua madre subire in silenzio le botte del marito e portarne i lividi con dignitosa rassegnazione. Da solo non può farcela, lo sa anche lui, e allora decide di “assoldare” un killer, anzi un super-killer, contando su quel mucchio di banconote che chissà da dove vengono ma che ha visto nascondere al genitore al riparo di sguardi indiscreti. La scelta del giustiziere cade sul cugino dell’amichetta Eva, soprannominato il Secco, il quale però e malgrado si atteggi a duro tutto è fuorché un delinquente incallito e men che meno un freddo sicario. Ma Secco ha un disperato bisogno di soldi e finge di accettare l’incarico ricevuto da Denni, confidando nell’occasione di poter mettere le mani sull’inaspettata fortuna.
Tra i due, come nel più tipico dei buddy movies, scatta un legame alchemico, di inedite risonanze. Denni e Secco sono diversi per generazione, provenienza e carattere, e tuttavia si intuiscono simili a un livello profondo: entrambi vittime di un modello maschile insano, entrambi alla ricerca per il sé uomo futuro – Denni in ragione dell’età di formazione, Secco per via di una paternità non cercata – di nuovi paradigmi relazionali e affettivi. Paradigmi che, se il futuro è pieno di incognite, nel presente, man mano che va avanti la vicenda, mostrano di saper già esprimere e farsene carico nel loro reciproco avvicinarsi, compensarsi, lasciarsi andare, soccorrersi, fino al climax e allo scioglimento conclusivo.

La regia di Santoni è di segno sicuro e personale, pur senza strafare e senza mai sovrastare uno script saldo e con diversi punti di forza, capace di affrontare tematiche importanti e stra-attuali fuori da ogni convenzionalità e ridondanza, bilanciando nel racconto dramma e commedia come nella migliore tradizione nostrana. L’ampio pattern tonale trova perfetta sponda negli interpreti (in primis Andrea Lattanzi che “è” Secco e l’esordiente Francesco Lombardo-Denni).
Sulle note (diegetiche) di Sere nere di Tiziano Ferro (reinterpretata dai Santi Francesi), canticchiata quando fa più “male, male da morire”, e le musiche (extradiegetiche) di Dade-Davide Pavanello (che firma la sua prima colonna sonora), aderire, empatizzare con l’universo narrativo di Io e il Secco viene naturale, spontaneo. Succede con la stessa leggerezza con cui un bambino crede, e ti fa credere, alle sue fantasie.
Ed è un cinema che ci piace questo che ti prende e ti porta per mano, non in reami spettacolari, al centro di imprese titaniche o tra eroi leggendari, ma in un mondo guardato con occhi infantili. Un cinema che magari pensa “in piccolo”, ma sa emozionare alla grande.