Il flamenco di Galván ci riporta all’origine del Novecento di Katia Ippaso

Foto di Jean Louis Duzert

Ci chiede di fare un viaggio all’origine del gesto artistico, lo spettacolo di Israel Galván che per la prima volta ha voluto presentare insieme El amor brujo di Manuel De Falla (1915) e Le sacre du printemps di Stravinskij (1913), due opere considerate allora “fallimentari” e riabilitate nel tempo fino al rango di capolavori: il dittico è stato presentato in prima assoluta nel Saloncino Paolo Poli del Teatro della Pergola di Firenze. Galván usa il corpo come sua forma primaria d’espressione. È uno dei maggiori danzatori di flamenco di oggi. È coreografo. Ma è soprattutto un artista totale.
Con i suoi compagni d’arte (i pianisti Daria van den Bercken e Gerard Bouwhuis e Barbara Kozelj, mezzosoprano), ha creato uno spettacolo che va contro la febbre di consumo e consenso. Ruvida, primitiva, disorientante, l’opera del coreografo spagnolo fa suonare ogni elemento di scena: legno, corda, tessuto, tacco, pianoforte. Il corpo si disarticola per riarticolarsi con tempi tutti suoi, dentro i confini di un rituale di vestizione e svestizione che passa dal segno femminile (per interpretare El amor brujo, Galván entra in scena come se fosse un altro, anzi un’altra, assumendo l’identità fittizia della danzatrice Eduarda de Los Rejes) al maschile e poi di nuovo al femminile, nella costruzione a vista di un mondo ibrido che abita i sotterranei della psiche.
Israel Galván omaggia due maestri del Novecento, che tra loro erano anche amici. De Falla applaudì Stravinskij alla prima de Le sacre du printemps e per tutta la vita i due compositori si scambiarono partiture.

Foto di Jean Louis Duzert

Nutrivano anche una passione comune che esulava dalla musica: i quadri di Picasso, che si scambiavano commentandoli. Un dettaglio non indifferente che in parte spiega quella oscura sensazione avvertita durante lo spettacolo. Il volto stesso dì Israel Galván sembra un ritratto di Picasso. L’intera performance muove nello spettatore una reazione simile a quella provocata dalla visione di qualsiasi opera del grande pittore spagnolo che, più di altri, ha saputo ritagliare la ferita su corpo, raccogliere e rimettere insieme – senza conciliazione – i pezzi dei corpi smembrati dalla guerra, la paura e la minaccia della morte, la visita del fantasma. La traccia picassiana è dunque la terza linea immaginifica su cui si muove l’intera partitura di Galván, ispirata per il resto dalle radici orientali del flamenco presenti nell’opera musicale di Manuel De Falla e dal primitivismo di Stravinskij. «Stravinsky è stato un maestro per me nel flamenco grazie al suo ritmo percussivo e la coreografia di Nijinsky con i colpi a terra hanno sempre ispirato il mio lavoro» spiega Galvàn. «Ho ballato la versione classica de El amor brujo quando ero con Mario Maya, ma ho iniziato a guardarlo veramente quando, Kazuo Ōno, il maestro del Butoh, ha creato una coreografia in omaggio a La Argentina, la bailaora pioniera che portò la danza flamenca dal tablao ai più grandi palcoscenici del mondo».
Osservando il farsi e il disfarsi della scena, che trova nel flamenco destrutturato e potentissimo di Galván uno dei punti focali d’attrazione (altrettanto forti sono i richiami del pianoforte e del canto), viviamo un’esperienza sincretica e distopica. Improvvisamente siamo ai primi del Novecento, nel mezzo di quella temperie artistica di cui ancora siamo figli. Ed è con gli occhi di Stravinskij, di Picasso e di Manuel De Falla, ma anche di tanti altri geni della pittura, della musica, della danza e del teatro che ci sembra di guardare il mondo. Seduti sull’orlo di un nuovo abisso.

Foto di Filippo Manzini

Che cosa sono state le avanguardie storiche, in fondo, se non un furioso corpo a corpo con la materia, una messa in forma disperata e indefessa del pericolo, un desiderio inarrestabile di scolpire gli elementi per lasciare una testimonianza, una traccia tangibile dell’azione del male e dell’ispirazione al bene?
Israel Galván è un ballerino di flamenco che scolpisce l’aria con forti decisi e ispirati, usando piedi, braccia, gambe, torso, occhi, bocca, in una tensione continua che mira a non concludere mai. Sembra un divo del cinema muto. Ma, a differenza di Buster Keaton che pareva fatto d’aria, Israel è fatto di terra e alla terra si radica, con i suoi riti ancestrali. Come un novello surrealista, Galván sembra agire sotto dettatura automatica dell’inconscio. La musica contagia in diretta la coreografia, il gesto tellurico del corpo entra con prepotenza nella partitura musicale. Dopo aver scolpito con pose plastiche El amor brujo, l’artista spagnolo avanza nello spazio sacro della primavera di Stravinskij come se stesse esplorando tutte le possibilità della mente e del corpo.  Ciclicamente, cerca lo sguardo dello spettatore, per sondare la temperatura emotiva, il livello di attenzione e la capacità di presenza. «Credo che la danza in alcuni casi si trasformi in virtuosismo, ma per me la danza è soprattutto coscienza di essere. In ogni istante. In un teatro o in qualsiasi altro luogo» spiega Israel Galván. «La questione non è danzare il flamenco oppure no. Io mi muovo e nel muovermi c’è già l’essenza dell’arte».

Foto di Filippo Manzini

El amor brujo + Le sacre du printemps

El amor brujo di Manuel De Falla (1915)
Le sacre du printemps di Igor Stravinskij (1913)
coreografia e danza Israel Galván
con Eduarda de los Reyes (El amor brujo), Israel Galvan (Le sacre du printemps)
pianoforte Daria van den Bercken e Gerard Bouwhuis
mezzosoprano Barbara Kozelj
costumi Micol Notarianni
direzione tecnica e suono Pedro León
luci Ruben Camacho
direzione di scena Balbi Parra
management Rosario Gallardo
distribuzione Rial&Eshelman
produzione IGalván Company
coproduzione (El amor brujo) Teatros del Canal, Festival de Jerez, Dansa Quinzena Metropolitana, Maison de la musique de Nanterre, Scène conventionée, MA scène nationale – Pays de Montbéliard e Teatro della Pergola / Fondazione Teatro della Toscana con la collaborazione di Ajuntament de La Rinconada, Scène conventionée pour les arts de la marionnette, Oloron-Sainte-Marie (Le sacre du printemps) Théâtre de la Ville – Paris, Sadler’s Wells – London, Mû-Lausanne, Théâtre de Nîmes, Scène conventionnée d’intérêt national, Teatro della Pergola / Fondazione Teatro della Toscana – Florence, MA scène nationale – Pays de Montbéliard, Théâtre de Vidy-Lausanne
con il supporto di INAEM-Instituto Nacional de las Artes Escénicas y de la Música, La Loterie Romande, Pro Helvetia, Fondation suisse pour le culture du Canton de Vaud, Fondation Leenaards, Flamenco Biënnale Nederland.

Teatro della Pergola, Saloncino Paolo Poli, Firenze, prima nazionale 12 novembre 2022.