Epidemia di una trasformazione: Rhinocéros della Compagnie Caravane di Carolina Germini

Mentre si è seduti nel piccolo Teatro Essaïon e si assiste allo spettacolo Rhinocéros è impossibile non pensare che sempre a Parigi, nel 1960, Ionesco mise in scena per la prima volta questa pièce.
Come lo stesso regista rumeno racconta in un’intervista, Rhinocéros ebbe subito un grande successo.
Il pubblicò lo apprezzò moltissimo mentre la critica si dimostrò contraria perché i critici, così come gli intellettuali, si sentirono chiamati in causa, pensando che i rinoceronti in realtà fossero loro.
È un esperimento interessante quello che la Compagnie Caravane ci propone con questa regia: assegnare ad un unico attore il compito di interpretare i numerosi personaggi che compaiono sulla scena. Stéphane Daurat si dimostra magnificamente all’altezza di una tale impresa. È capace di imitare con una straordinaria mimica ogni tipo di voce e di atteggiamento umano e di ricreare da solo il disordine e il delirio della folla.
È un incontro perfetto quello tra la sua recitazione e la regia di Catherine Hauseux. Sono loro gli ideatori della Compagnie Caravane, che co-dirigono dal 2007. L’idea che portano avanti è quella di creare un teatro allo stesso tempo accessibile ed esigente, uno spazio di libertà tra élitisme e divertimento puro, che propone allo spettatore di prendere il suo posto nella sala, nella società, nel mondo.


Il rinoceronte di Ionesco racconta il misterioso avvenimento della trasformazione di tutta la società in una forma animale, quella appunto del rinoceronte. Questo fenomeno ha la rapidità di diffusione di un’epidemia. Il passaggio del primo rinoceronte in strada scatena un grande dibattito tra coloro che l’hanno avvistato. C’è chi sostiene che abbia un solo corno, chi invece è convinto che ne abbia due. Ma l’intervallo tra questo primo avvistamento e la trasformazione di tutti gli uomini in animali è brevissimo.
Comprendiamo la scelta di Ionesco di accentuare la rapidità di questa “rinocentite” se leggiamo la prefazione che egli scrisse all’edizione scolastica americana in francese di quest’opera. Qui Ionesco racconta di quando, nel 1938, lo scrittore Denis de Rougemont, si trovò a Norimberga nel mezzo di una manifestazione nazista. La folla si accalcava in attesa di Hitler. Quando il Führer arrivò tutti furono travolti da una specie di isterismo, che si espanse come una marea. All’inizio lo scrittore rimase sbalordito di fronte a tale delirio, però poi si accorse che anche lui era elettrizzato. Ma fu a quel punto che qualcosa di profondo salì dal suo essere, opponendosi alla tempesta collettiva.
Ionesco mette in luce come non fu il pensiero a far resistere Denis de Rougemont ma fu tutta la sua personalità ad opporsi. In questo rifiuto troviamo il punto di partenza de Il rinoceronte. Il fatto che il protagonista Bérenger in un primo momento non sia in grado di spiegare perché resista a questa “rinocentite” rivela, secondo Ionesco, quanto la sua resistenza sia autentica e profonda. Il rinoceronte è certamente un’opera antinazista ma è soprattutto un’opera contro gli isterismi collettivi, che si celano dietro le ideologie.

Originale la scelta registica di rappresentare i rinoceronti con degli origami, che lo stesso interprete realizza.
Quando compare sulla scena è intento a piegare la carta, realizzando il primo animale e alla fine dello spettacolo la sua valigia sarà piena di rinoceronti. Che senso ha che sia Bérenger a produrre questi animali, pur essendo lui l’unico a voler evitare questa epidemia? Forse perché la ripetizione con cui li realizza ricorda la rapidità con cui gli uomini si trasformano? È un meccanismo incontrollato, quello descritto da Ionesco, che viene reso molto bene dal gesto dell’attore di piegare la carta. La “rinocentite” colpisce sempre e chiunque non sia in grado di pensare.
Assistere a questo “divenir animale” dell’uomo, per usare un’espressione cara al filosofo Gilles Deleuze, ci spinge a domandarci che cosa abbiano in comune La metamorfosi di Kafka e Il rinoceronte di Ionesco.
Senza dubbio la trasformazione dell’uomo in animale e la reazione sconvolta di chi si trova ad osservarla.
Le due opere però differiscono per molti aspetti, tra cui la diversa cronologia degli eventi. Ne La metamorfosi sappiamo da subito che è Gregor Samsa ad essersi trasformato in uno scarafaggio. Kafka non crea alcun mistero su questo. Al contrario, nell’opera di Ionesco vediamo comparire prima l’animale e, solo più tardi, scopriamo che si tratta di un uomo trasformato. Potremmo dire che i due testi descrivono un movimento dentro-fuori opposto. Ne La metamorfosi infatti è Gregor Samsa ad accorgersi della trasformazione del suo corpo e solo dopo interviene lo sguardo dell’altro, a confermare questo avvenimento. In Ionesco invece lo sguardo esterno precede la reazione del soggetto trasformato. Quando infatti Bérenger va a trovare Jean, che è malato, si accorge che anche lui sta assumendo l’aspetto di un rinoceronte e spetterà a lui annunciarglielo. Inoltre ne La metamorfosi questo mutamento è involontario, mentre in Ionesco sono gli uomini a decidere di conformarsi. Per Kafka la trasformazione in animale ha quindi un significato psiconalitico, legato al disagio di sentirsi inadeguati nell’abitare un corpo, che si sente estraneo. In Ionesco la trasformazione dell’uomo in animale ha un valore politico. Si diventa rinoceronti esattamente come si indossa un’uniforme.

Rhinocéros

di Eugène Ionesco
regia di Catherine Hauseux
con Stéphane Daurat
scenografia Jean-Luc Chanonat et Catherine Hauseux
creazioni luci e video Jean-Luc Chanonat
grafica François Kenesi
contributi fotografici Chantal Palazon e Arnaud Perrel.

Théâtre Essaïon, Parigi, fino al 30 marzo 2020.