Di madre in “MADRE”, nel pozzo di Ermanna di Chiara Crupi

Foto di Enrico Fedrigoli

Marco Martinelli, autore del poemetto scenico MADRE, è “cerimoniere” di sala: saluta, sorride agli spettatori, abbraccia gli amici, li accompagna a sedere, scomparendo poi in una poltrona nel fondo. Prima che inizi lo spettacolo entrano in scena, nell’ordine, Daniele Roccato e il suo contrabbasso, il disegnatore Stefano Ricci, Ermanna Montanari. Si sistemano nello spazio, prendendo posizione come musicisti prima dell’esecuzione. Saranno insieme per un’ora, lavorando «di concerto» dice la Montanari in un’intervista (1). Gesti musicali grafici e vocali, combinati e intrecciati in racconto. Una partitura d’insieme per contrabbasso, gesso e voce.
Ma “voce” nel caso della Montanari è un termine quasi fuorviante: sono “voci” le sue. Emergono da lontano, affiorando o tuffandosi nella stupefacente e misteriosa tavolozza di sonorità di cui è portatrice e artefice. E non sono voci venute per “dire” soltanto, ma per evocare, per toccare le nostre corde ancestrali.
Il dramma si dipana e si rivela dal buio e dall’indistinto vocale, grafico e sonoro. Dal suono non districato emerge un testo ruvido e poetico che si fa largo fra italiano e dialetto romagnolo. Il poema di Martinelli distingue una coppia di opposti, due identità in monologo: un contadino e sua madre. La scena è evocata nella campagna ravennate, dove la madre è caduta in un pozzo. Questa è l’unica azione del dramma ma in realtà lo precede: non la vediamo cadere. Siamo nella scena del “dopo”. Madre e un figlio contadini si parlano dai due estremi del pozzo: che fare? Non è un dialogo, le loro due voci non si incrociano ma si susseguono. Quella che segue non è azione, è attesa, uno spazio fitto di pensieri, silenzi, rimbrotti, propositi, sommovimenti del sentire.
Si declina di fronte a noi una scena in forte penombra, fatta di luoghi circolari, che delimitano gli spazi degli artisti, i quali agiscono da posizioni limitrofe e separate, ma insieme. Ci sono specchi e “pozzi”. Non appaiono subito in chiaro i protagonisti della storia, li intuiamo, li ricostruiamo dagli indizi. La ragione entra in contatto lentamente con ciò a cui assistiamo. C’è da aspettare, bisogna stare in ascolto, per capire. Il gesto viene prima del segno, il suono isolato prima della melodia, la materia vocale prima della parola. All’inizio suoni, onomatopee ed invocazioni linguistiche, in cui distinguiamo un affanno, una corsa, forse del figlio al pozzo. «(…) Ho lavorato sul ritmo delle glossolalie» (2), dice Ermanna: quei giochi di sillabe e suoni, propri ai bambini e ai folli, che in una festa di significanti sanno coniare vocaboli inventati, dal senso smarrito oppure occulto. Da questo informe sonoro si delinea un nitido snocciolare di parole. Poi si staglia il primo carattere vocale a cui Ermanna offre verbo: il figlio, che sgrida la vecchia madre, incauta, e la incolpa della sciagura. Perché non è rimasta a casa a guardare la televisione… lo sentiamo e lo vediamo, dalla bocca del pozzo, interrogarsi, dubitare, fare progetti velleitari per salvarla, pensare di chiamare i vicini in aiuto, oppure munirsi di strumenti e argani, di tecnologia… e intanto ha presagi di temporale. Quando ascolteremo la madre rispondere lui sarà lontano. La sua distanza è potente. Ci si domanda, insieme alla madre, se in quel pozzo ci sia caduta davvero per caso oppure se l’abbia spinta lui. In fondo nascere è proprio separarsi.

Foto di Enrico Fedrigoli

Anche le opere grafiche di Ricci, cui assistiamo nel loro farsi, non si offrono subito alla comprensione. Sono disegnate in negativo, bianco su nero. Leggiamo prima il gesto grafico poi il segno, poi, nella relazione fra segni, l’immagine. Mentre disegna, il gesto strumentale e quello vocale si insediano nel buio della sala e della scena. Il suo braccio sembra scavare con il gesso nel pannello scuro posto a terra di fronte a lui. In un gioco di rimandi circolari, lo stesso cerchio è proiettato in verticale sopra la sua testa e “traduce” per il pubblico il racconto grafico, mentre lo realizza.
La sua azione è parte della scena ed ha una qualità ritmica, il disegno ha un suo aspetto materiale che viene prima del senso. Sembra scolpire, più che disegnare. In un continuo dialogo fra la circolarità e l’informe il gesto grafico ferisce il buio con il bianco e tracce grafiche isolate che prima si mostrano, poi cominciano a intersecarsi tra loro. Si stabilisce un senso, un nesso. In questo emergere continuo dal buio, la scena non si dispiega ma si genera.
La ricerca vocale di Ermanna è un magma che evoca infinite dissimilitudini e incomunicabilità del ribollire di un’ancestrale e contadina tensione madre-figlio, di quelle relazioni piene di caparbietà e non detti, di un amore aspro. La madre è in qualche modo anche tiranna, potente nel suo essere vittima. Ogni traccia vocale evoca domande. Allo spettatore si apre un percorso di percezioni e logiche che deve districare da solo.
Il figlio è stolto, a tratti consapevole, quasi sollevato, a tratti preoccupato, per il pericolo o di disturbare i vicini o della pioggia che sta per venire giù, a tratti vaneggiante soluzioni. Un carnefice in qualche modo sempre vittima.
Ermanna-madre-tradita ci porta con lei nel pozzo. Attraverso una strana tranquillità che la sorregge, lo slittamento da madre contadina a Madre Terra avviene dolcemente. Madre non ha paura. Accoglie persino una “bisciolina” con lei… dentro di lei, nel suo corpo e non appare preoccupata. Lo scarto è chiaro. Dobbiamo solo essere pronti ad accoglierne il prodigio. È potente da quella posizione di svantaggio, e dice che no, non è stata distrazione e sfida: «Ma vieni tu a prendermi…», chiedendo al figlio di avere coraggio, di aiutarla a mani nude. Capiamo che nessuno tornerà, che l’abisso è colmo.

Il foglio di sala è un’opera in sé: è scritto a mano, calligrafia ruvida che non si lascia leggere se non con attenzione. Raccoglie pensieri di Montanari, Ricci e Roccato. Il titolo nel foglio facilita la lettura di un anagramma e dunque madre diventa, ed è contemporaneamente, dream. È lì che la Montanari ci rivela che la favola-sogno del poemetto MADRE affonda in un sogno-ricordo dell’infanzia. Nora, la nonna contadina, la nonna strega, la nonna del «rosario in latino o in una lingua inventata», che la prendeva in braccio e la teneva sospesa sopra il pozzo, la nonna che il pozzo lo amava. Ermanna, con la mediazione di Martinelli, presta i suoi ricordi al figlio in scena, che si ricorda sospeso sopra il pozzo.
«Cosa cercava la nonna nei pozzi? Forse quello che io cerco con la voce, nella voce, quello che Daniele cerca con la musica, dentro la musica, quello che Stefano insegue nel disegnare» (3).
Ritroviamo Nora e il pozzo in un racconto autobiografico di Ermanna, L’abbaglio del tempo, nato nello stesso anno dello spettacolo (4), che accoglie memorie della sua infanzia contadina a Campiano, la piccola frazione di Ravenna in cui è nata e cresciuta. E qui leggiamo altre risposte: «Cosa cercava la nonna nei pozzi? Aveva fede nelle forze prodigiose degli elementi, e mettendosi di traverso, attivava l’organo del mistero, la sua intuizione. Da lei ho imparato a raccogliere le erbe, a distinguerne le proprietà medicinali, a cuocerle, a seccarle. Voleva fare del suo corpo il corpo della terra, la bacchetta magica dei richiami della natura» (5).
La parabola è semplice. Ci siamo scivolati dentro nel buio, leggendola dal rovescio. Quando Il contrabbasso tace ci sembra che la sua nota profonda, nel viaggio, non ci abbia mai lasciati soli. La nebbia della pianura romagnola si dissolve e si accendono le luci di sala. Ne siamo fuori. Come il figlio, non siamo più con lei. Le voci della Montanari però hanno eco profonda e restano «Ma vieni tu…». Ermanna e gli altri salutano, ringraziano. E noi sappiamo. Ci sarebbe qualcosa da fare, da salvare. Lei è rimasta nel pozzo. Ci resta la sua imperativa pacatezza, la sua ferma dignità, l’invito.

Note
1 ) Ermanna Montanari, intervista, La voce e le sue potenzialità, a cura di Anna Cavallo, in “Teatropertutti”, 10 dicembre 2021.
2) Ermanna Montanari, ibidem.
3) MADRE, foglio di sala.
4)  Lo spettacolo ha debuttato nell’ottobre 2020 al festival Primavera dei Teatri di Castrovillari. 
5) Ermanna Montanari, L’abbaglio del tempo, La nave di Teseo, Milano 2021, Kindle Edition, pp. 77-78.

MADRE

di e con Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato
poemetto scenico di Marco Martinelli
regia del suono Marco Olivieri
tecnico luci Luca Pagliano
direzione tecnica Enrico Isola, Fagio
realizzazione elementi di scena della squadra tecnica del Teatro delle Albe (Alessandro Pippo Bonoli, Fabio Ceroni, Fagio, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Dennis Masotti, Luca Pagliano)
produzione e promozione Silvia Pagliano
organizzazione Francesca Venturi e Veronica Gennari
relazioni con la stampa e consulenza Rosalba Ruggeri
produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro in collaborazione con Primavera dei Teatri. 

Auditorium Parco della Musica, Teatro Studio Borgna, Roma, dal 13 al 14 aprile 2023.