dEVERSIVO: Eleonora Danco in scena col suo intenso monologo di Giorgio Taffon

Foto di Futura Tittaferrante

A botta fredda scrivo di Eleonora Danco e del suo dEVERSIVO, visto al Teatro India – Teatro di Roma, nella sua ultima replica delle quattro in programma. Devo ricordare che è, questa presente, la terza stagione in cui a Roma la Danco offre il suo spettacolo ad un pubblico che ormai la segue, molto fidelizzato. Mi sembra di poter dire che la performer romana (che è regista, autrice, scrittrice, giornalista) sia nella memoria del pubblico soprattutto per il film N-CAPACE, girato nel 2014 e presentato con ottimi riscontri al Torino Film Festival. Dal punto di vista editoriale spicca la raccolta di testi teatrali Ero purissima, pubblicata nel 2009 da Minimum Fax. Inoltre non mi risulta che la Danco abbia riscosso molta attenzione da parte dei critici teatrali che scrivono sui quotidiani, o su riviste, sia a stampa che online, anche se oggi come oggi i critici militanti hanno, erroneamente, sempre meno sèguito, in tempi di negazione delle intermediazioni culturali.
Allora, a proposito di dEVERSIVO, che mi auguro annoveri ancora molte repliche in giro per questo nostro Paese arrancante, butto giù alcune riflessioni quasi da semplice spettatore, consapevole però di cosa bolle in pentola nella scena italiana odierna; e tenendo presente il grande afflato che, nella replica a cui ho partecipato, il folto pubblico ha dimostrato.
Innanzi tutto mi è parso che nella performance della Danco la barriera tra finzione e realtà della vita sia quasi superata: è come se si vedesse e ascoltasse una persona che ci parla incontrandola per strada; o, se vogliamo, in uno spazio chiuso, dove, però, lei appare e dispare, illuminata solo da tagli dei proiettori, o da luci che piovono dall’alto, dai sagomatori. Direbbe l’amico e grande studioso Nando Taviani, che «il teatro non è non arte, non è non vita», per cui ogni elemento della scena, a partire dal corpo dell’attore, fa parte della realtà e del mondo della vita, e contemporaneamente del mondo della finzione e quindi carico di tutti i sovrasensi che gli vogliamo attribuire.
In realtà mi pare che la Danco non si ponga in una dimensione allusiva, piena di non-detti, o di simboli; ispirata a delle creazioni viste a New York di Robert Rauschenberg, ha filtrato fatti, cose, parole incontrate nel suo lavoro di donna di teatro, come fenomenologia dell’esistente. Non per nulla l’artista statunitense ha per lunghi anni e in alcuni periodi, caratterizzato la natura delle sue creazioni, ancor prima della pop-art, facendo convivere e incontrare materiali del colore e della inquadratura (tele, cornici, ecc…), con oggetti del quotidiano, scarti, pezzi, resti della\dalla realtà.
La nostra performer, infatti, tende a un “teatro senza spettacolo”, secondo una linea di ricerca fondamentale del secondo Novecento, quindi quasi senza regole fisse, con estrema libertà: il suo monologo avanza a strappi, a lacerti di discorso, a voci terze, che s’innestano nel suo eloquio, che è anche il correlativo oggettivo dell’espressione del mondo esperienziale ed esistenziale della protagonista. Sfiorando la dimensione del flusso di coscienza, appoggiandosi a registri vari, dall’ironico all’umoristico, dal paradossale al drammatico, la Danco ci trasporta anche nel contesto del vivere sociale identificato nella città dell’Urbe, con tutte le distorsioni, le difficoltà, gli eccessi fuorvianti, di una magmatica e a suo modo, anche per antiche vestigia, affascinante realtà metropolitana. Prendendone anche, però, le distanze, de-vertendo, appunto, secondo titolo. Non c’è dubbio che l’azione scenica scorra via con freschezza, con autenticità, come un racconto zampillante di vita, tête-à-tête fra la protagonista e lo spettatore.

Foto di Futura Tittaferrante

Non c’è nell’azione scenica un forte filo conduttore drammaturgico, d’intreccio: c’è la protagonista che rivela tutte le difficoltà dell’essere attori in un contesto difficilissimo quale è quello romano e, più in generale, italiano; e di conseguenza a quanto ho più sopra scritto tale sottile filo conduttore non indugia nella forma metateatrale e non rischia di annoiare lo spettatore non abituato a conoscere le problematiche dell’Arte. Per di più Eleonora Danco ha interiorizzato (come non ricordare alcuni fondamenti stanislavskijani) un suo proprio tempo-ritmo così ben condotto e organizzato da creare un particolare tropismo fra lei e il pubblico, incantandolo, tenendolo in sospeso, e in attesa, sostenuto anche da efficaci interventi musicali che ben assecondano lo spirito dei vari momenti scenici che si dipanano in circa sessanta minuti serrati e intensi di performance. Forse rischiando di andare fuori strada, la maturazione artistica della Danco mi pare abbia appreso anche dalla lezione di Carmelo Bene: la sua anarchia creativa, la sua libertà, mi pare sia anche libertà dal testo, che a ben pensarci è libertà della Voce, che, sostenuta dal ritmo dell’azione fisica, racconta rapsodicamente ed impressionisticamente l’accadere delle cose e del mondo.

Courtesy of Eleonora Danco

 dEVERSIVO

drammaturgia e regia Eleonora Danco
con Eleonora Danco
musiche Marco Tecce
disegno luci Eleonora Danco
aiuto regia Valentina Vitagliano.

Teatro India, Roma, dal 5 al 10 novembre 2019.