Chille de la balanza a San Salvi: dal 1997, solo “pazzi di libertà” di Renata Savo

Pazzi di libertà – Il teatro dei Chille a 40 anni dalla legge Basaglia è il libro edito da Pacini Editore che ripercorre orme e ombre di un percorso che intreccia temi diversi, primo fra tutti la conversione di uno spazio, di reclusione ed emarginazione, destinato a persone affette da disagi psichici, in “teatro città aperta” per la comunità. Sotto questa luce, il titolo che sembra un ossimoro, proprio per la sua potenza che richiede un grande sforzo immaginativo rappresenta bene, invece, la sintesi di una conquista.
Nel 1997, a San Salvi, ex città-manicomio di oltre trenta ettari alle porte di Firenze, la conquista l’hanno fatta Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza, in arte Chille de la balanza, emigrati da Napoli in Toscana dopo il terremoto dell’Ottanta, e che più di vent’anni fa, quando alle loro spalle annoveravano già una nutrita serie di esperienze teatrali, furono chiamati da Carmelo Pellicanò, ultimo direttore della struttura, a prenderne in gestione il padiglione 16 per farlo diventare, da luogo di repulsione e segregazione, uno spazio di accoglienza e unione.
Nel 2018, a quarant’anni dalla legge Basaglia, che almeno su carta stabilì la chiusura dei manicomi a favore di strutture più idonee all’integrazione sociale, al rispetto e alla cura dei pazienti psichiatrici, viene pubblicato questo Pazzi di libertà. Il volume raccoglie interventi dei critici Giulio Baffi (che ne ha curato la Prefazione), Matteo Brighenti e Antonella D’Arco, dello studioso di antropologia culturale Pietro Clemente, dell’esperto di questioni legate alla chiusura degli OPG (e attualmente, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana)Franco Corleone, dello psichiatra Peppe Dell’Acqua, del professore di pedagogia Carlo Orefice e dei figli dell’ex direttore della struttura Carmelo Pellicanò, per raccontare la lunga avventura teatrale dei Chille de la balanza, quelli della bilancia, così chiamati perché iniziarono a fare teatro «dove agivano venditori di ortaggi e frutta muniti di stadera, bilancia insomma», spiega Pietro Clemente nel suo intervento, che paragona la presenza dei Chille a San Salvi al centro di una costellazione, «una sorta di sole che tiene in luce tanti pianeti».
Gli ultimi contributi, prendendo a modello la gestione dei Chille de la balanza a San Salvi e facendo accenno anche ad altri progetti di riqualificazione e valorizzazione come quello itinerante Case Matte di Teatro Periferico, si focalizzano sullo stato degli interventi strutturali e semantici inerenti agli ospedali psichiatrici che, purtroppo, spesso ben oltre il 1978 (anno in cui fu emanata la “n. 180” nota anche come legge Basaglia), sono stati luoghi di detenzione e di pena, sottolineando l’importanza della memoria del luogo per la compagnia che, oltre alla produzione di spettacoli, si dedica regolarmente a un insieme di iniziative che riguardano proprio temi come il dolore e la memoria in rapporto con l’arte e l’architettura.
Il libro si apre con la Prefazione di Giulio Baffi, che ricorda quasi con affetto fraterno il legame sempre mantenuto dai Chille con Napoli e con la Galleria Toledo, a partire dagli esordi nel 1973 presso il loro “Teatro, comunque di via Port’Alba 30, dietro Piazza Dante, in cui i primi segni di questa malattia chiamata teatro si manifestarono grazie alla contaminazione con la cultura popolare.

 

Training teatrale Claudio Ascoli, San Salvi Città Aperta, Firenze. Foto di Mario Dondero

Con Matteo Brighenti e, a seguire, Antonella D’Arco, si spazia invece in modo approfondito e puntuale tra l’indagine sulle pratiche sceniche (sia attraverso La Trilogia della vitaKamikazeMaceriePaure, frutto della reazione emotiva dei Chille agli attentati dell’11 settembre 2001 sia con le produzioni degli ultimi anni), le radici culturali e l’eredità pedagogica, accompagnata dalle interessanti dichiarazioni degli allievi proseliti e “traditori”, oggi professionisti indipendenti e affermati (Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Francesco Chiantese, Anna Destefanis, Massimiliano Larocca, Salvatore Sofia, Benno Steinegger, Enrica Zampetti), che inframezzano con piacere la scrittura dei critici, giovani storici oltre che testimoni dei vari percorsi artistici.
Sfatiamo un dubbio, quindi, legittimo per chi non avesse mai sentito parlare dei Chille de la balanza. Quello di Claudio Ascoli e di Sissi Abbondanza, diversamente da come riportato all’interno del pur interessante saggio di Antonella D’Arco, che proprio ai Chille de la balanza (con particolare riferimento allo spettacolo Il viaggio. Artaud-Van Gogh. La follia, 1997) ha dedicato la sua tesi di laurea presso l’Università Federico II di Napoli, non potrebbe aderire alla definizione che il critico Andrea Porcheddu dà all’interno del suo Che c’è da guardare? (CUE Press, 2016), di “teatro sociale d’arte”, sebbene resti forte l’attenzione per i temi sociali (e anche quelli civili) all’interno di tutta la produzione. O almeno, non si tratta di teatro sociale d’arte nel senso in cui Porcheddu lo intende all’interno del suo libro, se assumiamo come inderogabile e assoluta la corrispondenza fra “teatro sociale” (e quindi “teatro sociale d’arte” qualora le esperienze fossero artisticamente rilevanti) e un teatro realizzato e incarnato da utenti (attori, ma solo di rado professionisti) portatori di un handicap sociale. Anche se i Chille a proposito dei loro spettacoli preferiscono parlare di “spett-attori”, per la confusione che viene creata ad hoc tra i due ruoli, gli attori che lavorano con loro – si aggiunga ai sopracitati Matteo Pecorini, negli ultimi anni anche drammaturgo – sono tutti normodotati, professionisti (e pure molto preparati).
Tuttavia, i Chille de la balanza e il teatro sociale d’arte sembrano incontrarsi su terreni comuni in senso letterale e metaforico, seminati e coltivati dal fantasma di Antonin Artaud, riformatore teatrale e in generale autore che da sempre aleggia sul teatro e nella vita di Claudio Ascoli. Come nel teatro sociale d’arte la pratica scenica è in grado di apportare benefici a chi possiede le ferite del disagio sociale, con la conseguenza che la relazione tra spettatore e attore si ribalta, e lo sguardo si “differenzia” per accettare la visione di qualcosa su cui prima incombeva il pregiudizio del limite; così anche per la compagnia di San Salvi – come afferma Claudio Ascoli nello scritto di Matteo Brighenti Comunque, Teatro. Il “ritrovamento” dei Chille de la balanza a San Salvi – avviene un «ribaltamento»,  ovvero «portare i matti nella città e la città nel manicomio».
Una volta portata la città nel manicomio occorreva, poi, lavorare su drammaturgie che dilatassero o restringessero tempo e spazio in misura non convenzionale, e azzerassero la distanza tra scena e platea mettendo a dura prova lo spettatore, il quale, in questo modo, attraverso le nuove relazioni istituite, poteva uscire dallo spettacolo cambiato interiormente. E così anche l’attore, presenza sempre in bilico, sull’orlo di un precipizio, ma che mai abbandona o viene abbandonata, vive il cambiamento dentro se stesso, metabolizza quella relazione e ne trae giovamento. Pena l’esclusione dalla Forma. Perché, precisa Ascoli citando Artaud, «quando si torna […] bisogna che sia cambiato tanto lo spettatore quanto l’attore, altrimenti non è teatro».

foto di Massimo Agus

Pazzi di libertà. Il teatro dei Chille a 40 anni dalla legge Basaglia

con i contributi di Matteo Brighenti, Pietro Clemente, Antonella D’Arco, Peppe Dell’Acqua, Carlo Orefice, Concetta Pellicanò, Giannantonio Pellicanò, Rosaria Pellicanò, Pierluigi Pellicanò, Emanuele Pellicanò
prefazione di Giulio Baffi
Foto di copertina, Casa di bambole, di Paolo Lauri.

Pacini Editore, Pisa, 2018, pp. 151, € 16,00.