C’era una volta Sergio Leone: il ricordo dell’inventore degli spaghetti western di Ilaria Capacci

Roma rende omaggio, con una grande mostra all’Ara Pacis, ad uno dei suoi cittadini più famosi nel mondo, Sergio Leone. A novanta anni dalla nascita e a trenta dalla sua scomparsa si è aperta a dicembre scorso C’era una volta Sergio Leone, un’esposizione di oltre mille metri quadrati, curata da Gian Luca Farinelli (direttore Cineteca di Bologna), in collaborazione con Rosaria Gioia e Antonio Bigini.
L’emozionante percorso espositivo inizia con spezzoni di film realizzati da registi del western classico, come John Ford, che furono ispirazione per il nostro cineasta, il quale seppe però rivoluzionare questo genere, trasformandolo in qualcosa di nuovo e personale. La più grande innovazione di Leone è proprio quella di aver reinventato il linguaggio cinematografico sperimentando tutte le possibili inquadrature, dal campo lungo al primissimo piano, riducendo il parlato ai minimi termini e dilatando il tempo. Con all’attivo soli cinque film ambientati nel West, il film-maker romano ha fatto scuola persino negli Stati Uniti, dove è riconosciuto come il padre del genere spaghetti western.
La prima sezione Cittadino del cinema mostra le radici in cui affonda la passione del giovane Sergio per il cinema e che sono tuttora sconosciute a molti. Suo padre, infatti, era un regista del cinema muto di inizio Novecento, con lo pseudonimo di Roberto Roberti, e sua madre l’attrice Bice Waleran. Qui, attraverso foto inedite di Leone da bambino, dei suoi genitori sul set e ricordi della Roma degli anni Trenta e Quaranta, ripercorriamo anche le primissime tappe della sua carriera. Lo vediamo apprendista regista accanto a colleghi del padre, come Alessandro Blasetti e Mario Camerini; non poteva, inoltre, non trovare posto una foto in bianco e nero della scalinata di viale Glorioso, la zona tra Trastevere e Monteverde in cui Leone è cresciuto.
Molteplici sono le fonti di ispirazione delle sue pellicole e non tutte cinematografiche. Nell’area Le fonti dell’immaginario sono messe a confronto quadri di Degas, Goya e De Chirico con alcune scene girate dal cineasta romano. È al suo amore per l’arte figurativa che si devono certe inquadrature e scenografie tipiche dei suoi western. Non da ultimo anche i fumetti – ad esempio Tex Willer, usciti in Italia negli anni della sua formazione – che ebbero una forte influenza su di lui. Vengono anche confrontate clip de La sfida del Samurai di Akira Kurosawa e del suo primo spaghetti western Per un pugno di dollari. Il film di Kurosawa fu modello di riferimento per il nostro regista che vi attinse a piene mani, sia per quanto riguarda la trama sia per le singole inquadrature. Ne nacque una diatriba legale (anch’essa documentata all’Ara Pacis) che purtroppo lo costrinse ad un accordo economico con i nipponici. Sempre in questa parte dell’esposizione non si deve dimenticare l’influenza che hanno avuto i classici del cinema statunitense; del resto la generazione di Leone è la prima ad avere un immaginario cinematografico “americano” e, non a caso, la mostra presenta uno spezzone di Ombre Rosse di John Ford, uno dei primi film a cui assiste Leone bambino e che lascia un marchio indelebile sulla sua arte.

Negli spazi riservati al cosiddetto Laboratorio Leone comprendiamo come nasceva una sua pellicola: dalla scelta degli attori (intense le fotografie dei loro primi piani assolutamente realistici con rughe ed espressioni “luciferine” ben in evidenza) alla identificazione dei luoghi in cui girare. Leone sul set amava curare ogni dettaglio: dalla costruzione delle scenografie alla scelta delle location, dall’attrezzeria al trucco. A proposito di attrezzi, il pubblico apprezzerà sicuramente un reperto ben poco noto: la valigia dei rumori ovvero una collezione di oggetti utilizzati in epoca pre-digitale per riprodurre i suoni. È anche possibile assistere ad un filmato in cui Leone stesso riproduce artigianalmente il galoppo dei cavalli o il frastuono di una tempesta.
Qui, come nel capitolo successivo, dedicato al suo ultimo film C’era una volta in America, spiccano i costumi di scena oltre a disegni e bozzetti. Impossibile non emozionarsi di fronte all’abito grigio con cui Claudia Cardinale scendeva dal treno in C’era una volta il West oppure davanti al poncho di Clint Eastwood in Per un pugno di dollari.
La ricchezza della mostra si deve anche ai numerosi materiali d’archivio messi a disposizione dalla stessa famiglia Leone. Oltre a fotografie del film-maker con moglie e figli da piccoli, è possibile ammirare la scrivania dove Sergio lavorava, e oggi ancora allestita come allora, o parte dei libri della sua biblioteca personale.

Una chicca di C’era una volta Sergio Leone è l’estratto da un documentario su Ennio Morricone concesso in anteprima da Giuseppe Tornatore che lo sta realizzando. Qui il compositore racconta come nacque il sodalizio artistico con il coetaneo Leone. Compagni di scuola alle Elementari (notizia testimoniata dalla foto di classe), i due si erano persi di vista finché la Jolly Film, per la quale Ennio lavorava, non li rimise in contatto. Da quel momento i film del regista si arricchirono di un ulteriore livello narrativo: la musica. Le composizioni di Morricone hanno il potere di esaltare la caratterizzazione dei personaggi. Oltre alle foto di Morricone al lavoro con il suo amico di infanzia, osserviamo il pianoforte Petrof con cui il compositore faceva ascoltare al regista le partiture delle colonne sonore. La musica di Morricone pervade ogni ambiente della mostra, commuovendo non poco il visitatore.
Altre bellissime sensazioni ci attendono nella penultima parte dell’allestimento riservata al capolavoro realizzato da Leone pochi anni prima della sua morte: C’era una volta in America. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla giacca doppiopetto di Robert De Niro o all’elegante abito color cipria indossato da Elizabeth McGovern nella scena della cena al ristorante tra Deborah e Noodles.

Come nei precedenti spazi, anche qui ammiriamo foto di scena, disegni delle scenografie e oggetti dal set tra i quali una preziosa lampada Tiffany.
Nell’ultimo tratto del percorso, ovvero quello dell’Eredità Leone, una galleria di sequenze filmate racconta come a Leone si siano ispirati numerosi film-maker internazionali da Quentin Tarantino a John Carpenter, da John Woo a Steven Spielberg.
In un filmato molto divertente, Carlo Verdone racconta il suo primo incontro con Leone, imitandone pure il tono della voce. Durante un pranzo, il regista decise di produrre i suoi primi film Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone firmando una bozza di contratto su un tovagliolo del ristorante.
Le citazioni più famose dei film del cineasta romano ci accompagnano in audio verso l’uscita mentre ancora qualche lacrima di commozione scorre sul viso. Sergio Leone manca nell’universo cinematografico italiano e la sua assenza, dopo aver goduto di questa mostra, si fa sentire ancora di più.

C’era una volta Sergio Leone

a cura di Gian Luca Farinelli in collaborazione con Rosaria Gioia e Antonio Bigini.
Museo dell’Ara Pacis, Roma, fino al 3 maggio 2020.
Apertura: da lunedì a domenica dalle ore 9.30 alle 19.30.