Aladdin: una fiaba senza tempo per chi non vuole crescere mai di Carlo Alberto Biazzi

Era il lontano 1992 quando mi recai con mio padre al cinema Italia di Cremona per vedere l’ennesimo capolavoro della Disney. Le mie aspettative di bambino erano molto alte, la storia di Aladino usciva successivamente a due grandi film di animazione, vincitori, tra l’altro, di parecchi Oscar: La Sirenetta e La Bella e la Bestia.
Uscii felice, questo me lo ricordo, e per l’ennesima volta la Walt Disney Pictures aveva fatto breccia nel cuore di milioni di persone, per non parlare della spettacolare colonna sonora e delle bellissime canzoni, tra cui Il mondo è mio, riproposta in tantissime versioni nel corso degli anni successivi.
È da qualche anno che la Disney sta riproponendo i live-action dei suoi successi più grandi, anche se devo ammettere che nessuno di essi ha mai scosso positivamente la critica e un pubblico troppo affezionato ai classici. Però, questo Aladdin, qualcosa di potente, devo ammettere, ce l’ha. A mio avviso, il più riuscito in assoluto, una straordinaria carica di colori, talenti e vecchie canzoni rimaste immortali.
La regia di Guy Ritchie risulta efficace, scelte stilistiche azzeccate e qualche fuori trama rischioso, ma in perfetta linea con la storia originale.
Ed è proprio qui che la mia curiosità ha trovato terreno fertile per un giudizio più che positivo. Una sceneggiatura forte, identica all’originale, ma con qualche trovata aggiuntiva che non stona per nulla e che regala al climax un crescendo di emozioni e, soprattutto per chi era bambino nel ’92, una serie di ricordi e nostalgie che non ci abbandoneranno mai.
Gli attori bravissimi. Mena Massoud nel ruolo di Aladdin, sa recitare, cantare e persino ballare… cosa si vorrebbe di più?
Il regista e lo sceneggiatore sono stati bravi a mantenere l’essenza dei personaggi, cambiando, però, diversi dettagli. Un esempio su tutti: Jasmine ha un arco narrativo molto diverso. Il suo personaggio è molto forte e dalle tinte più moderne, rispetto al cartone animato.
Gran parte delle attenzioni, lo si percepisce chiaramente, sono rivolte al Genio interpretato da Will Smith. Il nuovo Genio ci ha convinto molto, nonostante la voce del film originale fosse stata affidata a Robin Williams. Will Smith, grazie anche al lavoro di regista e sceneggiatore, ha sviluppato un personaggio diverso da quello di Williams. Il nuovo Genio, dai fenomenali poteri cosmici, è più umano della sua controparte animata. Nel live-action, è un divo a tutti gli effetti: balla, canta e, nelle scene in cui appare come umano, si imbarazza e commette errori.
Unica nota dolente, a mio avviso – ma parlo attraverso i ricordi più che con logica – è il personaggio di Jafar. Nell’originale animato, il personaggio era disegnato come un uomo sulla sessantina, magro e con un viso molto allungato. Qui lo ritroviamo giovane, aitante e con un fisico forse migliore di quello del Genio della lampada… il che è tutto dire.
Il film, poi, vanta una colonna sonora composta dall’otto volte Premio Oscar Alan Menken (La Bella e la BestiaLa Sirenetta), che comprende nuove versioni dei brani originali scritti da Menken e dai parolieri, vincitori dell’Oscar, Howard Ashman (La Piccola Bottega degli Orrori) e Tim Rice (Il Re Leone), oltre a due brani inediti realizzati dallo stesso autore. Qui non commento nemmeno! La scena del tappeto volante con la meravigliosa canzone Il mondo è mio è da pelle d’oca.
E qui di nuovo a battermi perché non può sempre e solo esistere un cinema impegnato, fatto di storie vere, forti. Il pubblico ha bisogno di sognare, e Aladdin è proprio questo: sogno puro.
La metafora del tappeto volante che ci porta verso mete lontane, alla ricerca della felicità, della spensieratezza, dell’amore vero, è la metafora della nostra vita. O forse, per chi come me non vuole crescere mai, basterà abbandonarsi, lasciandosi trasportare da questa fiaba senza tempo. «Non è quello che si vede ma quello che c’è dentro che conta». Ascoltiamoci. Ne vale la pena.