L’animalità e il disumano in “Bros” di Romeo Castellucci di Carolina Germini

Foto di Luca Del Pia

«Un lato che appare non è niente senza quello che non appare».
(Da Bros) 

Un rumore assordante accoglie subito lo spettatore. Il suono proviene da alcune macchine nere che dominano la scena, ruotando su sé stesse. Macchine disumane e minacciose. Di fronte a quelle presenze, la ragazza seduta accanto a me si spaventa. Me lo confessa un attimo prima che le luci in sala si spengano. Ma forse è solamente così che si può attendere un’opera di Castellucci: consapevoli che quella che sta per sprigionarsi è una forza fuori controllo, pronta a colpire quelle parti di noi che tanto volevamo difendere. Ma non ci si può difendere dal teatro di Castellucci, così come non ci si può difendere dalla vita e dalle bestie che spesso animano la scena dei suoi spettacoli. In Bros vediamo solamente un cane ma non è feroce o almeno non attacca, come invece attaccava quel branco che azzannava lo stesso Castellucci in Inferno. Questo cane nero, invece, è al guinzaglio. È controllato da chi a sua volta obbedisce agli ordini. A noi spettatori, però, l’origine e la provenienza di quel comando sfugge. Possiamo solo osservarne gli effetti, studiare le conseguenze di un potere che ricorda quello descritto da Foucault in Sorvegliare e punire. Riprendendo l’immagine del Panopticon di Bentham, ovvero una torre di controllo da cui un sorvegliante osserva i detenuti senza che questi possano vederlo, Foucault scrive che l’effetto principale di questo sistema carcerario è quello di indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere.

Foto di Luca Del Pia

Tale controllo diventa ancora più paradossale in Bros, dove a essere osservati dall’alto, da una macchina teatrale diretta dallo stesso Castellucci, sono guardie e non detenuti. Se pensiamo poi che quelle guardie sono a loro volta attori e come tali guidati dalla voce di un regista che suggerisce loro attraverso degli auricolari come agire direttamente in scena, ci accorgiamo che ogni tentativo di risalire all’origine di quel potere è tanto complesso quanto impossibile. Per comprendere il senso di questo sistema, torniamo per un momento all’immagine di quel cane nero. Inserendosi anche lui in questa catena infinita di dominanti e dominati, non ci resta che seguirne le tracce. In un saggio intitolato “Dieci tesi sull’arte teatrale di Romeo Castellucci”, pubblicato da Cronopio nel volume La disciplina dell’errore, Felice Cimatti ci aiuta a definire meglio la figura degli animali nel suo teatro, scrivendo: «C’è un puro essere che si muove sul palcoscenico, cioè sul luogo, invece, in cui l’essere è sempre e solo rappresentazione. I cani, al contrario, sono puro essere. La rappresentazione è svanita». Come spiega Cimatti, per Castellucci gli animali sono il dispositivo teatrale che serve proprio a disinnescare lo stesso meccanismo teatrale. Se usa l’animale è – come Castellucci stesso racconta – per comunicare il meno possibile. A questo fine allora diventa ancora più significativa questa presenza in uno spettacolo come Bros in cui la parola è quasi totalmente assente. Il cane nero, più della guardia che lo tiene stretto a sé, è espressione della violenza, immagine cristallina di un potere sfrenato. A chiarire ancora meglio il senso di quella presenza sono le grida di protesta provenienti da una donna in platea. È indignata e urla: «Gli animali non sono oggetti di scena». Non volendo, ha così definito perfettamente il senso di queste figure, mai trattate come oggetti ma come presenze la cui importanza è pari se non superiore a quella degli attori, per quella comunicazione immediata di cui sono capaci, per quel puro essere che incarnano.

Foto di Luca Del Pia

All’immagine del cane nero, che non può che riportarci a quella del nazismo, se ne contrappone un’altra: quella di un un uomo anziano con una veste bianca. È lui ad aprire la scena, tenendo in mano un ramo, esattamente come facevano i sacerdoti incontrati in un altro spettacolo di Castellucci: La Vita Nuova. Ecco come il sacro irrompe nel modo più inaspettato. Difficile non identificare quest’uomo dalla barba lunga e dai capelli bianchi con Socrate, difficile che il suo discorso apparentemente delirante e senza senso, oltre che incomprensibile, non ci ricordi per il tono a tratti ironico a tratti drammatico proprio i discorsi socratici. Lo spettatore è stordito da quel flusso di parole di cui, pur non avendo compreso il contenuto, sembra poter afferrare il messaggio. Che cosa ci vuole comunicare?  La sua è una profezia, l’annuncio di una catastrofe imminente come quella del messaggero nell’Agamennone di Eschilo? All’improvviso però, da protagonista della scena, il sacerdote viene interrotto, il suo corpo adagiato da alcune guardie su una branda, come si fa con i pazzi in pieno delirio per calmarli e bloccarli. Altre guardie nere, nel frattempo, si sono diffuse sul palco con la rapidità di un’epidemia. E se quello a cui stiamo assistendo fosse proprio il processo a Socrate? In che modo l’armonia della classicità, rappresentata dall’anziano e dalla saggezza che incarna, può incontrare la freddezza e la meccanicità di queste figure robotiche? In che modo una fotografia di Beckett può essere sollevata da questi uomini in divisa? Castellucci ci comunica che la convivenza tra questi due mondi è impossibile, che la sopravvivenza di uno porterà inevitabilmente alla fine dell’altro. C’è una frattura che li divide ed è proprio in questa frattura che lo spettatore precipita, così come sente di sprofondare ancora di più negli ingranaggi di quel potere fuori controllo quando le guardie scendono in platea. Da spettatori che osservano, così come il guardiano sulla torre di controllo, improvvisamente veniamo scrutati, diventando l’ennesimo anello di un sistema che si sta configurando davanti ai nostri occhi. Quella figura socratica, accanto a quei corpi neri, illumina la scena. Ai movimenti scattanti e prevedibili delle guardie si contrappongono i suoi gesti lenti, misurati, espressione di una bellezza, di un’armonia e di un equilibrio che appartengono a un tempo lontano, alla spiritualità del Partenone, niente di più lontano dal vuoto, dallo smarrimento della modernità.  Così come ne La Vita Nuova, al rito compiuto dai sacerdoti si contrapponeva la fila infinita di macchine ammassate in un garage, qui alla nuda corporeità di quest’uomo si contrappone la serie infinita di divise, che formano un’unica figura di cui è impossibile definire i confini. Questi esseri non somigliano all’umano ma più a quelle macchine nere incontrate all’inizio.

Foto di Luca Del Pia

Bros

concezione e regia Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
collaborazione alla drammaturgia Piersandra Di Matteo
assistente alla regia Silvano Voltolina
scrittura degli stendardi Claudia Castellucci
con Valer Dellakeza e con gli agenti Luca Nava, Sergio Scarlatella
e con Giovanni Antonini, Filippo Braucci, Sandro Calabrese, Sergio Casini
Davide Cherstich, Nicola Ciaffoni, Marcello Di Giacomo, Stefano Donzelli, Gabriele Ferrara
Francesco Gentile, Damjan Gomisel, Pietro Lancello, Alessandro Mannini
Mauro Mercatali, Michele Petrosino, Lorenzo Picca, Danilo Rubcich
Nicolas Sacrez, Piergiorgio Maria Savarese, Fabio Sinnona, Carlo Suppressa
Andrea Vellotti, Vincenzo Vennarini, Luigi Vilotta e con il piccolo Filippo Fermini
direzione tecnica Eugenio Resta
tecnico di palco Andrei Benchea
tecnico luci Andrea Sanson
tecnico del suono Claudio Tortorici
responsabile costumi Chiara Venturini
sculture di scena e automazioni Plastikart studio
realizzazione costumi Atélier Grazia Bagnaresi
traduzioni dal latino Stefano Bartolini
direttrice di produzione Benedetta Briglia
promozione e distribuzione Gilda Biasini
produzione e tour Giulia Colla
organizzazione Caterina Soranzo
equipe tecnica in sede Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini
amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci
consulenza economica Massimiliano Coli Societas, in co-produzione con: Kunsten Festival des Arts Brussels;
Printemps des Comédiens Montpellier 2021; LAC Lugano Arte Cultura; Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène Européenne; Temporada Alta 2021; Manège-Maubeuge Scène nationale; Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes; MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis; ERT Emilia-Romagna Teatro; Ruhrfestspiele Recklinghausen; Holland Festival Amsterdam; Triennale Milano Teatro; National Taichung Theater, Taiwan.

Teatro Argentina, Roma, dal 9 al 12 marzo 2023.

Tournée:
Teatrul Național, Timișoara, Romania, dal 31 marzo al 1° aprile 2023
Teatro Chiabrera, Savona, dal 19 al 21 aprile 2023
Théâtre Vidy, Losanna, CH, dal 10 al 13 maggio 2023
National Theatre, Budapest, Ungheria, dal 23 al 24 maggio 2023.