Scontro senza incontro tra generazioni di Alessandra Bernocco

Foto di Achille Le Pera

Comincio con un confronto indotto dalla circostanza. Dopo avere assistito a Il figlio di Florian Zeller, andato in scena al Teatro Parioli di Roma subito dopo Agnello di Dio, immagino primo testo teatrale scritto dal Premio Strega Giovani Daniele Mencarelli, è naturale fare alcune considerazioni.
Al centro di entrambi c’è il disagio di un figlio adolescente e il fisiologico conflitto generazionale. Il regista di entrambi gli spettacoli è Piero Maccarinelli, grande lettore oltreché attento e consueto alle nuove forme di drammaturgia contemporanea. E in entrambi gli spettacoli gli attori sanno bene il fatto loro. Tutti.
Viola Graziosi, Fausto Cabra, Alessandro Bandini e Ola Cavagna nel primo; Galatea Ranzi, Cesare Bocci, Giulio Pranno e Marta Gastini nel secondo. Eppure, il risultato, qualitativamente, è molto diverso.
Nel primo sembra quasi di avere assistito a una sfida con l’autore e la sua proposta: da parte del regista, che si è chiaramente dovuto inventare espedienti scenici, soprattutto, per smuovere un testo statico, privo di azione; da parte degli attori, che si sono dovuti sforzare di rendere credibili personaggi improbabili, simili più a figure retoriche che a individui con un movimento psicologico interno, una memoria, un’evoluzione.
Mencarelli non ha creato personaggi dinamici ma allegorie di caratteri inchiodati ai loro difetti e alle loro fissazioni, peraltro anche queste abbastanza improbabili, come lo è la situazione, forse più adatta a una soap opera anche ben fatta che al teatro. Che è, vivaddio, tutt’altra cosa. Tutto questo, rendendo l’operazione difficile sia al regista sia agli attori, nonostante gli sforzi e le buone intenzioni.
Per esempio, non è credibile che oggigiorno – visto che il testo è dichiaratamente ambientato adesso, mi pare addirittura che si parli di guerra e pandemia – una suora direttrice di una scuola si vergogni di essere la figlia del vecchio portiere, che nasconda sotto il velo e dietro lo scranno il suo passato e la sua identità, che rivendichi di avere “scalato a mani nude” non ricordo cosa ma qualcosa che le ha permesso di vincere stenti e pregiudizi per arrivare a conquistarsi quella posizione di potere. Non è credibile che il padre di uno studente a cui sta stretta la scuola cattolico-bacchettona – e a chi non starebbe stretta? – si presenti a un colloquio con la direttrice di prima, la quale, guarda caso, era stata da lui violentata da giovane, vittima di un impunito atto di bullismo.
Insomma, Edipo funziona perché quelli non sono personaggi ma miti e perché è scritto com’è scritto. Fare oggi la tragedia greca, con tutti gli incastri, le combinazioni, riconoscimenti, agnizioni, è molto molto difficile e il rischio soap è dietro l’angolo.
Tutt’altro lavoro è Il figlio, terzo momento di una trilogia dedicata, dopo Il padre (già messo in scena da Maccarinelli con Alessandro Haber e poi divenuto il film premio Oscar con Anthony Hopkins) e La madre. Un testo potentissimo, una gabbia blindata, al punto che è difficile da raccontare perché qui, invece, dietro l’angolo c’è il rischio spoiler.
Quello che si può dire è che il motore è proprio il conflitto: non soltanto di situazioni ma un conflitto interno ai personaggi stessi, tutti scissi e dilacerati da contraddizioni che covano, non compiutamente portate a coscienza.

Foto di Achille Le Pera

Al centro, dicevo, c’è il disagio di un adolescente, studente all’ultimo anno di liceo e quindi a due passi dalla maturità, in quella fase in cui devi sceglierti la vita e magari non hai ancora capito chi sei.  Un disagio diffuso e indefinito, di quelli che a qualunque domanda o offerta di aiuto ti fanno dribblare con risposte elusive tipo “niente”, “non so”, “nessun problema”, “me ne frego di tutto”; un disagio che non ha un nome e che quindi il nome se lo deve inventare, deve trovare fuori di sé la ragione, la colpa, il capro espiatorio, meglio se riconosciuta in un dato di fatto inconfutabile. La separazione dei genitori. Certo un trauma, per carità, ma anche la leva sollevata per rovesciare i demoni fuori da sé e silenziare finalmente gli altri e sé stesso.
Senonché a non tacitarsi è proprio il suo demone, che non lo abbandona. E allora si ricomincia. Cosa c’è che non va? Niente, non so, e avanti così. Intorno a lui, lo spaesamento di chi non possiede i codici giusti per comunicare e comprendere, benché tutti ci provino, tutti a modo loro manifestino affetto: il padre, la madre, la nuova compagna del padre nonché madre del fratellino neonato, disposta ad accoglierlo ma non a fidarsi, sorpresa a far valere le sue sacrosante ragioni. Tutti vivono il loro personale conflitto, tra frustrazioni, sensi di colpa, ambizioni personali trasferite in buona fede su chi viene dopo, tacita consegna da portare a compimento per interposta persona, disagi passati non superati che tornano prepotentemente a farsi sentire, branditi come esasperata arma di ricatto: “io alla tua età avevo la mamma malata” e così via.  Tutti tirano a campare in una quotidiana routine medio borghese che non rassicura nessuno. Perché anche di questa il figlio del titolo è un tassello che sfugge, irrimediabilmente fuori posto, che svicola, si nasconde e nega l’evidenza.  A scuola non ci va e chissà che fa nel mentre. Chissà che pensa, chissà se medita, chissà che medita.

Foto di Achille Le Pera

A questo punto non si può andare oltre. Il testo riserva almeno due grandi sorprese, inganna con sapienza, illude, suggerisce e smentisce. Insomma, interloquisce con lo spettatore con scatti e invenzioni che chiamano dentro altri personaggi e ti tengono in tensione come in un thriller.
Tensione che la regia sa catturare e mantenere viva fino alla fine, ma proprio alla fine, quando pensavi di poterti rilassare, consolata almeno per ipotesi.
Allora ripensi a un attimo prima, all’abbraccio tra il padre e il figlio, impacciato, le mani dietro la schiena come un fantoccio e ti viene un groppo alla gola.
I ruoli sono difficili, impegnativi, e gli attori reggono molto bene il gioco ininterrotto di relazioni fatte di sfasamenti, sovrapposizioni di punti di vista, incroci, ripensamenti, aggiustamenti, litigi e provvisorie riappacificazioni.
Galatea Ranzi è perfetta nel restituire il dissidio interiore di madre tormentata e donna infelice che non si rassegna, con quella carezza accennata e respinta al marito, ormai ex, che sterza sul figlio per non parlare di loro. Cesare Bocci rende benissimo il padre affettuoso ma poco attrezzato che prova a capire, a spiegare, a convincere, a fare quadrare i rapporti, un uomo semplice, tutto sommato, che conosce la lingua ma ignora il linguaggio e quando è così si diventa facile preda dell’ira. Che prima o poi esplode violenta e i due, padre e figlio, vengono persino alle mani.
Giulio Pranno nei panni di questo post-adolescente in conflitto perenne col mondo che trova sfogo nel camminare da solo e incanala l’angoscia ferendosi il braccio, è davvero bravo: bravo nell’accompagnare gli sbalzi di umore sopra la media, nell’indispettire anche lo spettatore per quella abilità manipolativa e velatamente ricattatoria tipica di chi prova ogni volta a farla franca, raccontandola agli altri e anche a sé stesso, magari credendoci.
Accanto a loro, Marta Gastini, brava e giusta nel ruolo di moglie e madre di un neonato da accudire in una situazione allo sbando che le si è catapultata addosso, improvvisa.
Le scene di Carlo De Marino permettono di contenere ambientazioni diverse ma affini, rendendo l’idea di un unico spazio, fisico e psichico, in cui sono avvolti, indistintamente, tutti i personaggi, favoriti nel procedere da un luogo all’altro.
I costumi di Gianluca Sbicca non sono mai approssimativi ma frutto di un pensiero dedicato e coerente.

Il figlio 

di Florian Zeller
con Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Giulio Pranno, Marta Gastini, Riccardo Floris e Manuel Di Martino
traduzione e regia Piero Maccarinelli
scene Carlo De Marino
costumi Gianluca Sbicca
musiche Antonio Di Pofi
luci Javier Delle Monache
assistente alla regia Manuel Di Martino
amministrazione Daniela Angelini
produzione Il Parioli e Teatro della Pergola.

Teatro Il Parioli, Roma, dal 25 gennaio al 5 febbraio 2023.

Tournée:

Teatro Il Rossetti, Trieste, 13 e 14 febbraio 2023
Teatro Comunale, Todi, 17 febbraio 2023
Teatro Marrucino, Chieti, 18 e 19 febbraio 2023
Cineteatro Nuovo Arcore, Arcore (MB), 21 febbraio 2023
Cineteatro San Luigi, Concorezzo (MB), 22 febbraio 2023
Cinema Teatro Cristallo, Cesano Boscone (MI), 23 febbraio 2023
Cine Teatro Italia, Garbagnate Milanese (MI), 24 febbraio 2023
Cinema Teatro- Centro Culturale Chiasso, Chiasso, 25 febbraio 2023
Cinema Teatro Delle Arti, Gallarate (VA), 27 febbraio 2023
Teatro della Pergola, Firenze, 28 febbraio- 5 marzo 2023
Teatro del Popolo, Colle Val d’Elsa (SI), 4 marzo 2023
Teatro Era, Pontedera (PI), 7 e 8 marzo 2023
Teatro J. F. Kennedy, Fasano (BR), 10 marzo 2023
Teatro Monticello, Grottaglie (TA), 11 marzo 2023.