Luci accese sul Kilowatt Festival 2021 Intervista a Luca Ricci di Laura Novelli

Il titolo scelto per l’edizione dell’anno scorso suonava: Viaggio al termine della notte. Quest’anno, Lucia Franchi e Luca Ricci, direttori artistici del Kilowatt Festival di Sansepolcro, hanno optato per un più concreto: Questa fervida pazienza. Ed è proprio l’etimologia del termine “pazienza” (dal verbo greco pathein) che ci riconduce al dolore, alla sofferenza attraversati da tutti noi negli ultimi mesi della pandemia. Al contempo, però, il suo attributo “fervida” si fa qui vettore di resilienza, di fiducia, di forza, in particolare per gli artisti, i tecnici e gli operatori culturali che questa emergenza sanitaria l’hanno “patita” molto anche a livello professionale. Ne abbiamo parlato con Luca Ricci qualche giorno prima dell’avvio della rassegna, giunta alla sua XIX edizione e che  apre venerdì 16 luglio.

Cosa ha significato ripartire in presenza dopo un anno di teatri vuoti, compagnie ferme, cultura addormentata? 

La mia opinione personale, del tutto condivisa con Lucia Franchi, è che organizzare questa edizione sia stato molto più complesso rispetto a quanto fatto per la precedente, che pure si è svolta in piena pandemia. Se l’anno scorso abbiamo ragionato e agito d’istinto (ci siamo detti: «Coraggio, proviamo a farcela!»), quest’anno abbiamo dovuto tenere accesa la fiamma della creazione, mantenere vivo il dialogo con gli artisti, mentre tutto intorno era paura, morte, disoccupazione. In un certo senso, abbiamo dovuto dimenticare lo scatto in avanti osato nel 2020 e adottare, invece, un passo da montagna, andare in profondità, superare lo scoraggiamento generale.

Quali percorsi programmatici avete seguito per comporre l’ampia proposta artistica e culturale di questa edizione 2021 di Kilowatt?

La maggior parte dei lavori in scaletta restituiscono un affondo nel presente, entrano cioè in modo diretto nelle grandi questioni attuali. Non è possibile elencare tutte le produzioni che vanno in questa direzione. Cito, per fare qualche esempio, lo spettacolo Root di Shanna May Breen e Luke Casserly, un work in progress sui temi ambientali che è iniziato ad aprile con la semina di 1000 alberi autoctoni in Irlanda, e l’assolo Neptune dell’olandese Lois Alexander che denuncia le discriminazioni di razza e di genere. Tanti sono poi i titoli che trattano tematiche giovanili, come Le grand sommeil di Marion Siéfert o La rivolta dei brutti di Filippo Renda e Stefano Cordella. Questa edizione del festival ricorda, inoltre, alcuni anniversari importanti, dallo spettacolo su Carlo Giuliani (GiOtto, studio per una tragedia di Babel Crew) a quello sul tema migratorio (Non abbiate paura) in cui Luigi d’Elia e Francesco Niccolini raccontano il primo sbarco di albanesi in Italia avvenuto trent’anni fa. Non mancano poi le storie ispirate a personaggi reali: Carlotta Piraino in Togliatti mon amour porta in scena la vicenda di un cliente di una prostituta che lavora sulla Palmiro Togliatti (nota arteria di Roma est). Insomma, Lucia ed io abbiamo cercato di mettere insieme un carnet di eventi per così dire “progressisti”, in linea con l’idea che non si possa e non si debba mai costruire una visione unica sul mondo quanto, piuttosto, uno sguardo divergente, sghembo. Il teatro deve insegnare a ribaltare certi cliché borghesi, deve aprire il nostro pensiero, deve farci ragionare insegnandoci a sospendere il giudizio.

Il festival di apre con un focus sul teatro di Spiro Scimone e Francesco Sframeli. Sono loro i padrini di questa nuova edizione e le giornate a loro dedicate sono ricche di eventi importanti. Come si articolerà questa monografia?

Ogni anno Kilowatt sceglie, come padrino o madrina, un artista sul cui percorso creativo sviluppa una serie di attività. Questa sezione è per Lucia e me una sorta di itinerario sentimentale, un omaggio a quanti ci hanno formato, colpito, cambiati. Nel 2016 la madrina del festival è stata Mariangela Gualtieri, nel 2017 Ermanna Montanari. L’anno successivo nostro padrino è stato Virgilio Sieni, nel 2019 Romeo Castellucci (monografia poi saltata a causa della polemica social scaturita relativamente alla sua performance, ndr), nel 2020 Roberto Latini. Quest’anno si è deciso di raddoppiare e i padrini sono due, Spiro e Francesco. Intorno alla loro presenza si sono organizzate svariate attività di laboratorio, proiezioni, incontri e spettacoli. Ci sarà anche una giornata di studio aperta al pubblico e intitolata Il teatro è ventre di madre (venerdì e sabato, in apertura di vetrina). Dialogheremo con Spiro e Francesco sul bisogno e la necessità di un teatro artigianale, che nasce dalla ricerca del corpo dei personaggi creati dall’autore, ma che prende vita attraverso il corpo stesso dell’attore. Svilupperemo il tema del rapporto, sempre vivo e attuale, tra l’autore, l’attore e lo spettatore. Un rapporto essenziale, che si crea con l’ascolto delle parole, dei silenzi, dei respiri, delle emozioni.

Foto di Marco Caselli Nirmal

Cosa rappresenta il linguaggio di Scimone- Sframeli nella vostra formazione artistica?

Eravamo ancora ragazzi quando vedemmo, al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, La Festa (Premio Candoni nel ’97, ndr). Fu una vera e propria folgorazione. La capacità di conciliare l’umanesimo italiano (nel senso più autentico, più classico del termine) con una scrittura netta, precisa, asciutta, avvicinabile a quella inglese, è stato davvero un elemento di folgorazione per entrambi e finalmente quest’anno abbiamo deciso di festeggiare i due artisti. C’è ovviamente grande attesa per il loro nuovo lavoro, di cui sarà proposto a Kilowatt un quarto d’ora ma sul quale è ancora tutto top secret. Poi, come già detto, abbiamo un convegno, delle proiezioni, un laboratorio.

Gli artisti, gli studiosi e gli operatori chiamati ad accompagnare e costruire questo percorso come interagiranno con il duo messinese? 

Massimiliano Civica, Danio Manfredini e Letizia Russo, essendo anche loro artisti o drammaturghi, terranno un dialogo diretto con Spiro e Francesco, mentre Natalia Di Iorio, Vincenza Di Vita, Gianni Manzella, Massimo Marino e Sandro Pascucci hanno scritto degli interventi critici, delle riflessioni personali su specifici aspetti del teatro della compagnia siciliana. Anche Jean-Paul Manganaro ci ha mandato un saggio molto bello che leggeremo pubblicamente. Poi avremo un terzo contenitore rappresentato dal laboratorio aperto a sedici giovani attrici e attori professionisti. Abbiamo dovuto fare una selezione molto dura perché le candidature sono state davvero numerose. Vedremo l’esito di questo momento formativo sabato sera. Il tutto fa poi da cornice alla riproposta di uno degli spettacoli di maggior successo del duo, Il Cortile (Premio Ubu 2004, realizzato dopo le esperienze già felici di Nunzio, Bar, La Festa, ndr).

Scorrendo il cartellone della rassegna è facile notare come alcuni titoli fungano un po’ da leitmotiv e accompagnino parecchie giornate del festival. Mi riferisco, ad esempio, a Shakespeare Showdown ed Eclissi. Ci puoi anticipare qualcosa in merito?

Il primo lavoro è l’esito del progetto Residenze Digitali 2020: Enchiridion, una compagnia torinese, ha creato un videogame su Romeo e Giulietta in cui gli attori (tra gli altri, Tindaro Granata, Manuela Mandracchia, Iaia Forte) risultano pixelati come fossero personaggi degli anni Ottanta bidimensionali e gli spettatori (uno ogni 30 minuti) vengono invitati a giocare. Eclissi di Alessandro Sesti, Debora Contini e Nicola Fumo è, invece, una sorta di esplorazione di luoghi sconosciuti che segue le condizioni mentali di un malato di Alzheimer. Si tratta di una performance sulla percezione spazio-temporale, liberamente ispirata alla novella Una giornata di Pirandello. La domanda centrale è: cosa si prova a percepire come sconosciuto tutto ciò che fino a poco prima era per noi familiare?

Questa apertura al territorio, allo spazio urbano e, attraverso di esso, allo spazio interiore è una costola importante nella storia di Kilowatt. Mi sembra si riproponga anche nel progetto Architettura della disobbedienza. Di cosa si tratta? 

È una creazione corale a firma di Fabrizio Sinisi (drammaturg) Emiliano Bronzino (regista) e Francesco Fassone (scenografo e architetto); una performance immersiva e interattiva che indaga il concetto di inconscio collettivo e si interroga sulle discrepanze tra la rappresentazione istituzionale e mediatica dello spazio urbano e la percezione soggettiva che ne hanno gli abitanti. «Un percorso a occhi chiusi attraverso la città», lo definiscono i suoi creatori.

Alla ricca sezione degli eventi live si lega poi in modo assolutamente complementare La Piazza dei Beni Comuni: conferenze, riflessioni sul presente ricche di contributi di alto livello. Qual è il focus principale di quest’anno?

È il quarto anno che proponiamo questa serie di incontri e ci rendiamo conto di aver avuto un’idea vincente. In questa edizione possiamo contare sull’apporto di nomi centrali del dibattito culturale, basti citare lo scrittore Antonio Moresco o Carlo Andorlini di Legambiente. I temi principali di riflessione sono legati alla sostenibilità ambientale, sia in ambito cittadino sia sotto il profilo economico e alimentare. All’interno del progetto Be SpectACTive! ospitiamo poi il meeting europeo Beyond the Pandemic: the New Concept of Participation, che si articola in tre appuntamenti diversi (20, 21 e 22 luglio) e che offrirà l’occasione di ragionare su come sia cambiato il concetto di partecipazione dopo la pandemia. Viviamo, infatti, un vero e proprio ossimoro: da un lato il digitale allarga la platea e abbatte i confini; dall’altro, però, allontana e separa sempre di più le persone. Dunque: come possiamo immaginare una nuova semantica della nozione di partecipazione? Cosa vogliamo che sia la partecipazione nei prossimi anni?

Kilowatt Festival – L’energia della scena contemporanea, XIX edizione, “Questa fervida pazienza”, Sansepolcro (Ar), dal 16 al 24 luglio 2021.