IT – Capitolo 2 di Carlo Alberto Biazzi

Dai romanzi di Stephen King hanno tratto molti film, ma davvero tanti. Di sicuro, almeno per me, il migliore rimarrà sempre Shining. Però, nel 1990, ecco che esce un film per la tv, basato sul suo libro, credo, più lungo. E quello era un periodo dove avevano calcato parecchio la mano, considerando che nello stesso anno David Lynch arriva nelle sale cinematografiche con il suo terrificante e surreale Twin peaks. “Chi ha ucciso Laura Palmer?” recitava la frase di lancio della serie tv. Io ero un bambino, vedevo solo la pubblicità, ma a distanza di parecchi anni, ormai adulto, quando mi sono avvicinato a questo capolavoro, mi sono chiesto: «Ma quante persone avrà terrorizzato?».
Era stato davvero un anno dove l’orrore e la paura avevano regnato sul piccolo schermo, perché, appunto, esce IT, una miniserie in due puntate diretta da Tommy Lee Wallance con Tim Curry nel ruolo del pagliaccio Pennywise.
Ventisette anni dopo, proprio come il ritorno del pagliaccio nel romanzo, ecco il remake, o meglio, la prima parte, quella con i protagonisti bambini. Un film ben costruito, con tempi diluiti e con attori credibili. Un buon prodotto, insomma.
Ora, al cinema, è uscito il capitolo finale, dove ci sono i bambini, ormai adulti, impegnati nuovamente a lottare contro il terribile clown. Ancora diretto da Andrès Muscetti, il film vanta la partecipazione di attori di tutto rispetto, tra cui spiccano, senza dubbio, James McAvoy e Jessica Chastain.
L’inizio del film è da manuale e proietta immediatamente gli spettatori in un’atmosfera violenta e claustrofobica: due omosessuali, allegri e felici in un luna park, vengono barbaramente picchiati da un gruppo di omofobi. Uno dei due viene scaraventato, in fin di vita, nel fiume, mentre il suo compagno cerca di raggiungere la riva per salvarlo. Qualcosa, però, non va. Dall’altra sponda, un pagliaccio allunga la mano verso il moribondo e lo trascina a sé. Quando la salvezza sembra essere ad un passo, il clown spalanca la bocca e con i suoi denti aguzzi sbrana il poveretto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da lì, tanti palloncini rossi iniziano a volare in cielo quasi a far capire che l’inizio dell’incubo è proprio davanti ai nostri occhi. IT-Pennywise è tornato, esattamente ventisette anni dopo. A dare l’allarme è Mike, l’unico ad essere rimasto in città, a Derry, mentre gli altri hanno seguito i loro destini altrove, alcuni con successo e altri con una serie di fallimenti. Tutti insieme, si ritrovano al tavolo di un ristorante cinese. Per ciascuno è l’ora di fare i conti con i mostri del proprio passato e di rivivere i drammatici momenti dell’infanzia per capire come uccidere, una volta per tutte, il pagliaccio.
Cariche di tensione alcune scene, soprattutto quella in cui Beverly (Jessica Chastain) va a trovare un’anziana signora.
Nonostante la fotografia piatta di Checco Varese, le immagini scorrono fluenti, facendo risaltare la storia immortale del maestro King che sovrasta, senza ombra di dubbio, una regia pressoché assente. Gli attori, infatti, agiscono non certo grazie alle indicazioni del regista, ma attraverso i personaggi ben definiti del romanzo, che rende i protagonisti, sicuramente, all’altezza delle aspettative.
L’unico profondo neo del film è dipeso dal minutaggio: quasi tre ore. La sceneggiatura poteva essere “coccolata” meglio. 169 minuti sono davvero troppi per un film dell’orrore: dopo novanta minuti non si vede l’ora che finisca, si perde il filo e il senso del discorso. Ed è un peccato, perché, nonostante le scene splatter, la storia ci porta dentro la vita dei singoli personaggi, dentro le loro emozioni, ci ricorda i vecchi amori, ci fa tifare per loro e sperare in un riscatto.
Nemmeno il tentativo del regista di giocarsi la carta dell’autoironia funziona.
Consiglio, comunque, il film a chi, come me, nel 1990 era un bambino e agli estimatori di Stephen King. E lo consiglio, anche, ai ragazzi di oggi che non troveranno assolutamente “spaventoso” il capolavoro del 1990, perché ormai le nuove generazioni hanno visto di tutto, vissuto di tutto, e non provano più alcun timore neanche di fronte alle loro paure più inconsce.