
È il 23 maggio del 1992. Ci sembra di vederli, quei ragazzini che stavano festeggiando una loro compagna, in una villetta vicino Capaci, stringersi impauriti intorno al corpo dell’unica adulta. Seguiamo poi Calogero, l’uomo che sta guidando da Capaci a Palermo. Dopo aver accompagnato la figlia alla festa, si ferma a pochi centimetri dal baratro: l’autostrada scompare davanti ai suoi occhi. Prima il boato, poi un assoluto silenzio. La testa di Calogero va in tilt. Smetterà di parlare per interminabili sei mesi. Per un attimo, si spegne anche l’audio nella testa di chi ascolta.
Lo choc si riverbera dal palcoscenico alla platea. Davide Enia sceglie di ricostruire quella tragica giornata del 23 maggio di 33 anni fa attraverso le reazioni delle persone comuni che si sono trovate vicine all’epicentro della strage di Capaci. Lo fa con uno oratorio teatrale e con un libro pubblicato da Sellerio. Si intitolano entrambi Autoritratto.

Nel 1992 Davide Enia ha 18 anni e va ancora a scuola. Nel mese di maggio del 1992, con la sua classe, aveva trascorso un’intera giornata nel giardino della Curia, assieme al loro insegnante di religione. In un palco improvvisato, ogni allievo poteva leggere qualcosa. Per l’occasione, Davide aveva scritto un Manuale di Istruzione per sopravvivere a Palermo, intitolato La settimana santa: un precetto per ogni giorno della settimana. Dopo averlo letto, l’insegnante di religione lo giudica “accurato”: “È importante nominare le cose”. A 18 anni l’aggettivo “accurato” può sembrarti misero ma a 50 capisci che è l’unica risposta possibile. Quel professore di religione, che era un uomo mite, verrà ucciso dalla mafia un anno dopo. Si chiamava Pino Puglisi.
Con la stessa precisione sintattica coadiuvata da una tecnica quasi cinematografica, Davide Enia ricostruisce anche la strage di via D’Amelio, isolando i dettagli, la postura, la flessione della voce delle dramatis personae convocate in questa assemblea pubblica, perché niente sfugga al ricordo. Citando i ritratti di Carla Lonzi che passavano per la tecnica dell’autoritratto, facendo della pratica dell’ascolto l’unico sistema autorizzato d’indagine (nel suo caso del corpo dell’arte contemporanea), Davide Enia mette se stesso, la propria biografia nel discorso su Palermo e sui morti di mafia. L’obiettivo si allarga e si restringe su frammenti nitidi di vita quotidiana, su precisi gesti compiuti nell’ebrezza della giovinezza o nell’austerità dell’età adulta. La scrittura è precisa, millimetrica. Non un solo orpello, ma molti dettagli, per testimoniare la sacralità di ogni esistenza.

La luce non si abbassa ad effetto, né vacilla la voce, neanche quando Enia ci fa entrare nell’antro oscuro in cui il male arriva fino al punto di sciogliere un bambino nell’acido. Solo un misurato ma incisivo commento musicale creato in scena da Giulio Barocchieri. La tentazione di vedere sempre il male fuori di sé, di aggredirlo da una posizione comoda e linda, come se non ci riguardasse, è sempre in agguato. Questo Enia, che il primo morto ammazzato l’ha visto a 8 anni, lo sa bene. Non è il primo e non sarà l’ultimo testimone di una guerra feroce, inumana. Per questo fa un passo indietro e decide di collocarsi dentro il racconto. Per nominare tutto quello che si vede, si sente e si dice, per correggersi se c’è da correggere, per denunciare se c’è da denunciare. Con accuratezza. “È l’insegnamento del nostro professore di religione, bisogna nominare le cose, bisogna chiedere giustizia, bisogna pretenderla, bisogna scendere in piazza con il proprio corpo, bisogna imparare ad ascoltare l’altro e i suoi bisogni, e bisogna capire che, se nella tua città ti trovi di fronte a una pozza di sangue, l’immagine riflessa è il tuo autoritratto”.
Autoritratto
di e con Davide Enia
musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri
scene e luci Paolo Casati
suono Francesco Vitaliti
abiti di scena Antonio Marras
co-produzione CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Spoleto Festival dei Due Mondi
con il patrocinio della Fondazione Falcone.
Lo spettacolo è stato visto al Teatro Paolo Grassi di Milano.
Teatro India, Roma, fino al 1° giugno.
Teatro Gobetti, Torino, dal 3 all’8 giugno.