“La luce del nero” del Teatro tascabile di Bergamo di Chiara Crupi

Foto di Federico Buscarino

Un uomo vestito di bianco cammina a piedi lungo una sottile lama di luce chiara. Tutto intorno è oscurità. Raccoglie abiti bianchi, vuoti, non abitati da corpi, che sembrano uomini – e bambini – senza vita e sparsi ovunque. Trascinati sulla ghiaia segnano il terreno di rosso, trasformano in poco tempo il suolo in una terra ferita. Se non fosse per la pulizia del gesto e l’esattezza delle forme, potremmo confonderli con qualche immagine scellerata e reale del nostro presente. La scena non si ritrae a questo ineludibile confronto, riempiendo lo spazio di voci e rumori che richiamano la volgarità del potere, la guerra, la contemporaneità. La figura in bianco ha un’aura potente nella semplicità delle azioni. Sprofonderà in un sonno – o in un altrove – senza speranza e avrà un incontro o una visione: otto figure vestite di nero, otto ombre sui trampoli che portano «fragili scintille di luce». Sembra un sogno inquieto, ne ha la forza e la potenza, è invece uno spettacolo ma non siamo in un teatro. Una performance pensata per essere rappresentata all’aperto che si interroga sul dolore e sulla morte è già di per sé un’operazione singolare. Ma è la cifra a cui il Teatro tascabile di Bergamo ha abituato negli anni i suoi spettatori: non lavora mai a partire dal genere ma da un bisogno, pur essendo il teatro negli spazi aperti, insieme alle danze indiane, uno dei territori di ricerca in cui è riconosciuto come eccellenza (1). Non importa dove l’indagine e le tecniche condurranno.

Foto di Federico Buscarino

Nel 1925 il poeta Esénin scrisse i suoi ultimi versi con il sangue il giorno prima di morire (suicida, fu detto). L’opera, dedicata all’amato poeta Anatolij Marienhof, si chiama Arrivederci amico, arrivederci e chiude così: «morire in questa vita non è nuovo. Ma più nuovo non è nemmeno vivere». Vladimir Majakovskij, con altrettanto celebre poesia dal titolo A Sergèj Esénin, rispose: «bisogna strappare la gioia ai giorni futuri. In questa vita non è difficile morire. Vivere è di gran lunga più difficile».
Esénin e Majakovskij ebbero screzi e distanze, ma condivisero, oltre alla morte violenta, sospetta e prematura, l’aver vissuto i tempi bui di un regime che ne ha schiacciato i destini e le utopie.
Anni dopo Nâzım Hikmet, nell’oscurità di una cella dove fu rinchiuso per più di un decennio, scrisse invincibili componimenti d’amore e di impegno civile, fra i primi in Turchia ad usare il verso libero. «I tuoi occhi» sono parole di vicinanza per la donna amata ma anche di anelito ad un’umanità migliore: «verrà giorno che gli uomini si guarderanno l’un l’altro fraternamente con i tuoi occhi, amor mio, si guarderanno con i tuoi occhi».

Questi e altri frammenti poetici riecheggiano e si mescolano nell’ultima proposta del Teatro tascabile di Bergamo, dando voce all’uomo in bianco – Alessandro Rigoletti – e alle ombre fluttuanti sui trampoli. Sono testi di poeti il cui impegno rivoluzionario ha conosciuto la sconfitta e la delusione. Abituati a immaginare la luce nel buio, a battere sentieri nuovi attraversando il dolore, a farsi strada fra le contraddizioni.

Foto di Federico Buscarino

Forzando un po’ l’accezione del termine, potrebbe dirsi, in un certo senso, uno spettacolo popolare: perché offre allo spettatore una cerimonia i cui ritmi e sonorità sono avvolgenti; perché interroga implicitamente i presenti – in modo semplice e chiaro sull’oggi e le sue tenebre; perché combina elementi di artisti del Novecento che, con le loro ferite ancora vive nel nostro mondo contemporaneo, fanno ormai parte della coscienza collettiva; perché si rivolge a un pubblico all’aperto; perché l’azione si svolge nel tempo dato della celebre melodia in tempo 3/4 – essenziale, ossessiva e ipnotica – del Boléro di Ravel, talmente conosciuta da essere diventata popolare. Ma anche perché sembra voler smuovere le coscienze.
Fu Renzo Vescovi nel 2005 che ebbe l’idea di usare il Boléro in un’azione teatrale per gli spazi aperti, senza avere il tempo di realizzarla. La scheda artistica ce lo ricorda ma il gruppo precisa anche: «non sappiamo in che direzione l’avrebbe sviluppata, che uso ne avrebbe fatto. La responsabilità di questo lavoro è solo nostra».

Foto di Federico Buscarino

Ascoltato per la prima volta dal pubblico a Parigi nel 1928, ispirato all’omonimo ballo tradizionale spagnolo, il Boléro fu per l’autore – ricordiamo – un esperimento dal successo travolgente e inaspettato. Nel tempo ispirò altri artisti, fra i più diversi. Fra tutti, Maurice Béjart compose la sua memorabile coreografia, dove una (o un) solista compone azioni in un erotismo crescente come in un corteggiamento animale, scatenando gli istinti primitivi e violenti della moltitudine.

La performance del TTB mette radici su questa immagine e vi innesta movimenti sacri di molte tradizioni. La scena cambia di segno e si trasfigura. Qui è la moltitudine che volteggia e irretisce il singolo, per risvegliarlo a richiami profondi e vitali. Con la preghiera laica e primordiale, quella del corpo, provoca ed evoca l’essenza dell’essere umano. Le figure sui trampoli, capaci di esattezza e abilità straordinarie, sono agite indistintamente da attori giovani ed esperti del TTB, uno accanto all’altro, come attuanti di un rito.

Foto di Federico Buscarino

Il Teatro Tascabile riferisce nella scheda artistica come la ricerca teatrale tragga linfa «dai Mouvements di Gurdjeff e da altre forme di preghiera fisica, fatta con tutto il corpo: le strutture concentriche dei mandala e degli uroboro, le danze dei dervisci rotanti, le pratiche dei dhikr e del candomblé».
La ripetizione e la ricorrenza sono un segno, un indizio da indagare nella bellezza abbagliante delle forme. Si ripetono gli orrori, lo sgomento, ma la vita pure ciclicamente si ricompone e anche l’atto creativo, la determinazione dei corpi in preghiera, ritornano. La luce e il buio, il bianco e il nero. La distruzione e la rigenerazione. Trenta minuti di azione scenica che scuotono. Una danza per le ferite del nostro tempo. Gli attori sembrano chiederci di non guardare altrove, di avere il coraggio di fare i conti con l’oscurità, che abbracciare il buio è la strada per poter distinguere e ricevere la luce, che guardare il dolore negli occhi può aiutare a ritrovarci come esseri umani.
«Lo spettacolo è una creazione del Teatro tascabile di Bergamo diretta da Tiziana Barbiero». C’è qualcosa di molto interessante in questa dichiarazione apparentemente semplice, nei crediti. Ci suggerisce come un’attrice storica del gruppo, sia emersa negli anni, lentamente, alla direzione dei processi creativi, lasciando di proposito respirare la creazione collettiva, in una dialettica continua e palpabile – immaginiamo non facile – mai risolta banalmente nella definizione convenzionale di “regista”. Ma questa è un’altra storia (tutta da raccontare).

Nota
1) Il Teatro tascabile di Bergamo è un piccolo miracolo di rigore, arte e resistenza del teatro contemporaneo e la sua storia ce lo ricorda. È una storia di tradizione ma anche di innovazione e di rinascita. Nasce negli anni Settanta, cresce nell’alveo della ricerca del Terzo Teatro e sopravvive alla morte del regista, fondatore e ispiratore Renzo Vescovi, proseguendo e proteggendo la struttura e i valori di quel teatro e del gruppo. Quando Vescovi è ancora in vita intraprende con i suoi attori in modo assolutamente originale una ricerca sulle danze classiche indiane che renderà l’ensemble un punto di riferimento riconosciuto persino fra i maestri asiatici delle stesse discipline. Quanto al teatro “di strada”, nei suoi oltre cinquant’anni di vita, il Tascabile ha creato 10 spettacoli in spazi aperti, dal primo Albatri del 1977 a La Luce del nero del 2025, oltre ad azioni create ad hoc per situazioni e su richieste d’occasione, affinando in particolare l’arte dei trampoli, di cui sono considerati fra i massimi esperti su scala internazionale.

Foto di Federico Buscarino

La luce del nero. Azione teatrale per spazi aperti

creazione del Teatro tascabile di Bergamo diretta da Tiziana Barbiero
consulenze Mirella Schino
con Alessia Baldassari, Ruben Manenti, Simone Noris, Alessandro Paganoni, Alessandro Rigoletti, Clara Rigoletti, Caterina Scotti, Marta Suardi, Stefano Ulivieri
progetto sonoro Clara Rigoletti
i lampioncini utilizzati nello spettacolo sono stati creati dall’artista bergamasca Barbara Ventura
tecnico luci Pietro Bailotecnico del suono Fabio Vignaroli.
La performance è dedicata a Ludovico Muratori (1949-1994), maestro sui trampoli, che è stato attore con il Teatro tascabile di Bergamo fino al 1982.

Rassegna L’Età forte. Dedicato a Renzo Vescovi e Beppe Chierichetti, Bergamo Città Alta, anteprima 31 maggio 2025.

Prossime date:
Ur-Nat Festival – International Performing Arts Festival 2025 a cura di Teatret Om, Ringkøbing (Danimarca), 30 agosto 2025.
Festival Girovagando 2025, 28esimo Festival Internazionale Itinerante di Arte in Strada a cura di Theatre en Vol, Sassari, 7 settembre 2025.
Festival L‘Arlecchino errante, 29esima edizione a cura della Scuola Sperimentale dell’Attore, Pordenone, 9 settembre 2025.

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