Una serata Dada a Trastevere. “Il cuore a gas” di Sergio Roca

Foto di Andrea Terzuoli

Dada è stata una delle avanguardie del primo Novecento e si proponeva di ricercare forme artistiche che si esprimessero nell’enfatizzazione dell’eccesso, della stravaganza, dell’umorismo e della comunicazione anticonvenzionale contro la logica e il razionale.
Se nell’arte, con il ready-made, Marcel Duchamp ne è rimasto l’esempio più classico, René Clair ce ne ha lasciato il manifesto cinematografico con la realizzazione della breve pellicola Entr’acte. Se, di questo movimento, nella musica Erik Satie fu perfetta espressione del pensiero “frammentato” toccò al rumeno naturalizzato francese, Tristan Tzara (Samuel Rosenstock) a esserne, oltre che fondatore, uno dei maggiori esponenti letterari (curò anche il manifesto del 1924).
Nella sua attività di scrittore Tzara si distinse, anche nel teatro, con l’ideazione di quattro opere la cui prima, Il cuore a gas, è una commedia breve – priva degli usuali contenuti formali dell’epoca – che, però, proprio per l’intrinseca volontà contraddittoria del dadaismo, venne scritta come dovesse essere rappresentata nella forma in tre atti della tradizione. Tzara seguendo, sin dal 1916, il pensiero fondante dadaista era convinto, infatti, che il rinnovamento nella società, tramite l’arte, dovesse passare dal destrutturare la forma originale per offrire nuovi significati a vecchi significanti e costruì questo lavoro, privato dei canoni della razionalità classica, per esprimere i suoi concetti affidandosi ad un linguaggio afasico a ripetitivo e, a volte, su gesti e onomatopee.

Foto di Erika Solmani

Nel testo “originale”, prendono vita sulla scena alcune parti del corpo umano: Occhio, Bocca, Orecchio, Naso, Sopracciglio e Collo che si scontrano e si raccontano con frasi svuotate, fondamentalmente, del loro senso logico. Per rendere chiaro su come esporre il suo pensiero Tzara aveva arricchito il copione con numerose annotazioni e prescrizioni. La cosa non è passata inosservata all’arguto regista Andrea Martella che, nella sua personale riduzione del lavoro, ha pensato di utilizzare tali note aggiungendo la figura della Didascalia (Walter Montevidoni). Entità esterna ed estranea alla scena, lasciata quasi sempre nel proscenio, Didascalia finisce per essere un deus ex machina (o una specie di regia) che scandisce tempi e situazioni.
Mentre si entra in sala, gli attori sono già in movimento sul palcoscenico. Sono vestiti con costumi non particolarmente eccentrici ma ricchi di accessori che richiamano la loro funzione organica; si spostano e interagiscono fra loro al ritmo di una musica ripetitiva. La scena è spoglia con un fondo impreziosito dalle sculture della giovane Giulia Spernazza che, grazie ai riflessi resi dal tecnico luci Mauro Buoninfante, dona una piacevole suggestione lunare.

La squadra costruita da Hangar Duchamp, questo il nome della compagnia che presenta Il cuore a gas, è fenomenale e se la mimesi e la narrazione lineare, in un testo dadaista, sono poco importanti, sono le azioni fisiche e le capacità corali a dare “potenza” alla scena trasformando i sei attori (più la Didascalia) in un “corpo” unico. Gli interpreti, infatti, più che recitare danzano, come in un balletto; un balletto per fotogrammi e fonemi, a volte accelerati e reiterati fino al parossismo. L’idea lascia pensare a Parade di Satie, del 1917, ma anche alla trasposizione scenica dei quadri di Charles Martin con testo e musiche, sempre di Satie, della raccolta Sports et divertissements.
Per comprendere la bravura e l’affiatamento del gruppo è bastato soffermare lo sguardo su coloro che non erano intenti a recitare (in senso stretto) e che avrebbero potuto godere di attimi di “recupero”. Nessuno degli attori a vista perdeva “attitudine” e concentrazione rimanendo sempre impegnati in qualche attività cosa che rende vivi gli angoli della scena anche se non pienamente illuminati.

Foto di Sergio Roca

Tutti i componenti della squadra hanno mostrato grandi capacità artistiche ma, probabilmente per la maggior rilevanza del ruolo assegnato, è risaltata la presenza di Simona Mazzanti (Bocca), che nell’originale assenza della Didascalia, doveva svolgere con le frequenti entrate e uscite il punto di scansione temporale della commedia. Menzione speciale per Vincenzo Acampora (Naso) e Vania Lai (Collo) spesso “coppia a contrasto” e per Edoardo La Rosa (Orecchio) che ha recitato la sua parte in carrozzina, accessorio non voluto ma obbligato sulla scena a seguito di un piccolo infortunio occorso all’attore che, però, è risultato perfettamente coerente nella struttura Dada. Impossibile, comunque non citare i fantastici Flavio Favale (Occhio) e Giorgia Coppi (Sopracciglio).
Spettacolo di alto pregio consigliato a chi è ama lasciarsi coinvolgere e sorprendere.
Un gruppo estremamente affiatato e dotato di ritmi eccellenti e soluzioni sceniche originali. Si poteva, forse, osare un po’ di più sui costumi mentre gradevole e suggestiva, seppur limitata all’essenziale, la scena con effetti luce estremamente efficaci.

 

Il cuore a gas 

di Tristan Tzara
regia di Andrea Martella
con Flavio Favale, Simona Mazzanti, Edoardo La Rosa, Vincenzo Acampora, Giorgia Coppi, Vania Lai, Walter Montevidoni
installazione scenografica Giulia Spernazza (gentile concessione galleria d’arte FABER di Roma)
luci Mauro Buoninfante.

Teatro Trastevere, Roma, fino al 21 novembre 2021.