“Pino Daniele Alive”: a Napoli una mostra per riscoprire l’artista di Carolina Germini

Foto di Guido Harari

È il 1991. In una camera azzurra Pino Daniele sta facendo ascoltare in cuffia a Massimo Troisi la canzone che ha appena inciso: Quando, che diventerà quello stesso anno la colonna sonora del film Pensavo fosse amore…invece era un calesse. Troisi si abbandona a quella musica e chiude gli occhi. Forse ha già in testa la scena di Cecilia che attraversa Napoli vestita da sposa. Lo sentiamo canticchiare: «E vivrò, sì vivrò tutto il giorno per vederti andar via». Ma non sono le stesse parole che Pino Daniele dirà quando un attimo dopo abbraccia la chitarra per far sentire di nuovo il brano a Troisi: «E vivrò, sì vivrò, tutto il giorno per vederti ballare». È così che l’ha scritta. E allora Troisi, con l’eleganza e la delicatezza che lo contraddistingue, lo lascia finire per poi confessargli che lui l’ha sempre immaginata diversamente. Allora Pino Daniele si rimette a cantare ma questa volta cambia il testo. Sembra un dettaglio ma quella differenza trasforma completamente il senso di ogni cosa. Veder qualcuno ballare significa averlo nel proprio presente, poterlo afferrare. Vederlo andar via significa accettare che l’altro non ci appartiene, che senza preavviso può stravolgere i nostri piani e lasciarci così, da un giorno all’altro. In questa frase c’è il senso più profondo dello sguardo disincantato di Troisi sull’amore, l’idea che una storia, ancora prima di nascere, serbi già in sé la possibilità della sua fine. Il nostro desiderio si trasforma troppo in fretta e si ribella alle regole del tempo. A volte succede che arrivi in ritardo rispetto a quello dell’altro o che quello dell’altro sia già pronto mentre il nostro sta ancora maturando. Sembra questo il sentimento che anima alcuni brani dell’album di Pino Daniele uscito quell’anno: Sotto o’ sole, in cui il contributo di Troisi è fortissimo.

Oltre a Saglie saglie, pezzo pubblicato per la prima volta da Daniele nel 1977 nell’album Terra mia, che qui ritorna in una nuova versione, in cui Troisi presta la sua voce, c’è un altro brano che forse è il più troisiano di tutti: ‘O ssaje comme fa o’ core. Innanzitutto, perché Troisi è l’autore del testo e poi perché qui canta alcune strofe, esprimendo tutto quel senso di malinconia, dispiacere e apparente rassegnazione per l’impossibilità di controllare i sentimenti. E il tempo di nuovo torna, come forza distruttiva che non lascia durare neanche le storie più belle: «Tu stive ‘nzieme a me, je te guardavo Comm’è succiesso, ammore, ca è fernuto Ma je nun m’arrenn’ ce voglio pruva’, je no, je no ‘O ssaje comme fa ‘o core, je no, je no Quann s’è sbagliato».

Ed è sempre sotto l’insegna di preziose collaborazioni tra Pino Daniele e altri artisti che è nata l’idea di Pino Daniele Alive, la mostra, tutta dedicata alla carriera e alla musica di questo immenso musicista. Allestita nella Fondazione Made in Cloister, nel complesso di Santa Caterina a Formiello: un luogo che riflette la poesia di Napoli che troviamo nelle canzoni di Pino. Le pareti grezze e scrostate e gli affreschi riportati alla luce infatti fanno tornare in mente la bellezza di questa città imperfetta, così come lui l’ha descritta.

A guidarmi in questo spazio è Guido Harari, che ha fortemente voluto la mostra e proprio in questo chiostro, per uscire dai soliti schemi dei musei e delle gallerie. Harari dagli anni Settanta immortala con i suoi scatti grandi artisti della scena discografica italiana e internazionale: Mia Martini, Paolo Conte, Lou Reed, Fabrizio De André, Frank Zappa e molti altri tra cui naturalmente Pino Daniele. Dalla loro amicizia e lunga collaborazione è nata l’idea del progetto: raccogliere i ritratti di diversi fotografi che nel tempo hanno accompagnato Pino durante la sua carriera, tra questi, oltre ad Harari: Giovanni Canitano, Adolfo Franzò, Mimmo Jodice, Cesare Monti, Roberto Panucci, Letizia Pepori, Lino Vairetti, Luciano Viti. Foto di live, di backstage, scatti rubati in studio di registrazione, foto con il gruppo storico che vede insieme Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Joe Amoruso e Rino Zurzolo e anche foto più intime, come quelle scattate da Harari nella casa-studio di Pino a Formia per la copertina dell’album Mascalzone latino, in cui viene fuori l’anima più allegra, solare e spensierata dell’artista.

Foto di Sabrina Cirillo

Ma la fotografia non è il solo elemento che incontriamo in questo percorso. Al centro del chiostro ci aspetta una sorpresa assoluta: la ricostruzione in una teca del suo camerino, con la sua chitarra elettrica blu e persino l’immancabile macchinetta del caffè. Sparpagliati in altri punti della mostra, altri oggetti, tra cui gli album e il mandolino usato per la registrazione di Napul’è, permettono di entrare nel vivo della sua storia discografica. Non c’è una vera direzione, è il visitatore a tracciarne una, muovendosi come un obiettivo fotografico avanti e indietro tra uno scatto e l’altro. Harari, insieme al figlio di Pino, Alessandro Daniele e Davide De Blasio, uno dei fondatori del Cloister, ha concepito questa mostra come uno spazio sempre vivo, che ospita concerti, incontri, workshop e proiezioni di film. La voce flautata di Pino, così la definisce Harari, e il suono della sua musica, accompagnano i visitatori attraverso una straordinaria esperienza immersiva.

Pino Daniele Alive, la mostra, Fondazione Made in Cloister, Campania Teatro Festival, Napoli, fino al 31 dicembre 2021.