Maschera-menti di Alessandra Sannella

Come noto, la comunicazione su scala planetaria, già da qualche anno, viene minacciata dai monitor di device che imperano nelle nostre conversazioni, dando luogo a fenomeni come la “scomparsa dello sguardo” (1) come fossimo avvolti in una grande maschera di pixel. Qualche anno fa David Le Breton (2) faceva notare che il web rappresenta una “maschera” di per sé, perché l’individuo «non è più assegnato alla costrizione di un’identità che trova nel volto il luogo ideale» e ciò conduce a una trasformazione tangibile nella sfera delle relazioni. Questa “innovativa” socialità “deviata”, accelerata dal Virus Sars-Cov2, ha aggiunto un nuovo particolare nei processi di interazione per fini di protezione individuale, la tanto discussa “mascherina”.
Al di là delle giuste cause che ci inducono ad indossare – o meno – il “dispositivo” in questo burrascoso 2020, mentre stilisti di chiara fama cercano modelli panterati per griffare anche l’innovativo accessorio che entrerà nella rappresentazione della nostra vita quotidiana, c’è un dubbio che si insinua in molti di noi: tutto ciò potrebbe avere delle ricadute sulla nostra socialità?

Come una reliquia o un abito da clown, con lacrime o speranze appese, si indossa la “mascherina” per incontrare gli altri, negandoci il piacere del sorriso che riluce sul viso, della smorfia interlocutoria, del pensiero che cambia con la mimica dell’“Altro” (3), del gioco di equilibri prodotti dalle interazioni face to face. In questa cornice si formano le relazioni in una “rappresentazione” (4)  sociale in cui le esperienze quotidiane della vita individuale conducono verso la costruzione di una nuova «identità personale» (5). Una forma in cui l’attore sociale si rigenera nella “cultura” del gioco e del mascheramento – che ha da sempre caratterizzato le società in tutti i periodi di transizione, come nel caso dei riti propiziatori, o delle feste carnevalesche, utili per allontanare “il male” – nella vanagloria di cogliere, almeno per qualche aspetto, il senso del mutamento e dell’adattamento, a una trasformazione sociale in atto. Fa un certo effetto immaginare che se il corpo non potrà essere il medium del nostro conversare, la maschera cambierà forma e rappresenterà, sia l’oggetto per difendersi e per tutelarsi ma anche per rendere ancora più sofisticato l’incontro, per demarcare la propria identità con le proprie differenze socio-culturali ed emotive.
Qualche giorno fa, mentre la polvere della notte si spargeva sul luglio londinese, un uomo vestito da “sanificatore” (6) della metropolitana, coperto in volto, e con della vernice in mano, ha imbrattato i vagoni della metropolitana di Londra. Quell’uomo è Bansky, il celebre street artist, conosciuto ai più come un irreverente artista, stavolta ha deciso di lasciare il segno della Pandemia da Covid 2020 con un video performance trasmesso sulla sua pagina Instragram dal titolo: If you don’t mask, if you don’t get. L’igienizzatore, armato di stencil e colori, ha quindi riempito il vagone con immagini del noto topo banksyano impegnato sia a starnutire sui seggiolini della metropolitana che a pulire dotato di mascherina con zampette pregne di gel disinfettante. L’arte di Bansky non ha però conquistato lo humor inglese e gli operatori si sono apprestati a ripulire il vagone… dai topini.

 

Un inno all’uso della maschera quindi, che invita a svincolarsi da dietrologie e da paure sociali, suggerendo di immaginare che nel gioco dei ruoli sociali, se la mascherina sarà strategica nel demarcare la possibilità di uscire fuori dall’ondata pandemica, il re-embedding potrà essere la nuova forma di relazione e di comunità. Il telos è ricreare la dimensione di una intimità, dove forse ci potrà anche essere la rottura delle forme tradizionali di socialità, ma con l’obiettivo di agire verso un’interazione che sappia comprendere sia le mascherine per proteggersi, che il piacere dello svelamento del mondo (ἀλήθεια). Tenendo sempre a mente che la più bella delle relazioni si intravede tra le pieghe del viso: Fine modulo«e par che de la sua labbia si mova uno spirito soave pien d’amore, che va dicendo a l’anima: Sospira». (7) 

Bibliografia:

1)A. Sannella, La Violenza tra tradizione e digital society. Una riflessione sociologica, FrancoAngeli, Milano, 2017.
2)D. Le Breton, Antropologia del corpo e modernità, Giuffrè, Roma, 2007, p.284.
3)G.H Mead, Mind, Self and Society, The University of Chicago Press, Chicago, 1934.
4)E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione,  trad. it., il Mulino, Bologna, 1969.
5)C. Mongardini, Elementi di Sociologia. Temi e idee per il XXI secolo. McGraw-Hill Companies, Settimo Milanese, 2010, p.XVI.
6)https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/15/banksy-si-traveste-da-sanificatore-e-riempie-con-i-suoi-topi-la-metropolitana-di-londra-video/5868846/
7)D. Alighieri, Vita Nuova, XXVI 5-7.