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Spiro Scimone parla dell'Attore e della sua verità mettendo insieme crisi attuale e profezie pirandelliane

di Laura Novelli

 

 

Tra le prime nazionali più attese all'interno della ricca programmazione del Napoli Teatro Festival Italia 2018, Sei di Spiro Scimone (su regia di Francesco Sframeli) merita una riflessione profonda. Per il semplice fatto che, in questo nuovo lavoro del duo messinese, si ragiona di Teatro e arte attorica attraverso la messinscena di un libero adattamento dei Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello che rappresenta però un'opera a sé. Una partitura drammaturgica originale, fantasiosa, agrodolce, a tratti lieve, a tratti persino farsesca dove, senza nulla togliere al nocciolo drammatico della vicenda famigliare immaginata dal maestro agrigentino per le sue bizzarre figure, in ballo c'è essenzialmente un grido a difesa della ‘necessità' del Teatro. Una necessità cocente che cerca voce a fronte e a dispetto del baratro culturale in cui stanno precipitando i nostri tempi vuoti e confusi. Scimone la racconta quasi ridendoci su (sberleffo amarognolo). Per esorcizzare le proprie paure di artista, per immaginare scenari futuri migliori e per mettere in allerta il pubblico: chiamarci tutti ad una presa di coscienza sociale ed etica.
Lo spettacolo (di cui trovate una mia recensione su PAC al link https://paneacquaculture.net/2018/07/02/sei-la-fragilita-dellattore-e-del-personaggio-da-pirandello-a-scimone/ ) ha debuttato il 23 giugno al teatro San Ferdinando (non per niente la casa del grande Eduardo) ed è stato accolto da uno scrosciare di applausi. Segno che ancora una volta, dopo le tinteggiature surreali di Giù e quelle grottesche di Amore , la scrittura del drammaturgo siciliano ha fatto centro. Ha toccato una corda scoperta. Ha intercettato un bisogno comune. Trasformando la stoffa metateatrale dei Sei personaggi (invenzione a suo tempo profetica e rivoluzionaria, capace di entrare nelle viscere del teatro per scrutarne ‘da dentro' il meccanismo e il mistero) in un piccolo mondo di teatranti odierni scoraggiati. Teatranti che, tuttavia, non demordono. Anzi, resistono. Sperano. Rimangono sul palcoscenico (abitandolo con briosa consapevolezza espressiva) anche quando il tecnico delle luci scompare per impellenti necessità fisiologiche e li lascia al buio. Sarà proprio l'arrivo di quella strana famiglia partorita dalla mente di un Autore a riaccenderne l'ardore. Dunque, ancora metateatro. Ma più concreto. Più vicino a noi. Più contemporaneo. Ne parlo con Scimone stesso proprio in occasione della prima partenopea.

Da cosa nasce questa nuova produzione della vostra compagnia?

Semplicemente dal bisogno di confrontarci con un classico, in particolare con la drammaturgia del grande Pirandello. Affrontandola però dal nostra punto di vista. A me e Francesco non interessava adattare i Sei personaggi così come sono stati scritti. Piuttosto unire due linguaggi: quello di Pirandello e il nostro. Mettere in scena lui attraverso la nostra cifra, il nostro stile. Questo testo ci è sembrato sin da subito quello migliore per formulare un contatto tra le due diverse scritture sceniche. Tanto più che entrambi, sia io sia Francesco, sentivamo il bisogno di raccontare cosa significhi fare teatro oggi. Che cosa sia un Attore quando non ha più la possibilità di interpretare dei personaggi dal momento che le congiunture non lo permettono. D'altronde, tutta la nostra produzione, sin dagli esordi, si basa sul ruolo dell'Attore, sul rapporto tra attore e testo, attore e personaggio, attore e pubblico, e portare sul palcoscenico la crisi che questa professione sta vivendo attualmente ci sembrava quanto mai necessario.

In Sei attraversi Pirandello tenendo fede alla tua cifra drammaturgica e, inoltre, inventi una prima parte/cornice che non esiste nei Sei personaggi . Tecnicamente che tipo di lavoro hai fatto in fase di scrittura?

Per prima cosa ho eliminato tutto quell'apparato filosofico e concettoso che non si addice al mio stile. Sono andato al nocciolo della questione e ho cercato di rileggere la vicenda (che è una duplice vicenda) anche in chiave brillante. Francesco ed io ci siamo concentrati sull'essenza dell'opera pirandelliana, che è un'opera di teatranti sui e per i teatranti, e abbiamo seguito questo filo. Con molta naturalezza e semplicità. Poi ho fatto in modo che la vicenda venisse incorniciata in una situazione fresca, attuale, molto chiara: una compagnia di attori – per lo più giovani – si dispera in modo quasi parodistico perché rischia di non poter lavorare. Un tecnico/datore luci malato di prostata li lascia al buio per starsene rinchiuso in bagno mentre il capocomico cerca di incoraggiare il gruppo e di tenere alta l'asticella della speranza. Il tutto senza uscire dalla mia scrittura di sempre: chi ha seguito il mio teatro vi ritroverà le mie caratteristiche, la mia sensibilità di autore, il mio ritmo, il mio linguaggio secco, ripetitivo, pulito.

Questa essenza dei Sei personaggi di cui parli ce la spiegheresti meglio?

In poche parole credo che questo capolavoro metta in corto circuito il rapporto basilare tra il testo e l'interprete. Esprime un assunto elementare ma enorme: per far vivere il teatro ci vuole l'attore e per far vivere questo ci vuole il personaggio. Infine, per far vivere entrambi, oltre al rapporto sempre vero che essi devono avere tra di loro, ci vuole il pubblico. Leggendo l'opera potremmo immaginare mille modi per far comparire i sei personaggi in scena. Possiamo pensarli come fantasmi. Come esseri soprannaturali. Come apparizioni trascendenti. In realtà, nella cruda verità della scena, essi sono sei attori. Punto e basta. E anche gli attori che li accolgono e li ascoltano sono attori. Attori due volte. Nella vita e nella finzione.

Dunque Sei può essere definito – anche – un manifesto contro il rischio di estinzione dell'attore?

Direi di sì. Un attore, nella vita di tutti i giorni, è come se non esistesse dal punto di vista professionale. Sembra banale ma non lo è. Egli vive in un costante rapporto di verità con i suoi personaggi e questa verità ha bisogno dello sguardo di un pubblico. C'è un battibecco abbastanza lungo all'interno del testo in cui ciò emerge chiaramente. Quando gli attori minacciano di andarsene, i personaggi urlano che loro il teatro non lo devono abbandonare. I miei sei personaggi (che poi sono in cinque perché la Bambina viene rappresentata da una bambola di grandezza quasi naturale) salvano questa compagnia sfortunata. Sono personaggi dimessi, vagabondi, sfortunati essi stessi ma qui giocano un ruolo salvifico rispetto al teatro. Poi certamente cerco di raccontare tutto questo divertendo e con un finale quasi da vaudeville.

Per la prima volta, inoltre, avete immaginato un lavoro corale, con un ricco cast.

In scena siamo in dieci. Oltre a me nel ruolo del regista, ci sono Francesco in quello del Padre, Giulia Weber in quello della Madre, Salvatore Arena, Gianluca Cesale. Zoe Pernici fa la Figlia e poi abbiamo con noi altri giovani attori. Il 60% della compagnia è formata da interpreti giovani che provengono da diverse parti della Penisola. Un'esperienza bellissima.

La regia di Francesco su cosa ha puntato?

Si tratta di un disegno registico molto semplice ma incisivo. Francesco ha lavorato essenzialmente sul qui ed ora della situazione e ha confezionato uno spettacolo essenziale ma nuovo, originale, ritmato e molto fluido. Anche la scenografia di Lino Fiorito – un teatrino all'italiana incastonato sul fondo, qualche sedia e il divanetto di Madame Pace – ha puntato all'essenzialità. Alla concretezza. Non servono scenografie barocche per raccontare l'onestà di chi il teatro cerca di farlo per bene.

Questa concretezza cui alludi c'è già in Pirandello. Sotto la coltre filosofeggiante della sua scrittura si annida una matura consapevolezza della macchina teatrale e dell'artigianato scenico. Avrà un futuro questo lavoro?

Ci auguriamo fortemente di sì. Per ora sappiamo che avremo delle date al Franco Parenti di Milano nella prossima stagione. E poi vedremo. Resistiamo fiduciosi. Non molliamo facilmente.

 

 

SEI   di Spiro Scimone
adattamento dei Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber, Salvatore Arena, Bruno Ricci, Francesco Russo, Mariasilvia Greco, Miriam Russo, Zoe Pernici
regia Francesco Sframeli
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Beatrice Ficalbi
regista assistente Roberto Bonaventura
produzione Compagnia Scimone Sframeli, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Biondo Stabile di Palermo, Théâtre Garonne-scène européenneToulouse
in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
foto di scena di Gianni Fiorito
Teatro San Ferdinando, Napoli, 23, 24,25 giugno 2018